NELLA GIORNATA DEDICATA ALLE DONNE, E CON L’AVVICINARSI DEI 150 ANNI DALL’UNITA’ D’ITALIA, UNA STORIA POCO CONOSCIUTA CHE VALE LA PENA RACCONTARE
Tra pochi giorni il nostro malato Paese festeggerà i 150 anni di unità politica, sociale e culturale. Almeno sulla carta. Tante sono le battaglie che ci sono state raccontate dai libri di storia e dai documentari televisivi, condotte e vinte da chi quell’Unità l’ha voluta forse per propri interessi economici. Ma ci sono anche tante storie parallele, da essi occultati, di persone che hanno difeso la propria terra natia da chi veniva visto ai loro occhi come invasori e ladri dei propri (magari miseri) possedimenti.
Cogliendo l’occasione della Festa della donna, racconto qui di seguito la vita di Michelina Di Cesare, casertana, che ha combattuto da brigantessa in difesa delle sue terre tra il 1861 e il 1868, quando esse passarono dalla legislazione del Regno delle due Sicilie a quella dei Savoia.
LE ORIGINI POVERE, IL CARATTERE RIBELLE - Michelina Di Cesare è nata il 28 ottobre 1841 a Caspoli, una piccola frazione di Mignano Monte Lungo, in provincia di Caserta. Originaria di una famiglia poverissima, si è data fin da piccola a furti e abigeati insieme al fratello Giovanni. A vent’anni si sposò con Rocco Tanga, che morì l'anno dopo (1861) lasciandola vedova. Mentre nel 1862 conobbe Francesco Guerra, ex soldato borbonico e renitente alla leva indetta dal nuovo Stato, il quale si diede alla macchia aggregandosi alla banda di Rafaniello (Domenicangelo Cecchino) fino a diventarne capo nel 1861 alla morte di costui. Michelina ne divenne la donna e in seguito lo raggiunse in clandestinità, come resta testimonianza in un interrogatorio del brigante Ercolino Rasti nel 1863.
ASSUNSE LA GUIDA DELLA BANDA - Di questa banda Michelina divenne elemento di spicco e fu stretta collaboratrice del suo uomo e capobanda. Di ciò si ha chiara notizia dalla testimonianza dello stesso Domenico Compagnone, che sempre in quell'interrogatorio aggiunse: “La banda è composta in tutto di 21 individui, comprese le due donne che stanno assieme a Fuoco e Guerra, delle quali quella di Guerra è anch'essa armata di fucili a due colpi e di pistola. Della banda solo i capi sono armati di fucili a due colpi e di pistole, ad eccezione dei due capi suddetti che tengono il Revolvers”. Dunque non solo Michelina Di Cesare era parte effettiva della banda, ma alla luce delle armi che portava, anche una dei suoi capi riconosciuti.
La tattica di combattimento della banda era tipicamente di guerriglia, con azioni di piccoli gruppi che concluso l'attacco si disperdevano alla spicciolata, eventualmente per riunirsi in seguito in punti prestabiliti.
La banda di Michelina, talvolta singolarmente, talvolta in unione ad altre famose bande locali, corse parecchi anni (dal '62 al '68, come appare dalla nota del sindaco di cui sopra) il territorio tra le zone montuose di Mignano e i paesi circonvicini, compiendo assalti, grassazioni, ruberie e sequestri. Famoso è rimasto l'assalto al paese di Galluccio, con lo stratagemma di alcuni briganti travestiti da carabinieri che conducevano altri briganti nella loro foggia fintamente catturati. Le scorrerie non scemarono neppure quando dopo il 1865 in molte altre zone del Sud il brigantaggio era stato fortemente ridimensionato.
LA MORTE - Nel 1868 fu mandato in quelle zone il Generale Emilio Pallavicini di Priola, protagonista di vari combattimenti, ultima la futura Presa di Porta pia del 1870. Gli furono affidati i pieni poteri per dare una stretta decisiva alle misure repressive. A tali misure e alle minacce il Pallavicini seppe efficacemente usare le ricompense per le delazioni e le spiate, e proprio una spiata fece cadere la banda Michelina in un agguato, dove perse la vita con il suo uomo.
I briganti vennero fucilati ed i loro corpi furono messi a nudo ed esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale. Correva l’anno 1868, il 30 agosto a Mignano Monte Lungo. Michelina fu restituita a quella terra che aveva difeso fino alla morte.
