giovedì 17 novembre 2011

CHICO FORTI COME SACCO E VANZETTI?


L'IMPRENDITORE DI TRENTO, DOPO UN PROCESSO DURATO APPENA VENTICINQUE GIORNI, NEL 2000 È STATO RITENUTO COLPEVOLE DI OMICIDIO. MA COL TEMPO LE PROVE HANNO MOSTRATO MOLTE LACUNE

La Giustizia americana ha mandato al patibolo numerosi innocenti, tra cui “i nostri” Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, condannati a morte quasi un secolo fa con un’ingiusta accusa di omicidio, che in realtà aveva tanto il sapore di essere un pretesto essendo loro attivisti radicali e sindacalisti. La storia purtroppo si ripete sempre, anche se lui per fortuna non sarà giustiziato. A distanza di un secolo, un altro italiano è stato condannato per omicidio in modo dubbio, farraginoso, sbrigativo. Parlo dell'imprenditore italiano Enrico Forti detto “Chico”, di Trento, il quale dopo un processo durato venticinque giorni, il 15 giugno 2000 è stato ritenuto colpevole di omicidio da una giuria popolare della Dade County di Miami. Ora è ingiustamente detenuto da 12 anni nel penitenziario DADE CORRECTIONAL INSTITUTION della Florida.
Aiutandoci col sito a lui dedicato http://www.chicoforti.com/, ripercorriamo la sua storia tornata agli onori delle cronache dopo la nota sentenza assolutiva della giustizia italiana nei confronti dell’americana Amanda Knox, opposta dunque in tutto e per tutto a quella di Chico.

L’ARRIVO IN AMERICA - Enrico Forti detto “Chico” nasce a Trento nel 1959 dove vive fino al conseguimento della maturità scientifica nel 1978. In seguito si
trasferisce a Bologna per frequentare l'Isef, l'università di educazione fisica.
Fisicamente dotato, si dedica alla pratica di parecchi sport, dedicandosi in particolare al “windsurf” e negli anni '80 ottiene molti successi a livello mondiale. Negli anni '90 si trasferisce a Miami in Florida, dove intraprende un'attività di film-maker e presentatore televisivo.
In seguito si dedica anche ad intermediazioni immobiliari ed è proprio svolgendo questa attività che conosce un personaggio di nome Anthony Pike, che si presenta come proprietario di un omonimo albergo sull'isola di Ibiza, in Spagna. Quest'albergo aveva goduto di una certa notorietà negli anni '80, frequentato da parecchi personaggi del jet-set internazionale, ma in seguito ebbe un declino fallimentare.
Alla fine del 1997, Anthony Pike viaggia alla volta di Miami, ospite di un tedesco di nome Thomas Knott, che da qualche tempo soggiornava a Williams Island, in un appartamento sito proprio sotto l'abitazione di Enrico Forti. I due erano stati “compagnoni” ai tempi dorati dell'albergo di Ibiza, di cui Knott era un assiduo frequentatore. Solo in seguito, a cose fatte, si scopriranno i veri profili di questi due personaggi.
In primo luogo, Pike in quel periodo si trovava in estreme difficoltà finanziarie. Knott era un “intrallazzatore” condannato in Germania a sei anni di detenzione per truffe miliardarie, sparito durante un periodo di libertà vigilata e ricomparso a Miami (ospite di altri tedeschi) a Williams Island, dove svolgeva sotto falsi documenti (procuratigli da Pike) un'attività di copertura come “istruttore di tennis”.
In realtà continuava la sua “professione” di truffatore (25 accuse in poco più di sei mesi!) e l'ultima fu proprio quella tentata ai danni di Enrico Forti, convocando Anthony Pike a Miami con l'intento di vendere il citato hotel, sebbene non fosse più di sua proprietà da oltre un anno. Durante questa trattativa, compare sulla scena Dale Pike, figlio di Anthony, che in passato era stato allontanato dall'albergo di Ibiza per gravi dissapori con il padre e probabilmente anche con Thomas Knott, suo ex compagno di baldorie. Dale Pike doveva lasciare precipitosamente la Malesia, per motivi non accertati, e ricorse all'aiuto del padre, trovandosi in questo stato di necessità completamente privo di denaro.Anche Anthony Pike non aveva alcuna disponibilità finanziaria, e chiese l'aiuto di Enrico Forti con il quale era entrato in trattative per la compravendita dell'albergo. Forti fu disponibile e alla fine di gennaio 1998 pagò a Dale Pike il biglietto aereo dalla Malesia alla Spagna.
Quindici giorni più tardi, Anthony Pike telefonò nuovamente ad Enrico Forti, prospettandogli una sua visita a Miami, questa volta in compagnia del figlio Dale.
Il giorno del loro arrivo fu programmato per domenica 15 febbraio 1998.

