lunedì 29 dicembre 2014

TITO BOERI NUOVO PRESIDENTE INPS: NON HA I REQUISITI E CON LUI NUOVI TAGLI ALLE PENSIONI IN VISTA

UN CURRICULUM INVIDIABILISSIMO, MA NON HA I TITOLI CHE IMPONE LA LEGGE PER QUEL RUOLO. INOLTRE LA SUA IDEA DI RIFORMA DELLE PENSIONI INDUCE A PENSARE A NUOVI TEMPI BUI

Tito Boeri, economista milanese cinquantaseienne, è il nuovo Presidente dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale. E’ stato designato alla vigilia di Natale dal Consiglio dei Ministri. Anche lui, come Mastrapasqua, di poltrone se ne intende e vanta un curriculum invidiabilissimo. Sebbene manchi di alcuni requisiti previsti dalla legge per la designazione di un Presidente dell’Inps.

IL CURRICULUM - Figlio dell'architetto Cini Boeri e del neurologo Renato Boeri, fratello di Sandro e di Stefano, rispettivamente giornalista ed architetto, si è laureato in economia nel 1983 presso l'Università Bocconi dove attualmente insegna nei corsi Undergraduate[3]. Nel 1990 ha ottenuto il PhD in economia alla New York University. Nell'università milanese è stato il primo professore a introdurre un corso interamente in lingua inglese.
Professore ordinario di economia del lavoro, svolge le proprie attività di ricerca presso l'IGIER dell'Università Bocconi. È direttore della Fondazione Rodolfo Debenedetti, istituzione volta a promuovere la ricerca nel campo della riforma dei sistemi di welfare e dei mercati del lavoro in Europa.
È stato consulente del Fondo monetario internazionale, della Banca mondiale, della Commissione europea e del governo italiano, nonché senior economist all'OCSE dal 1987 al 1996. È inoltre research fellow del CEPR, del William Davidson Institute dell'Università del Michigan, del Netspar dell'Università di Tilburg e dell'IZA - Institut zur Zukunft der Arbeit (Istituto per il Futuro del Lavoro) a Bonn. È membro del Consiglio della European Economic Association.
Ha collaborato con il quotidiano La Stampa e dal 1º maggio 2008 collabora con il quotidiano la Repubblica. Con il contributo di altri economisti, tra i quali Pietro Garibaldi, ha fondato i siti lavoce.info (rivista online su cui si confrontano le opinioni sull'economia italiana e internazionale) e Voxeu.org, ed è direttore scientifico del Festival dell'economia di Trento.

COSA PREVEDE LA LEGGE - Tra tanti e tali titoli ed attività non sembra però risultare alcun riferimento ad esperienze di tipo manageriale o amministrativo, come sarebbe richiesto per guidare l’Istituto nazionale di previdenza. Incarico a cui è stato chiamato lo scorso 24 dicembre il nostro professor Boeri. La legge sul punto è abbastanza chiara. Come si legge al comma 7 dell’articolo 7 del Dl 78 del 2010, il presidente dell’Inps «è scelto in base a criteri di alta professionalità, di capacità manageriale e di qualificata esperienza nell’esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell’Ente».
Sulla professionalità ci sono pochi dubbi. Boeri ne ha da vendere, così come di preparazione scientifica sulla materia previdenziale. Ma la capacità manageriale? E la qualificata esperienza nell’esercizio di funzioni attinenti al settore operativo dell’Inps? Data la comprovata statura del neo presidente si potrebbe pensare di non applicare la norma alla lettera e chiudere un occhio sui requisiti, che il professore potrebbe avere anche a prescindere dal curriculum. Se non fosse, però, che qualche tempo fa fu proprio Boeri ad impuntarsi sul rispetto della procedura, al punto da sottoscrivere un appello contro la nomina di Giorgio Alleva alla presidenza dell’Istat. Nulla di personale, per carità, ma dal curriculum del professore di Statistica, scrive Boeri in un articolo del 15 luglio scorso su lavoce.info, risulta «l’assenza di un profilo internazionale».
Aspetto in contrasto con la legge, secondo cui il presidente dell’Istat deve essere «scelto tra i professori ordinari in materie statistiche, economiche ed affini, con esperienza internazionale». La tesi del neopresidente dell’Inps è che in questo modo le procedure di selezione finiscono con il «disincentivare la partecipazione» di candidati eccellenti che rimangono nell’ombra per paura di una «umiliante bocciatura».

