DOPO IL CASO MONDAZZOLI, L'EDITORIA ITALIANA VEDE UN ALTRO
ACCORPAMENTO
Chissà come avrebbe definito questa operazione Umberto Eco,
dopo aver coniato il termine Mondazzoli per la fusione di Mondadori (che a sua
volta già comprende Einaudi) con Rizzoli, che pone di fatto sotto il controllo
berlusconiano una fetta molto consistente (diciamo pure egemonica) del mercato
di libri e riviste. Il Gruppo editoriale l'Espresso e la Itedi hanno siglato
molto velocemente un accordo che vale il 20% del mercato italiano della carta
stampata e una buona fetta dell'informazione online, ponendo Repubblica, La
Stampa e Il Secolo XIX sotto un'unica proprietà. Ed ecco che così, a distanza
di oltre trent'anni, a contendersi il mercato dell'editoria italiana sono
sempre e ancora loro: Berlusconi e De Benedetti. Soliti giganti in un sistema
che non si è mai realmente aperto al libero mercato e al merito, e dove chi ha
coraggio e competenze viene quasi sempre schiacciato dal Paperone ammanigliato
di turno. Un mercato che ha visto interessata storicamente anche la famiglia
Agnelli, ma sempre con poca convinzione. Ed ora meno che mai, per la voglia di
fuga da investimenti italiani che ha.
AGNELLI IN FUGA DALL'ITALIA -
Sarà come sempre il gruppo più grande a incorporare il più piccolo, dunque De
Benedetti a prendersi le testate storiche della famiglia Agnelli. Ma non si
tratta di una inversione di potenza tra colossi industriali. L'ex Fiat, ora
Fca, sta assumendo definitivamente tutti i contorni e le logiche operative di
una multinazionale troppo grande per restare legata a un paese che non conta un
tubo. Quindi Marchionne e Elkann si vanno liberando di pesi provinciali –
oltretutto in perdita sistematica, visto che l'editoria dei quotidiani non
riesce da nessuna parte a produrre utili – mentre si tuffano nell'editoria che
conta, con i 400 milioni investiti nella partecipazione all'Economist, testata
certo più rilevante per l'immagine di una multinazionale che voglia farsi
rispettare. Anche la storica partecipazione al Corriere della Sera finisce
nello stesso modo, proprio alla vigilia di un aumento di capitale che per il
Lingotto avrebbe significato un (inutile) esborso.
In questo modo la Fca si libera anche di diversi debiti e
può concentrarsi sulle operazioni societarie più “naturali”, come la progettata
fusione con un altro grande produttore di automobili (da tempo Marchionne
corteggia General Motors, ricevendo però finora solo dinieghi). Ciò conferma in
pieno l'addio degli Agnelli all'Italia, che non è in effetti più in grado di
regalare nulla alla famiglia industriale più importante del paese, anche grazie
alla storica sudditanza della classe politica davanti agli interessi della
Fiat. Una sudditanza sapientemente costruita anche con il controllo articolato
del sistema dei media, con la nomina dei direttori più fedeli e la corruzione
“semi-spontanea” dei giornalisti più autorevoli.
ANCHE IL CORRIERE VERSO UNA FUSIONE?
- Dagospia paventa addirittura l'ipotesi che La Stampa e Il Secolo XIX vengano
relegati a inserti locali di Repubblica rispettivamente a Torino e a Genova.
Ora bisogna anche capire che fine farà un altro storico giornale italiano: Il
Corriere della sera, anch'esso in odore di cessione dalla quota Agnelli. E
anche per lo storico giornale di Via Solferino si paventa l'ipotesi di una
fusione con un altro giornale italiano di prestigio e molto influente: Il Sole
24 Ore, proprio per contrastare l'unione Repubblica-La Stampa. Sarebbe
l'ennesima minaccia al pluralismo dell'informazione, con
giornali filo-lobby sempre più potenti. Ma anche ai posti di lavoro dei
giornalisti che vi collaborano. Perché in genere fusione fa rima con
disoccupazione. Ovvero tagli e razionalizzazione del personale.
Nessun commento:
Posta un commento