L’OMICIDIO – Pike convinse nuovamente Enrico Forti ad anticipare il denaro per pagare i biglietti aerei ed anche questa volta Forti acconsentì a pagare i biglietti ad ambedue. Alcune e-mail di Dale Pike alla fidanzata Vaike Neeme, una “ragazza copertina”. L'ultima è del 14 febbraio 1998 (il giorno prima della partenza per Miami). In questa lettera Dale si dice ansioso di conoscere Chico, “il nuovo proprietario” dell'hotel di suo padre, che è anche un produttore cinematografico. Scrive “di avere con sé un progetto per fare un film e di volerglielo presentare”. Dale si augurava che Forti lo aiutasse a realizzare questo film. Due giorni prima della partenza, Anthony fece un'ultima telefonata ad Enrico Forti, adducendo problemi personali, spostando il suo appuntamento con lui a New York per il mercoledì successivo 18 febbraio. Suo figlio Dale invece, avrebbe comunque viaggiato a Miami, da solo, la domenica 15 febbraio ed Anthony chiese a Forti di andarlo a prendere all'aeroporto per ospitarlo a casa sua. Forti acconsentì, ma dopo il suo incontro con Dale all'aeroporto, quest'ultimo gli chiese di essere portato al parcheggio di un ristorante a Key Biscayne, dove amici di Knott lo stavano attendendo e avrebbe trascorso alcuni giorni con loro, in attesa dell'arrivo del padre.
Forti quindi gli diede un passaggio fino al luogo indicato da Dale e lo lasciò al parcheggio verso le ore 19 di quella domenica. Il suo contatto con Dale Pike, mai visto né frequentato prima di quel giorno, era durato circa una mezzora.
Il giorno 16 febbraio un surfista ritrovò il cadavere di Dale Pike in un boschetto che limita una spiaggia a poca distanza dal parcheggio dove Enrico Forti lo aveva lasciato. Era stato “giustiziato” con due colpi di pistola calibro 22 alla nuca, denudato completamente ma con vicino il cartellino verde di cui viene dotato alla dogana chiunque entri negli Stati Uniti.
C'erano anche altri oggetti personali per cui fu semplice l'identificazione. La morte fu fatta risalire tra le ore 20 e 22 del giorno precedente, poco tempo dopo il suo commiato da Enrico Forti.
Fu provato che Enrico Forti alle ore 20 si trovava all'aeroporto di Fort Lauderdale. Al processo infatti venne accusato e condannato come “mandante” dell'omicidio.

LA DEBOLE ACCUSA- Nell’immediatezza del primo arresto, Enrico Forti era stato accusato di frode, circonvenzione d’incapace e concorso in omicidio.
La giuria però fu fuorviata ed ingannata nel suo giudizio finale perché non venne mai informata che Enrico Forti in precedenza era già stato completamente assolto dalle accuse di frode e circonvenzione d’incapace. Liberato su cauzione, nei venti mesi che seguirono, era stato infatti scagionato da tutti i capi d'accusa (otto) che riguardavano la frode.
Scorrettamente invece, la frode fu usata come movente nel processo per omicidio.
Riportiamo la traduzione letterale del testo introduttivo della teoria dello stato sulla quale il PM ha fondato le sue accuse.
La teoria dello Stato sul caso era che Enrico Forti avesse fatto uccidere Dale Pike perché Forti sapeva che Dale avrebbe interferito con i piani di Forti per acquisire dal padre demente, in modo fraudolento, il 100% di interesse di un hotel di Ibiza. Dale aveva viaggiato verso Miami dall’isola di Ibiza in modo che Forti avrebbe potuto “mostrargli il denaro” – quattro milioni di dollari richiesti per la transazione – per l’acquisto dell’albergo di suo padre. Forti semplicemente non lo aveva. Invece, Forti incontrò Dale all’aeroporto e lo condusse alla morte”.
Non c’è una sola parola di verità in queste affermazioni. Non è vero che Dale Pike, la vittima, costituiva un ostacolo per i piani di Forti di acquistare l’albergo. Non ne aveva alcun potere.
Non è vero che il padre, l’albergatore Tony Pike, era un vecchio malato e disabile, incapace di intendere e volere. Tutt’altro. A suo tempo, molte testimonianze lo consideravano un astuto e sveglio uomo d’affari. D’altronde al processo non è stato presentato alcun documento che comprovasse la sua presunta demenza, né da parte di un tribunale, né di una qualsiasi commissione medica.
Non è vero che Enrico Forti volesse appropriarsi in maniera fraudolenta del 100% dell’hotel. Anzi si è scoperto che l’albergatore tentava di vendere al Forti un hotel che da molto tempo non era più suo. Una truffa vera e propria. Anthony Pike stesso lo aveva ammesso in una deposizione rilasciata a Londra prima del processo, dicendo chiaramente che intendeva rifilare a Chico un “elefante bianco”.
Ma l’accusatore l’ha tenuto nascosto alla giuria.
