Sono ormai tanti i libri scritti da economisti sull’ascesa economica dell’India, trasformata da colonia sfruttata della Gran Bretagna a potenza economica industrializzata, passando per tutto ciò che ha professato Gandhi e Madre Teresa di Calcutta, quando questo Paese era addirittura considerato dal punto di vista socio-economico, addirittura un Quarto Mondo (cioè peggio dell’Africa, definito Terzo Mondo).
Certo una fetta della popolazione versa ancora in una povertà estrema, ma l’Economia su larga scala del Paese indiano non si basa più solo sull’attività artigiana, (già di per sé di ottima qualità e conosciuta in tutto il Mondo), ma anche sull’industria pesante e quella informatica, con ingegneri esportati in tutto il Mondo, una rapida diffusione dell’utilizzo di internet e della vendita del pc.
La ricetta di una tale espansione non si basa tanto (e solo) su una remunerazione bassa dei dipendenti (come avviene in Cina con il sovrasfruttamento degli operai), cosa comunque anche giustificabile in un Paese come l’India dove il caro vita è comunque basso, ma soprattutto su un tipo di imprenditoria che nei propri affari tiene appunto conto dello Stato socio-economico in cui versano i potenziali consumatori finali, quindi oltre a produrre nel proprio Paese le componenti dei prodotti che vende (cosa che così già riduce di molto il prezzo del prodotto finale, in quanto non approvvigionati all’estero), essi sono venduti a prezzi accessibili alla massa, un po’ come facevano le varie industrie italiane nel dopoguerra che vendevano auto, frigoriferi, televisioni, ecc…a prezzi accessibili anche ad un operaio.
E se lo sviluppo cinese è tanto criticato dagli economisti occidentali perché si basa sul sopradetto sfruttamento degli operai e da una presenza ancora forte della dittatura militare che controlla l’economia, in India la cosa è diversa, in quanto lì vi è una democrazia, vi sono anche sindacati molto potenti, per cui lo sviluppo è vero e si basa su azzeccate strategie economiche.
Forse anche in Italia bisogna ripensare ad un’imprenditoria diciamo “solidale”, perché in un Paese dove le percentuali dei disoccupati toccano le due cifre, alzandosi notevolmente in aree depresse del sud o quando si tratta di giovanissimi e donne, senza poi contare i tanti precari, è alquanto controproducente per una Fiat lanciare una normalissima utilitaria con un prezzo base di 10 milioni di euro, o vendere una buona lavatrice a 500 euro (la metà di uno stipendio medio)…
Bisognerebbe ritornare a quel tipo di economia messo in atto nel dopoguerra per rimettere in moto appunto l’economia di questo Paese; perché se all’epoca il tutto fu giustificato dalla fine di una pesantissima guerra mondiale che portò questo Paese in uno stato socio-economico ai livelli della miseria, oggi il tutto è giustificato da una pesantissima guerra tra caste (politica, imprenditori, sindacati, banche), che finendo in parità, finisce anche e soprattutto per ledere i cittadini.
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