venerdì 3 ottobre 2008

SAY CONTRO KEYNES


I capi di Stato dei principali Paesi europei, si stanno riunendo in queste ore per varare un piano anticrisi contro la difficile situazione dei mercati internazionali.

Di fatto, oggi si è consumata una giornata drammatica per le borse, di quelle che non si vedevano dal 1987. Si è andati dal quasi -6% di Zurigo, all’oltre -19% di Mosca. Il piano approvato sabato dal Congresso americano (immissione di 700 miliardi di dollari statali nel mercato e varie misure bancarie di tutela), nonché i buoni propositi (ma senza concretezza) dei Governi centrali delle altre superpotenze, non sono bastati per evitare il peggio. Tutti evocano l’intervento dello Stato, per tutelare i piccoli risparmiatori, le banche, gli investitori…

Passa per i primi, sinceramente trovo un po’ ingiusto l’intervento dello Stato per salvare le banche e i grandi investitori. Non è possibile che le prime possano attuare  le condizioni contrattuali che vogliono ai clienti, senza particolari controlli, o come nel caso degli USA, concedere mutui senza particolari garanzie in cambio ai clienti (per rilanciare l’economica disastrata dopo “l’11 settembre”), oppure ancora stringere fusioni e alleanze tra loro senza rispondere particolarmente a nessun organo di controllo o ai sindacati, e poi ritrovarsi in crisi ed evocare l’aiuto dello Stato, in nome della protezione dei piccoli risparmiatori.

I grandi investitori invece giocano alla borsa, e soprattutto in Italia, pagando bassi contributi per ogni operazione, mettendo spesso a rischio dipendenti e piccoli azionisti. E poi da un momento all’altro, escono di scena, con il loro bel profitto. E se hanno commesso illeciti, se la cavano con qualche anno di domiciliari.

Facile così fare i capitalisti, tanto ci pensa lo Stato a salvarli. Quando le cose vanno bene e c’è possibilità di guadagnare, lo Stato è visto come un demone da tenere lontano dall’economia; quando le cose vanno male, si evoca il suo aiuto, in nome dell’interesse della collettività.
Insomma, nel primo caso si osanna il liberismo selvaggio del “laissez faire” e della mano invisibile di Say, per il quale il mercato va lasciato libero poiché è capace di auto-equilibrarsi; nel secondo caso, si tira in ballo Keynes, che teorizzava come positivo l’intervento dello Stato per sollecitare l’economia, poiché il mercato non può essere lasciato a sé stesso (del resto le sue teorie presero piede all’indomani della crisi economica internazionale a cavallo degli anni ’20 e ’30).

Ha vinto ancora Keynes insomma; ma appena il mercato andrà meglio e per i rampanti investitori si apriranno orizzonti di guadagno, ecco che si ripescherà Say e la sua mano invisibile. La stessa che, puntualmente, toglie soldi dalle tasche dei cittadini; gli unici a non guadagnarci mai, comunque vadano i mercati.
 

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