Non è vero che Dale aveva viaggiato a Miami “per vedere il denaro contante”, quattro-cinque milioni di dollari, che il Forti avrebbe dovuto pagare. L’accordo di compravendita prevedeva il pagamento nell’arco di tempo di sei mesi, parte in contanti, parte in permuta di due appartamenti e parte con l’assunzione dei debiti dell’albergo con le banche. La supervalutazione di quattro-cinque milioni di dollari del valore dell’albergo è una stima del tutto inventata. A tutt’oggi il suo valore reale è meno di un terzo.
Come si vede, alla base di tutte le accuse, viene evidenziato il movente della truffa.
Invece è vero esattamente il contrario. L’albergatore tentava di vendere un albergo che da molto tempo non era più di sua proprietà. Quindi Enrico Forti era il truffato e non il truffatore ed il movente era completamente inventato ed inesistente.

IL VERDETTO - Dopo la conclusione dell'arringa dell'accusa, la giuria popolare si è ritirata nella camera di consiglio.
Giovedì 15 giugno 2000, ore 16 circa. Solo poche ore sono bastate ai giurati per emettere un verdetto di colpevolezza.
Incredibile ed incomprensibile la decisione della Corte nel suo pronunciamento della abnorme pena inflitta, che riportiamo nella traduzione letterale:
La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l'istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest'uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all'ergastolo senza condizionale!
La morte civile inflitta ad Enrico Forti in definitiva si basa solamente su una “sensazione”!
In seguito, nonostante si fosse in grado di dimostrare ampiamente che Enrico Forti era rimasto vittima di un clamoroso errore giudiziario, cinque appelli posti per la revisione del processo sono stati tutti rifiutati sistematicamente dalle varie Corti, senza motivazione né opinione.

I DIRITTI NEGATI A CHICO - Ad Enrico Forti è stato negato il diritto allo Speed Trial (processo veloce entro 20 giorni dall’arresto) per avvenuta scadenza dei termini di legge (6 mesi) dalla prima accusa all’arresto (20 mesi).
Il diritto allo Speed Trial gli è stato negato perché applicata la Regola Williams, cioè l’esistenza di una diretta connessione tra l’ottenimento di un illecito guadagno (truffa) e la consumazione dell’omicidio. Questa regola avrebbe dovuto essere revocata perché Enrico Forti era già stato assolto dall’accusa di frode in un precedente processo.
La deposizione rilasciata da Enrico Forti come testimone, durante la quale ha detto la bugia sul suo incontro con Dale Pike, avrebbe dovuto essere annullata perché coperta dai Diritti Miranda che prevedono l’assistenza di un legale durante qualsiasi deposizione rilasciata da una persona ufficialmente accusata di un crimine. Questi diritti gli furono negati anche se al momento di questa deposizione, era già il principale indiziato per l’omicidio.
L’accusatore ha anche scorrettamente ignorato un accordo pre-processuale tra le parti, detto in limine, secondo il quale la truffa non avrebbe dovuto essere usata come movente La giuria così fu intenzionalmente fuorviata nel suo giudizio finale.
In questo modo si è violata anche la regola Double Jeopardy secondo la quale, se un imputato è già stato assolto da un’accusa in un precedente processo, la stessa accusa non può essere usata in un altro processo.
Ad Enrico Forti furono negati anche i diritti previsti dalla Convenzione di Vienna. I Paesi firmatari di questa convenzione, garantiscono l’immediata assistenza legale in caso di arresto di un loro cittadino in uno Stato diverso dal proprio. E’ prevista anche l’automatica simultanea comunicazione alle autorità consolari locali del cittadino stesso.
Il Consolato Italiano venne a conoscenza del primo arresto di Enrico Forti casualmente dai giornali nove giorni dopo. Alla protesta ufficiale che ne seguì, la polizia inviò una lettera di scuse per “l’involontaria” omissione.

UN CLAMOROSO CONFLITTO D’INTERESSI E CONTRAFFAZIONE DI DOCUMENTI - Dopo il rifiuto, il 30 aprile 2002, della revisione di prova (un appello che è stato gestito dai procuratori stessi dello studio), un fatto incredibile è venuto per caso alla luce: Ira Loewy, difensore di Enrico Forti, mentre lavorava per questo caso, era al tempo stesso sostituto procuratore della Repubblica per lo Stato per un altro caso.
Quindi, trattasi di un chiaro conflitto di interessi.
Alla richiesta di una spiegazione per questo doppio ruolo, Ira Loewy ha dichiarato che Forti stesso l’aveva autorizzato.  Per sostenere la sua affermazione ha improvvisamente prodotto (dopo molti mesi) la fotocopia di un documento attestante tale autorizzazione, mancante di una data e senza un sigillo del tribunale.
Inoltre, sostiene Enrico Forti, con fiducia estrema, di non essere mai stato informato di questo fatto, che non aveva mai visto il documento di cui sopra e che la sua firma sia stata perfino falsata. Inoltre, anche la sua famiglia non è mai stata informata di questi fatti.