QUANTO CI COSTA BOERI - La soluzione? Non basta, secondo Boeri, pubblicare i curriculum, ma anche motivare le scelte. Cosa che il governo siamo convinti farà in questo caso. Del resto la sostituzione del commissario Tiziano Treu costerà ai contribuenti 104mila euro in più. Lo stipendio a cui l’ex ministro, già provvisto di pensione da professore e vitalizio da parlamentare, aveva generosamente rinunciato.

PENSIONI A RISCHIO - Al Corriere della Sera, per esempio, si sono ricordati con affetto di quel che alcuni anni fa era stato un lavoro scientifico del prof. Boeri giudicato forse a torto "minore": il meccanismo di "ricalcolo" delle pensioni.
Ai profani può sembrare in effetti poca cosa, ma il meccanismo tecnico disegnato - in via d'ipotesi, per carità - da Boeri era incardinato dentro un'idea di riforma complessiva del sistema pensionistico pubblico. In pratica, Boeri si è segnalato in campo pensionistico per l'idea di ricalcolare le pensioni in essere interamente con il sistema contributivo, superando la stratificazione normativa - e monetaria - creata dal tempo della "riforma Dini" (1995).
Un'altra riforma delle pensioni è del resto stata più volte evocata come "necessaria" in ambito governativo e confindustriale, ma subito le voci sono state silenziate, perché facevano sembrare il governo Renzi un po' troppo simile a tutti quelli precedenti, specie all'odiatissimo Monti-Fornero, e stavolta pure senza alcuna lacrima dietro il sorriso strafottente.
L'idea di Boeri ha invece il pregio di apparire soltanto un "dettaglio tecnico", non proprio una "riforma". Consentirebbe grandi risparmi sulla spesa pensionistica senza dover allungare ulteriormente l'età pensionabile (67 anni sono un limite che per il momento neanche la Merkel chiede di superare).
Come? Tagliando gli assegni alle pensioni già in essere. Il ragionamento è semplice quanto omicida: se si "ricalcola" l'assegno pensionistico - di quelli che già si sino ritirati dal lavoro come di chi ci andrà in futuro, da qui all'eternità - secondo il sistema contributivo (in base cioé ai contributi effettivamente versati) si ottiene una riduzione più o meno drastica della cifra erogata. DIpende da quanti anni di servizio sono stati calcolati fin qui col "retributivo" e naturalmente dall'entità dei contributi versati annualmente (in proporzione allo stipendio).
A venir falciati in misura maggiore sarebbero dunque gli assegni attualmente pagati ai pensionati che hanno avuto tutta la loro carriera calcolata col retributivo (diciamo quelli che si sono ritirati dal lavoro fino a una decina di anni fa, grosso modo). A seguire ci sarebbe un taglio sostanzioso per quanti, all'epoca della Dini, si sono visti spezzare la carriera in due periodi (una prima parte col "retributivo" e una seconda col "contributivo"). In linea teorico - ma non ci giureremmo - nulla camberebbe per quanti già ora sanno che la loro vita lavorativa sarà compensata con una pensione da fame, quantificata ina base al solo "contributivo". Constatiamo però che in campo pensionistico non sembra esistere limite alle riduzioni possibili; quindi anche i giovani attualmente al lavoro (quelli che hanno "la fortuna" di avercelo) potrebbero vedersi amputare parti più o meno consistenti dei quattro soldi che avranno a fine carriera (già ora è sotto attacco il Tfr...).

3 commenti:

  1. per le pensioni d'oro sono d'accordo al ricalcolo.

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    1. concordo in pieno con te, speriamo che questo Boeri trovi finalmente il modo di tagliare le pensioni "d' oro" (vedi privilegi dei politicie assimilati) e anche quelle dette "BABY" cioe' di chi ha versato solo 15 anni di contributi e riscuotera' la pensione x 40 anni (vedi moglie di Bossi che e' andata in pensione a soli 42 anni !) Un po' di giustizia farebbe bene a questa Italia piena di furbetti...speriamo solo che sia cosi' e non si vada invece a colpire ancora chi ha versato 40 anni di contributi e prende 1200 € al mese.

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  2. anche per i vitalizi degli ex-parlamentari.

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