La storia di Michelina Di Cesare è ripresa nel libro di Eugenio Bennato “Brigante se more”, pubblicato lo scorso anno. Le ha dedicato anche una canzone: “Il sorriso di Michela”:
Tra pochi giorni il nostro malato Paese festeggerà i 150 anni di unità politica, sociale e culturale. Almeno sulla carta. Tante sono le battaglie che ci sono state raccontate dai libri di storia e dai documentari televisivi, condotte e vinte da chi quell’Unità l’ha voluta forse per propri interessi economici. Ma ci sono anche tante storie parallele, da essi occultati, di persone che hanno difeso la propria terra natia da chi veniva visto ai loro occhi come invasori e ladri dei propri (magari miseri) possedimenti.
Cogliendo l’occasione della Festa della donna, racconto qui di seguito la vita di Michelina Di Cesare, casertana, che ha combattuto da brigantessa in difesa delle sue terre tra il 1861 e il 1868, quando esse passarono dalla legislazione del Regno delle due Sicilie a quella dei Savoia.
LE ORIGINI POVERE, IL CARATTERE RIBELLE - Michelina Di Cesare è nata il 28 ottobre 1841 a Caspoli, una piccola frazione di Mignano Monte Lungo, in provincia di Caserta. Originaria di una famiglia poverissima, si è data fin da piccola a furti e abigeati insieme al fratello Giovanni. A vent’anni si sposò con Rocco Tanga, che morì l'anno dopo (1861) lasciandola vedova. Mentre nel 1862 conobbe Francesco Guerra, ex soldato borbonico e renitente alla leva indetta dal nuovo Stato, il quale si diede alla macchia aggregandosi alla banda di Rafaniello (Domenicangelo Cecchino) fino a diventarne capo nel 1861 alla morte di costui. Michelina ne divenne la donna e in seguito lo raggiunse in clandestinità, come resta testimonianza in un interrogatorio del brigante Ercolino Rasti nel 1863.
ASSUNSE LA GUIDA DELLA BANDA - Di questa banda Michelina divenne elemento di spicco e fu stretta collaboratrice del suo uomo e capobanda. Di ciò si ha chiara notizia dalla testimonianza dello stesso Domenico Compagnone, che sempre in quell'interrogatorio aggiunse: “La banda è composta in tutto di 21 individui, comprese le due donne che stanno assieme a Fuoco e Guerra, delle quali quella di Guerra è anch'essa armata di fucili a due colpi e di pistola. Della banda solo i capi sono armati di fucili a due colpi e di pistole, ad eccezione dei due capi suddetti che tengono il Revolvers”. Dunque non solo Michelina Di Cesare era parte effettiva della banda, ma alla luce delle armi che portava, anche una dei suoi capi riconosciuti.
La tattica di combattimento della banda era tipicamente di guerriglia, con azioni di piccoli gruppi che concluso l'attacco si disperdevano alla spicciolata, eventualmente per riunirsi in seguito in punti prestabiliti.
La banda di Michelina, talvolta singolarmente, talvolta in unione ad altre famose bande locali, corse parecchi anni (dal '62 al '68, come appare dalla nota del sindaco di cui sopra) il territorio tra le zone montuose di Mignano e i paesi circonvicini, compiendo assalti, grassazioni, ruberie e sequestri. Famoso è rimasto l'assalto al paese di Galluccio, con lo stratagemma di alcuni briganti travestiti da carabinieri che conducevano altri briganti nella loro foggia fintamente catturati. Le scorrerie non scemarono neppure quando dopo il 1865 in molte altre zone del Sud il brigantaggio era stato fortemente ridimensionato.
LA MORTE - Nel 1868 fu mandato in quelle zone il Generale Emilio Pallavicini di Priola, protagonista di vari combattimenti, ultima la futura Presa di Porta pia del 1870. Gli furono affidati i pieni poteri per dare una stretta decisiva alle misure repressive. A tali misure e alle minacce il Pallavicini seppe efficacemente usare le ricompense per le delazioni e le spiate, e proprio una spiata fece cadere la banda Michelina in un agguato, dove perse la vita con il suo uomo.
I briganti vennero fucilati ed i loro corpi furono messi a nudo ed esposti nella piazza centrale di Mignano a monito della popolazione locale. Correva l’anno 1868, il 30 agosto a Mignano Monte Lungo. Michelina fu restituita a quella terra che aveva difeso fino alla morte.
La storia di Michelina Di Cesare è ripresa nel libro di Eugenio Bennato “Brigante se more”, pubblicato lo scorso anno. Le ha dedicato anche una canzone: “Il sorriso di Michela”:
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