Vi è un inconfutabile dato di fatto: la copia originale di quel documento non è mai stata prodotta e mai allegata in nessuna udienza. Anzi, viene detto che l'originale sia stata inspiegabilmente persa!
Tra l’altro anche il processo è stato piuttosto strano: non sembrava un normale scontro tra un difensore e un procuratore nel quale ognuno cerca di difendere la propria tesi, ma più un incontro tra due "colleghi".
Tra l’altro, Reid Rubin sapeva del conflitto di interessi di Ira Loewy, e sapeva anche benissimo che il documento che aveva presentato Loewy non era stato trascritto dal tribunale, e che nessuno aveva mai visto l'originale. Manca perfino negli archivi del tribunale.
Nonostante ciò Rubin ha convalidato questo documento e ha scritto testualmente nella relazione della sentenza: "una falsa dichiarazione fatta da Forti nel disperato tentativo di favorire i suoi interessi personali, e che comunque, anche se l'originale di questo documento dovesse essere ritrovato, non sarebbe sufficiente a garantire una revisione del processo".
Ecco a voi la Giustizia made in America.

L’IMMOBILISMO DELLE AUTORITA’ ITALIANE - A torto o a ragione, le autorità italiane poco o nulla hanno fatto per Forti. Anche in virtù dell’assoggettamento politico-giuridico che ci genuflette agli americani fin dallo sbarco in Sicilia di quasi 70 anni fa.
Il Ministro degli esteri Frattini così ha risposto di fronte alle sollecitazioni pervenutegli: «L'America è una grande democrazia - conclude Frattini - e l'unico passo che non possiamo compiere è quello di un'interferenza politica e diplomatica nel sistema giudiziario di un Paese democratico che ha saputo battere con forza ogni tipo di discriminazione ed ingiustizia. L'unica possibilità che abbiamo, quindi - e che suggerisco anche a voi amici e supporter di Chico Forti - è quella di verificare se sussistano nuovi elementi a discarico non emersi e non considerati nella fase del giudizio, elementi che potranno riaprire il caso, valutare nuove prove ed accertare la sua responsabilità o meno».


L'ALTRA CAMPANA - Ma c'è anche chi ritiene infondata questa crociata innocentista in favore di Forti. Come Claudio Giusti, membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio sulla Legalità e i Diritti:

L’'affermazione del Procuratore secondo cui: “The State does not have to prove that he is the shooter in order to prove that he is guilty…” significa che non devono provare che Forti è stato l’esecutore materiale del delitto (lo sparatore) per dimostrare che è colpevole. Purtroppo nella maldestra traduzione italiana è diventato: “Lo Stato non deve provare che egli sia stato l’assassino al fine di dimostrare che lui sia il colpevole…” che ha un significato completamente diverso. [9]
Altra distorsione compiacente è quella secondo cui le accuse devono essere provate non “Beyond a reasonable doubt” ma “Beyond any reasonable doubt” che poi diventa oltre ogni dubbio. [10]
Forti è condannato al LWOP: Life WithOut Parole, ovvero all’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato sulla parola: parole, che alcuni confondono con cauzione: bail; ma LWOP è tradotto con ergastolo senz’appello o ergastolo senza condizionale. 
Inoltre si scambiano spesso e volentieri i giurati con i giudici, mentre White Elephant non è una truffa come dicono gli amici di Forti, ma qualcosa di estremamente lussuoso, costoso e inutile.
Le falsificazioni iniziano immediatamente dopo la condanna. Già nella trasmissione Radio Anch’io del 23 marzo 2001 si fanno affermazioni prive di qualsiasi fondamento. “Nessuna prova, nessun testimone, nessun movente, solo una bugia e un labilissimo indizio (…) eppure per i giudici di Miami è stato sufficiente. Qualcuno ha parlato di processo sommario.” [11]
Una delle lagnanze degli amici di Forti è quella che i media si occuperebbero solo ora del caso. Ma come mai un caso che già dieci anni fa aveva tutte le caratteristiche per diventare un fatto nazionale è passato in ultima fila? Nel 2001 c’erano già le interrogazioni parlamentari, le affermazioni d’innocenza, gli amici, il complotto della polizia, i siti innocentisti e la Rai. Già nel 2001, dieci mesi dopo la condanna, si parla di lui a Radio Anch’io, mentre ci sono state interpellanze parlamentari di Pisapia, con la giornalista di Rai Tre Lara Boccalon che ha vinto il premio Alpi grazie al documentario sul caso. Sempre Rai Tre ha trasmesso il documentario su Versace (Il sorriso della Medusa). Nella trasmissione si parla della sabbia, si dice che il Consolato ha attentamente seguito il caso, si ipotizza addirittura che l’intervento del governo italiano abbia convinto la Procura di Miami a non chiedere la pena di morte [12]. Nel programma mancano molte delle geremiadi che oggi ci assillano: non si accusa il collegio di difesa, non c’è la balla della condanna basata su di una sensazione, non ci sono le traduzioni sballate. Le falsità si aggiungeranno un po’ alla volta [13] e la storia si riempie di dettagli inventati di sana pianta. Alcune delle fesserie correnti sono presenti sin dall’inizio: il tentativo di introdurre il diritto italiano in America, la frottola delle accuse di frode fatte cadere, la fandonia del gigantesco complotto ordito dalla polizia di Miami che avrebbe voluto punire Forti per il suo filmato sulla morte di Cunanan.
Fin dall’inizio Forti afferma di avere paura per la propria incolumità in carcere, dove la sua vita non vale più di 200 dollari. Quindi non fa i nomi dei potenti personaggi per i quali sarebbe un “personaggio scomodo” a causa del suo documentario. Già nel 2001 dice: “Io sono in un ambiente dove la vita di una persona vale 200 dollari e dove, se le mie verità dovessero arrivare a un punto che possono compromettere persone che sono a un certo livello… non so quanto mi convenga adesso parlare di questo o aspettare l’appello e poi….” [14] Stiamo ancora aspettando.
I fatti.
In dodici anni gli amici di Forti non hanno pubblicato alcun documento ufficiale: tuttavia, grazie a Internet e applicando le prudenti metodologie della ricerca storiografica, è possibile farsi un’idea molto precisa di come sono andate le cose, anche perché sono reperibili articoli dell’epoca[15] e non dobbiamo basarci esclusivamente sulle contraddittorie argomentazioni innocentiste.
Enrico “Chico” Forti (Trento 1958) è un insegnante di ginnastica e campione di windsurf che, vinta una somma a TeleMike, lascia la moglie e se ne va a cercare fortuna in Florida, dove inizia a produrre cortometraggi sportivi. Bella vita, belle donne e brutte compagnie. Grazie all’amicizia con il pregiudicato tedesco Thomas Knott entra in possesso della casa galleggiante in cui fu trovato suicida Andrew Cunanan , l’assassino di Gianni Versace. Sulla vicenda Forti gira un cortometraggio [16] in cui sostiene che la polizia di Miami ha alterato le prove e che Cunanan è arrivato nella casa galleggiante già morto. Per i suoi amici sarebbe stato proprio questo filmetto a mettere Forti nel mirino della polizia. Alcuni mesi dopo sempre Knott gli fa conoscere Anthony Pike che vuole cedere il suo albergo di Ibiza. Secondo l’Accusa Knott e Forti tentarono di frodare Pike. Forti cercava di comperare l’albergo sottocosto e, visto che il figlio di Pike lo impediva, l’ha fatto uccidere. Forti e Knott sono accusati di truffa: Knott patteggia la pena mentre Forti, accusato anche di omicidio, è processato e condannato all’ergastolo LWOP.
Siamo in America e non in Italia. Sembra che gli amici del Forti non si rendano conto che il delitto non è stato commesso a Forlimpopoli ma in Florida e che quindi valgono le leggi americane e non le nostre. Non riescono a capire che da quelle parti il sistema giudiziario è completamente diverso e pretendono che i nostri bizantini ragionamenti legali trovino spazio nelle corti americane. Così sentiamo parlare di primo, secondo e terzo grado di giudizio e di “gravi violazioni dei diritti della difesa [perché] non è mai stata data la possibilità all’imputato di chiedere un confronto con il suo accusatore, con un testimone che era un truffatore (…) di parlare per ultimo per replicare …” [17]
Per gli amici di Forti “È molto singolare che il processo non permetta ai giudici di indicare alle parti temi nuovi o integrazioni probatorie: la decisione va presa sulla base di quello che le parti hanno deciso di mostrare loro. Quindi, inspiegabilmente, non sono stati ascoltati, nel processo, l’imputato Forti, la moglie Heather, il condannato per reato collegato Thomas Knott e altri che pure avevano partecipato direttamente ai fatti. L’estrema singolarità di questo modo di procedere appare evidente.” [18] Purtroppo lo è solo per chi non ha la più pallida idea di come funziona il sistema giudiziario americano, dove sono le parti a chiamare i testimoni. Se non lo fanno peggio per loro. Se il collegio di difesa considerava la testimonianza di Forti importante perché non l’ha chiamato a deporre? Forse perché temeva che il controinterrogatorio sarebbe stato la sua pietra tombale.
Prima del processo.
I guai di Chico Forti deriverebbero da un’unica bugia. Spaventato dalla polizia avrebbe negato di conoscere la vittima Dale Pike. Secondo l’Accusa invece questa è stata solo una di una lunga serie di falsità del Forti che ha mentito a tutti, lavato l’auto per fare sparire le tracce, fabbricato falsi documenti notarili per costituirsi un alibi a posteriori, ecc. Noto che gli amici del Forti hanno sempre accuratamente evitato di parlare di quest’ultima circostanza.
Gli amici lamentano che a Forti non sono stati letti i diritti, come previsto dalle Regole Miranda [19] e che la polizia ha mentito per metterlo in difficoltà. Non c’è bisogno di essere un giurista per sapere che la polizia, anche italiana, organizza trabocchetti e che i Miranda Warnings sono letti al sospettato solo quando diventa accusato e ha le manette ai polsi: basta guardare un telefilm del Tenente Colombo e poi Forti non è il dodicenne Cristian Fernandez e sapeva bene cosa fare. [20]
Si fa anche notare che la polizia non ha avvisato il consolato italiano. Non lo fanno mai e Forti non è uno sprovveduto immigrato guatemalteco (dicono conosca cinque lingue) e ha avuto tutto il tempo di avvisare amici, legali e autorità diplomatiche, mentre per il ritardato mentale Joseph Faulder, che è finito al patibolo, l’avvocato del consolato canadese avrebbe fatto la differenza. [21]
La polizia è accusata di avere incastrato Forti per punirlo del suo cortometraggio sull’assassino di Versace. Difficile credere che quel filmetto sia stato all’origine di tanti guai e non si capisce perché abbiano aspettato per sei mesi che Forti si mettesse nei guai da solo[22], ma anche se così fosse perché non si è chiesto il change of venue e portato il processo fuori dalla Dade County?
Forti prospetta una violazione della Williams Rule (Williams v Florida, 1959) per via della presunta assoluzione dalle accuse di truffa, ma secondo questa regola “relevant evidence of collateral crimes is admissible at jury trial when (…) is used to show motive, intent,” La Procura cioè poteva utilizzare l’accusa di truffa al processo per omicidio per dimostrarne il movente. [23]
Le tesi difensive si basano sull’affermazione che Forti sarebbe stato prosciolto in istruttoria dall’accusa di truffa nei confronti di Anthony Pike. Alcuni dicono che vi sia stato un verdetto di assoluzione. Peccato sia tutto falso. Non c’è stata alcuna assoluzione perché la Procura si è limitata a un nolle prosequi [24], ha cioè sospeso le accuse contro Forti perché lo stava perseguendo per un reato più grave. Non c’è quindi violazione del double jeopardy che vale solo per i verdetti. [25]
Il processo. 
Gli amici affermano che Forti “non ha avuto un giusto processo”, ma non sono in grado di motivare l’affermazione. Secondo loro le prove contro Forti sono inconsistenti, ma i giurati l’hanno pensata diversamente. In definitiva l’unica cosa strana del processo è la sua notevole lunghezza.
L’accusa non era capitale e Forti non è scampato per un pelo alla sedia elettrica come dicono alcuni. I processi per murder (che noi chiamiamo omicidio di primo grado) iniziano a due o tre anni dal delitto e a volte molto più tardi, soprattutto perché la Difesa ha bisogno di tempo per prepararsi. Non vi è stata alcuna violazione del diritto allo speedy trial.
Secondo alcune versioni innocentiste il tedesco Knott sarebbe stato il teste chiave contro Forti mentre Anthony Pike sarebbe arrivato in aula sostenuto da due infermiere al solo scopo di impressionare la giuria. Peccato che nessuno dei due abbia testimoniato al processo.
Si asserisce che Anthony Pike tentava di vendere un albergo che non era più di sua proprietà e che Forti era il truffato e non il truffatore: che il movente era inventato e inesistente. Ciò non è contraddetto solo dai fatti, ma anche dallo stesso Forti, al corrente che il 95% dell’albergo era posseduto da una società di Jersey. [26] In ogni caso si sostituisce un movente con un altro.
Il collegio di difesa è stato accusato d’inefficienza quando non di collusione con la Procura e si accusa uno degli avvocati di avere lavorato per essa. Ci si dimentica che Forti era patrocinato da due legali considerati i più quotati e costosi di Miami[27]. Uno era il leggendario Donald Bierman [28], di cui non si parla mai, mentre ci si concentra su Ira Loewy[29] accusato di ogni nefandezza. In America gli avvocati esercitano indifferentemente per un privato o per la Procura[30] e non esiste la separazione delle carriere di cui tanto si parla. Mi chiedo perché non sia stata sollevata in appello una Ineffective Assistance of Council, come prevede la norma 3.850 del Codice di Procedura Penale della Florida. Probabilmente perché ci si sarebbe scontrati con l’alto livello di prova previsto da Strickland [31] e il presunto conflitto d’interessi sarebbe stato indimostrabile e/o harmless[32].
Al processo gli strali della difesa si concentrano su Knott che, patteggiando la pena, sarebbe diventato “uno dei testi principali contro Enrico Forti”. Peccato che Knott non abbia testimoniato al processo. Evidentemente l’Accusa non lo considerava utile e la Difesa lo temeva per via della pistola calibro 22 comprata da Knott con i soldi di Forti. Il patteggiamento di un complice in cambio di una condanna lieve è la norma e, se i difensori consideravano utile la testimonianza di Knott (truffatore ben noto al Forti), dovevano farlo al processo: ora è tardi. 
“Ma sono loro che non lo hanno fatto deporre, sono loro che hanno deciso per le loro necessità tattiche e secondo il loro punto di vista, di non chiamarlo testimoniare” R. Rubin al processo
Gli amici del Forti affermano che il Prosecutor Reid Rubin avrebbe passato due anni preparando l’arringa. Nella contea di Miami Dade si contano 200 omicidi criminali l’anno e non crediamo che la Procura abbia riservato un avvocato esperto solo per Forti. Piuttosto: “Chico” ci viene descritto come geniale imprenditore solito praticare sport estremi: eppure si spaventa come un cucciolo e mente alla polizia. Si afferma che non aveva la più pallida idea del funzionamento della giustizia americana, come se non avesse mai visto un telefilm del Tenente Colombo e nessuno spiega perché non si sia documentato nei due anni di istruttoria. Una sorta di Alice nel Paese delle Meraviglie.
L’ordine delle arringhe finali (closing arguments) non dipende dalla testimonianza dell’accusato e l’Accusa chiude sempre il processo perché è suo l’onere di provare la colpevolezza dell’imputato (burden of proof). In Florida a quel tempo valeva la regola 3.250 del CPP che consentiva alla Difesa di chiudere le arringhe solo nel caso in cui non avesse presentato né prove né testimonianze, ma la sola deposizione dell’imputato. [33]
Il castello accusatorio della Procura si basava su tre pilastri: l’assoluta mancanza di alibi del Forti e le sue spudorate menzogne, il movente della truffa e la sabbia che lo posiziona sul luogo del delitto.[34] Modo, occasione, movente: Reid Rubin ha inchiodato Forti di fronte alla giuria e la Difesa, per quanto agguerrita, non è riuscita a instillare il ragionevole dubbio in almeno un giurato.
Dale Pike, la vittima, arriva all’aeroporto di Miami e si incontra alle 18.00 con Forti: da quel momento scompare e viene trovato cadavere 24 ore dopo. Secondo la versione di Forti alle 18.30 Pike ha chiamato qualcuno da un telefono pubblico cambiando programma e chiedendo di essere portato al parcheggio del ristorante Rusty Pelican a Key Biscayne. Alle 19.16 Forti telefona alla moglie da un luogo molto vicino a quello dove sarà rinvenuto il cadavere e le dice che Pike non è arrivato. Versione che manterrà per tre giorni con l’avvocato Paul Steinberg, con Knott, con il suocero, con il padre di Dale e la polizia. Anche prendendo per buone le scuse del Forti non si capisce perché non ha cercato la persona cui Pike ha telefonato e perché non ha cercato di sapere se Pike gli avesse telefonato dalla Spagna per preavvisarlo, dato che non era mai stato in Florida. Nemmeno si capisce perché, uscito dall’aeroporto, Forti non vada verso casa, ma nella direzione opposta, a sud verso il Rusty Pellican [35]
In molte occasioni si è detto che le accuse sono cambiate nel corso del dibattimento. Non è vero, fin dall’inizio l’accusa era chiarissima: “Per avere il Forti Enrico personalmente e/o con altra persona o persone allo stato ancora ignote, agendo come istigatore e in compartecipazione, ciascuno per la propria condotta partecipata, e/o in esecuzione di un comune progetto delittuoso, provocato, dolosamente e preordinatamente, la morte di Dale Pike”
Secondo gli amici i guai di Forti dipenderebbero da quell’unica bugia detta, per paura, alla polizia. Non è così, alla Procura quella menzogna non interessa più di tanto perché le bugie sono molte, come la falsificazione di atti notarili avvenuta un anno dopo il delitto. (Insisto nel notare che questa falsificazione è giudiziosamente ignorata dai sostenitori di Forti).
La Procura non ha introdotto il tema della truffa all’ultimo minuto in modo che la Difesa non fosse in grado di contrastarla. Della truffa si è a lungo dibattuto durante il processo, altrimenti ci si dovrebbe chiedere cosa diavolo hanno fatto per 24 giorni e 18 udienze.
Dale Pike è stato assassinato con due colpi calibro 22. La 22 è l’arma preferita dai killer perché il suo munizionamento è facilmente reperibile, non è full metal jacket così da fermarsi nei bersagli (è arma sportiva) e questa caratteristica fa deformare i proiettili che non sono più comparabili con altri. Inoltre basta una bottiglietta di plastica per silenziarla. Caso vuole che Knott avesse comprato una di queste armi con i soldi di Forti e che la pistola, da lui affidata al Forti, sia poi scomparsa.
Una delle prove portate in giudizio dall’Accusa è stata la sabbia trovata sotto il cappellotto del gancio di traino dell’auto di Forti. Sabbia che pone Forti sul luogo del delitto. Lui dice che l’hanno messa i poliziotti e non ha alcun valore. Ma la prova è stata discussa in aula e sarebbe interessante sapere che effetto abbia avuto sulla giuria, ma nessuno sembra essersi preoccupato di chiederlo.
Verdetto e sentenza.
Non si deve confondere il verdetto della giuria con la sentenza pronunciata dal giudice e i suoi acidi commenti e nemmeno si possono utilizzare i canoni italiani nel sistema giudiziario USA, perché la giuria non deve spiegare le ragioni del verdetto e si limita a dichiarare l’imputato colpevole o non-colpevole. I giurati non sono “cittadini eletti a sorte”, ma accuratamente scelti dalle parti. Dopo la condanna la Difesa è solita intervistarli per farsi un’idea delle loro ragioni e utilizzarle in appello. Non si sa se l’abbiano fatto.
Uno dei punti di forza degli amici di Forti è che, al momento della sentenza, il giudice avrebbe detto:
“La Corte non ha le prove che lei sig. Forti abbia premuto materialmente il grilletto, ma ho la sensazione, al di là di ogni dubbio, che lei sia stato l’istigatore del delitto. I suoi complici non sono stati trovati ma lo saranno un giorno e seguiranno il suo destino. Portate quest’uomo al penitenziario di Stato. Lo condanno all’ergastolo senza condizionale!”
Malauguratamente le parole del giudice, sempre che siano state pronunciate, sono prive di qualsiasi rilevanza perché ciò che conta è la convinzione che si è fatta la giuria e la loro decisione è definitiva e raramente è concesso l’appello. Inoltre la condanna al LWOP è obbligatoria per il murder di primo grado non capitale e il giudice non aveva scelta.
“The jury decision is final. No matter how wrong or how foolish this seems, there is no appeal. A convicted defendant can also try to appeal on the ground of error at the trial. Generally speaking “error” means legal errors; it is not enough to say the jury must have been wrong, or failed to do justice, or acted stupidly. An appeal court does not try the case over again, or redecide issues of fact. (…) But overall only a small minority of losing defendant go on to a higher court. The rest give up and take their medicine.” [36]
LAWRENCE M. FRIEDMAN, American Law. An Introduction. New York. Norton, 1998 p.193
L’appello.
In America l’appello non è un diritto costituzionale e le corti superiori non devono motivare il loro rifiuto del certiorari. In appello non ci sono giurati, non si ascoltano testi e ci si limita a verificare il verbale del processo di merito. In appello non si dimostra l’innocenza del condannato, ma che nel processo di merito vi sono stati errori legali così gravi e numerosi che questo deve essere rifatto. Le sei possibilità d’appello concesse a Forti sono un’enormità per un caso non capitale, ma i punti che sarebbero stati portati all’attenzione delle varie corti: Diritti Miranda, Regola Williams, Double Jeopardy, Convenzione di Vienna, Speedy Trial, Conflitto d’Interessi, sono straordinariamente deboli e non hanno meritato nemmeno un rigo di diniego. [37]
La situazione attuale.
Le controdeduzioni forensi di cui abbiamo notizia arrivano con 12 anni di ritardo e sono procedurally defaulted [38], cioè non possono più essere presentate, mentre gli appelli alle norme internazionali sui diritti umani sono irrilevanti. La Dichiarazione Universale non si occupa del diritto d’appello mentre ne parla il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici il cui articolo 14.5 recita: “Ogni individuo condannato per un reato ha diritto a che l’accertamento della sua colpevolezza e la condanna siano riesaminati da un tribunale di seconda istanza in conformità della legge”. Ma questo non significa che vi sia l’obbligo di fare l’appello come invece è richiesto per i condannati a morte dalle Garanzie ECOSOC. Al di là delle rodomontate degli amici del Forti le pretese di arrivare ad una corte internazionale, magari a Strasburgo, sono risibili.
I confronti con altri casi, dal Cermis ad Amanda Knox, dalla Baraldini a Rocco Barnabei, mettono fuori strada perché ogni caso ha la sua storia e Pietro Venezia, che la Florida voleva condannare a morte, l’abbiamo processato in Italia, come è accaduto per l’incidente tedesco delle Frecce Tricolori. In ogni caso temo sarà molto difficile organizzare uno scambio di ostaggi.
Per convincere una corte americana a riaprire il caso ci vorrebbe una newly discovered evidence [39]: una prova importante che modifichi radicalmente la situazione e che non poteva essere trovata al momento del processo; ma se anche la si trovasse questa nuova prova nulla dimostra che il processo sarebbe annullato, che l’annullamento sopravvivrebbe al successivo appello e che una nuova giuria riterrebbe Chico Forti non colpevole.

Speriamo che il caso di Enrico Forti sia quanto meno rivisto, almeno per fugare ogni dubbio. L’imprenditore trentino ha già scontato dieci anni di carcere. Il caso di Sacco e Vanzetti, che dopo quasi un secolo brucia ancora, avrebbe già dovuto insegnare molto.
Questo è il recente servizio del Tg1, che mi ha permesso di conoscere questo caso: