MOLTE ZONE SONO DA ANNI SOTTRATTE AL TURISMO, ALLA PESCA,
ALL’AGRICOLTURA E ALLA PASTORIZIA
Nell’immaginario collettivo, quando si parla di Sardegna,
vengono subito in mente spiagge bianche incontaminate bagnate da un mare
cristallino o ampie distese verdi dove tipici pastori fanno pascolare il
proprio gregge. Peccato che tutto ciò sia solo, appunto, immaginario
collettivo. Ormai la terra sarda è solo un lusso per pochi che ivi hanno la
propria bella villona con accesso diretto sul mare: o magari per quanti possono
permettersi soggiorni in Hotel o Villaggi vacanze. Ma soprattutto, è sempre più
(e solo) una terra destinata alle esercitazioni militari, italiane e straniere.
Il tutto con il beneplacito del governo nazionale e regionale, con gravi
ripercussioni non solo sull’ambiente, deturpato da tali attività poco consone
con l’eco-sistema, ma anche sui sardi stessi, i quali si stanno ammalando in
modo sempre più grave e diffuso.
PRIMAVERA, STAGIONE DI ESERCITAZIONI
- «Esercitazioni a fuoco: lanci di missili e razzi nel mese di marzo, aprile,
maggio e giugno 2012». Le ordinanze 41, 43, 48 e 51 dalla Capitaneria di porto
di Cagliari - a firma del capitano di vascello Vincenzo Di Marco su ordini
superiori della Difesa imposte con procedura d’urgenza - ordinano
l’interdizione alla navigazione, all’approdo, alla pesca ed ai mestieri affini,
entro le acque territoriali comprese nella giurisdizione del circondario
marittimo cagliaritano. Al miglior offerente. Il 29 novembre 2006 l’allora Capo
di Stato Maggiore dell’aeronautica, Vincenzo Camporini dichiarava in
un’audizione alla Camera: «Le elevate potenzialità delle strutture militari
della Sardegna, per l’addestramento operativo di forze aeree sono diventate oggetto
di interesse di vari Paesi alleati e amici. In particolare di francesi e
tedeschi. La Francia è infatti disposta a integrare le strutture già presenti
in Corsica. Mentre la Germania è orientata a ottimizzare gli oltre 13 milioni
di euro che versa ogni anno all’Italia per l’utilizzo di un’altra base sarda,
quella di Decimomannu». Capo Frasca, Capo Teulada e Salto di Quirra sono gli
scenari più evidenti di occupazione militare. Solo a Capo Frasca ci sono a
disposizione 1.416 ettari. A gestire il poligono è proprio l’aeronautica. E a
Capo Frasca insistono un eliporto, impianti radar e basi di sussistenza. “La
Difesa ci ridia la baia”: l’amministrazione comunale di Tertenia chiede al
Poligono di Quirra la restituzione agli usi civili dei quattro ettari in riva
al mare dove alloggia la postazione militare di Punta Is Ebbas. La richiesta è
stata inoltrata invano, ben 5 anni fa dal sindaco Pisu al ministero della
Difesa.
Gli ultimi a sbarcare sono stati i militari israeliani, con
la stella di Davide in evidenza, per testare armi e munizioni proibite da usare
contro i palestinesi, bambini, pacifisti e giornalisti compresi.
IL GIRO DI AFFARI - Ma in
questo feudo dello Stato Maggiore Difesa hanno sperimentato in tanti. Un
vergognoso esempio? Lo Stato italiano, segretamente, dopo aver siglato il
Trattato internazionale di non proliferazione nucleare, ha seguitato a provare
il missile atomico Polaris, in collaborazione con Fiat, Ansaldo e Marina
Militare tricolore. Insomma, siamo sbarcati in un centro d’eccellenza dove si
sondano nuovi armamenti. I clienti non latitano. Sul poligono piovono nel 2007
soldi aerospaziali: un milione di euro. Dalla ricerca aerospaziale arriva
sull’Ogliastra una pioggia di denaro. Un milione e duecentomila euro per tre
anni con la possibilità di rinnovare l’accordo per ulteriori dieci anni: questa
la somma che il Centro italiano di ricerche aerospaziali (Cira) verserà al
ministero della Difesa per l’utilizzo del Poligono Sperimentale Interforze del
Salto di Quirra. Lo ha detto, qualche tempo fa, il sottosegretario alla Difesa,
Emidio Casula, secondo cui «si tratta di un primo concreto esempio di impiego
per scopi civili delle professionalità e delle attrezzature del Pisq che
dimostra concretamente di essere una risorsa preziosa per i programmi di
sviluppo aerospaziale nazionale». A Quirra si sprofonda attraverso una strada
che solca un inferno in terra. Un pugno di case e nessuna industria. Le persone
giungono qui a raccogliere i funghi e a fare qualche bagno nel mare proibito.
Ci sono agrumeti: arance e limoni che i sardi ti regalano con sguardo fiero.
C’erano, una volta, le pecore al pascolo libero. Ora è difficile intravederle:
i pastori versano lacrime di sangue, molti agnelli sono nati deformi. A un tiro
di schioppo dal centro abitato si staglia una lunga cesoia di filo spinato e un
check point: tredicimila ettari di poligono per eserciti che giocano alla
guerra, incuranti delle ferite sanitarie inferte alle persone natie e dei danni
ambientali al luogo. Piombano in mimetica, ma anche in giacca e cravatta. Dal
microcosmo dei civili si avvertono solo esplosioni e si paga con il proprio
sangue; nulla più in omaggio dallo Stato alla gente del luogo. «Quirra si è
accorta di essere malata quando è venuta a sapere del primo militare sardo ucciso
dall’uranio impoverito», racconta Mariella Cao, antica combattente civile del
“Comitato gettiamo le basi”. Corre il 1999 e l’Italia sta combattendo una
guerra in ex Jugoslavia. Si inizia a balbettare di Sindrome dei Balcani. In
Sardegna, invece, va in scena la morte di Quirra. Sotto accusa i proiettili
all’uranio impoverito, arma potente e a basso costo capace di trasformare le
corazze in burro. «Se nei teatri di guerra usavano quel tipo di proiettili da
qualche parte dovevano pur testarli» continua Cao.
UN TERRITORIO MILITARMENTE OCCUPATO
- «La Sardegna dal mare alla terraferma
è occupata dalla più estesa servitù militare d’Europa» rivela l’ammiraglio
Falco Accame, ex presidente della Commissione parlamentare Difesa. In
quest’isola è concentrato l’80 per cento dei centri di sperimentazione bellica
in Italia. Nell’isola il demanio militare permanentemente impegnato ammonta a
36 mila ettari; in tutta la penisola italiana raggiunge i 16.000 ettari. Questa
cifra integra i 12 mila ettari gravati da servitù militare. Gli spazi aerei e
marittimi sottoposti a schiavitù militare sono di fatto incommensurabili, solo
uno degli immensi tratti di mare annessi al poligono Salto di Quirra con i suoi
2.840.000 ettari supera la superficie dell’intera isola (kmq 23.821). Tradotto:
durante le esercitazioni viene interdetto alla navigazione, alla pesca e alla
sosta marittima un braccio di mare immenso: quasi 30 mila chilometri quadrati
attorno all’isola. Tutto segreto. Oltre agli accordi Nato, sono vigenti i patti
bilaterali Italia-Usa per installare in Sardegna avamposti militari gestiti
direttamente ed esclusivamente dai militari nordamericani: questi atti sono
stati assunti dai governi italiani (responsabilità particolare di Giulio
Andreotti) calpestando la Costituzione e senza informare il Parlamento.
«Sa die de sa vardiania»: il giorno della sorveglianza,
recita un cartello in lingua sarda. A Quirra, minuscola frazione di Villaputzu
in provincia di Cagliari, la popolazione seguita a morire. Decine di persone
uccise dalla leucemia in un paese di 150 abitanti e 14 bambini nati con gravi
malformazioni. Numeri da scenario di guerra in un belpaese in letargo. Abbonda
l’uranio artificiale a Quirra: qui aleggiano -secondo gli accertamenti
ufficiali- valori di radioattività cinque volte superiori alla norma. Lo hanno
scoperto il 26 febbraio 2011 gli esperti inviati dalla Procura della Repubblica
di Lanusei per un’ispezione nel poligono. «Lo hanno trovato all’interno di
cinque cassette, sistemate in un deposito di materiali speciali, compreso il
munizionamento rimasto inesploso dopo le esercitazioni e in attesa di una
futura distruzione. Magazzino senza nessuna misura di protezione o di
sicurezza, senza nessun cartello di pericolo, dove l’accesso era libero per
chiunque lavori all’interno della base» mi spiega la Cao.
Il deposito si trova a Capo San Lorenzo, ad un soffio dalla
spiaggia e dalla zona dove, secondo i veterinari delle Asl di Lanusei e
Cagliari, si sono ammalati di cancro nel sangue gran parte dei pastori. È una
solida conferma nell’inchiesta del procuratore Domenico Fiordalisi. Il deposito
di Quirra è stato sequestrato e sigillato, le cinque cassette metalliche
altamente radioattive sono state consegnate al professor Paolo Randaccio,
fisico nucleare dell’Università di Cagliari.
Secondo la Relazione conclusiva della Commissione tecnica -
«le indagini hanno mostrato la sussistenza di reali impatti negativi sulle aree
ad alta densità militare e zone adiacenti accanto ad ampie porzioni di
territorio che non sembrerebbero interessate da significative contaminazioni».
Anche in altri poligoni, come sostiene il parlamentare Scanu in una recente
mozione, «si sono verificate situazioni inaccettabili di grave degrado
ambientale, come ad esempio nel poligono Delta presso il poligono di Capo
Teulada, interdetto anche al personale della base e giudicato non bonificabile
dalle autorità militari».
LE MALATTIE - L’ispezione è
scaturita dalle denunce presentate alla Squadra mobile di Nuoro. Gli inquirenti
hanno potuto appurare che in quei magazzini diversi soldati che lavoravano come
magazzinieri si erano ammalati tutti della stessa patologia: linfoma di
Hodgkin. Uno dei tumori più aggressivi. La Procura di Lanusei indaga per
«omicidio plurimo, danni ambientali e omissione di controllo». Il poligono di
tiro della Difesa viene utilizzato anche da altri eserciti e da multinazionali
degli armamenti che testano armi di ogni tipo, coperti dal segreto di Stato,
dagli omissis della Nato e delle industrie di morte. Gli inquirenti hanno
scovato nell’ordine: un missile con 100 chili di esplosivo impigliato nelle
reti di un peschereccio, una discarica sottomarina fatta di vecchie bombe e
rottami di radar e un sito abusivo pieno di bersagli.
Nel 2006 interviene la Regione Sardegna: si esamina un
campione di 26.130 abitanti su un territorio di 10 comuni. Il periodo di
riferimento va dal 1981 al 2001. Risultato? Si rileva una crescita di tumori
del sistema linfoemopoietico. Significa mielosi e leucemie. Trentasei morti.
Sopra la media, ma non abbastanza da non rappresentare una prova diretta e
inequivocabile. In effetti, per verificare se in quel territorio ci sono troppi
tumori basta fare una banale operazione aritmetica. Bisogna incrociare i dati
dell’indagine della Regione con le cifre fornite dall’Asl 8 sui casi a
Villaputzu tra il 1998 e il 2001 e su quelli a Muravera-San Vito nell’anno
2000. Risultato? Il 75 per cento dei morti - 27 su 36 - sono concentrati in un
piccolo pezzo di terra tra Villaputzu, Muravera e San Vito. Un’area, nemmeno
troppo popolata, che non ha nulla attorno, se non il poligono militare. E, per
la cronaca, i 14 morti di Villaputzu sono quasi tutti nella frazione di Quirra,
che conta 150 abitanti. Nel gennaio del 2011 arriva un’ulteriore conferma. Due
veterinari dell’Asl di Cagliari e Lanusei, insospettiti dall’eccessivo numero
di pecore malformate, iniziano a contare quanti uomini e quanti animali si
ammalano. Risultato? Dieci pastori su 18 che lavorano entro un raggio di 2,7
chilometri dalla base hanno la leucemia.
Un lancio dell’agenzia Agi (2 aprile 2007) avvertiva: «Capo
Frasca: Accame, “avieri sgombra-bossoli morti o ammalati”. Nel poligono
militare di Capo Frasca, in Sardegna, giovani avieri erano impiegati nella
raccolta a mani nude degli ordigni sganciati dagli aerei durante le esercitazioni
militari. Lo denuncia il presidente dell’Anavafaf, l’Associazione nazionale
assistenza vittime arruolate nelle forze armate e famiglie dei caduti, in
riferimento ai casi di Ugo Pisani, Gianni Fredda e Maurizio Serra, che
prestarono servizio come Vam, addetti alla vigilanza dell’aeroporto, nel
poligono sardo». L’assassino è conosciuto con la sigla U 238: uranio impoverito
che ha tolto la vita a Gianni Faedda e Maurizio Serra due Vam del poligono di
Capo Frasca costretti a sgomberare a mani nude e senza nessuna protezione dalle
polveri di uranio impoverito i proiettili sganciati dagli aerei nella base
addestrativa. Nel 2006 il padre di uno dei due avieri morti, Antonio Serra,
aveva incaricato l’avvocato di avviare la battaglia legale per il risarcimento
dal ministero della Difesa ai sensi della legge 308/81, che prevede elargizioni
speciali per infortunio o decesso in servizio. Ma undici mesi più tardi il
Ministero ha negato l’indennizzo.
L’INQUINAMENTO - Gli ordigni
sono adagiati sul fondo del mare. Basta allungare lo sguardo, oltre il manto
trasparente dell’acqua, per distinguere i letali cilindri metallici. “Bombe
sono”, dice Antonio Loru, volto marchiato dal sole come quello degli altri
pescatori di Teulada e Sant’Anna Arresi. I quali, appese reti e nasse al
recinto del Poligono militare di Capo Teulada, sono scesi in sciopero. E’ dal
dicembre 2003 che protestano pubblicamente, ma le istituzioni statali non
ascoltano. Quando le condizioni meteomarine lo consentono, escono sui loro
pescherecci a sfidare i giochi di guerra, rallentando una macchina bellica che
non ammette soste forzate. Stazionano giornate intere nelle acque su cui il
transito è permanentemente vietato. E rischiano anche di prendersi qualche
cannonata, scendendo in mare a manovre iniziate. Infatti, proprio come i civili
che nell’isola portoricana di Vieques, hanno costretto gli americani a
abbandonare la base, i pescatori occupano le zone di tiro durante le
esercitazioni. Qui hanno gettato le reti per decenni nei giorni in cui non si
sparava. Adesso non possono più farlo. Da qualche tempo fioccano le multe: due
tre, cinquemila euro. E i settanta pescatori invisibili all’opinione pubblica
nazionale si sono ribellati. Chiedono a gran voce la bonifica di almeno qualche
miglio lungo la costa. Hanno barche piccole, nasse e tramagli devono essere
calati su fondali non tropo alti. Fondali che pullulano di bombe. Questa zona
che va all’incirca da Porto Pino all’Isola Rossa, è permanentemente interdetta
al transito dei mezzi e delle persone per la presenza di residuati esplosivi
«di cui non è possibile o conveniente la bonifica», asserisce lo Stato maggiore
dell’Esercito italiano. L’operazione di ripulitura comporterebbe dieci,
quindici anni di lavoro e una spesa che, si ipotizza, potrebbe oscillare
intorno a qualche centinaio di miliardi di vecchie lire. I pescatori chiedono
di svolgere la loro attività nell’immensa zona a mare interdetta, l’unica
accessibile alle loro piccole imbarcazioni, ed “esigono” che l’area, come
impongono leggi e regolamenti delle Forze Armate italiane, sia bonificata,
ripulita dall’accumulo di ordigni bellici esplosi e inesplosi. Per poter
ripulire il tratto di mare sottoposto da 50 anni a schiavitù militare e mai
bonificato, a detta di alcuni militari, bisognerebbe sospendere tutte le
attività del poligono per circa 15 anni.
Un ammiraglio ha valutato “a occhio” i costi dell’operazione
e ha affermato (rifiutando che fosse messo a verbale) che “per la Difesa
sarebbe economicamente più conveniente regalare una villetta in Tunisia a tutti
i teuladini accollandosi anche le spese di trasferimento”. Quante sono le
bombe? Un numero indefinito, gli stessi militari non sanno dire. Sono un
omaggio per quasi mezzo secolo di attività del Poligono militare di Capo
Teulada. Alcune forse inattive, altre solo inesplose. Ma chi potrebbe
distinguerle? “Io combatto da 65 anni. C’era la guerra quando sono nato e non è
ancora finita”, commenta ancora Loru. “Da 33 anni mi sveglio alle 4 del mattino
per pendere il mare, ma sono a casa mia”. Aveva 12 anni quando la sua e altre
250 famiglie furono costrette a svendere la casa per quattro lire per
consentire la costruzione del Poligono.
E’ un conflitto lungo, estenuante, complicato, perché le
forze militari internazionali pagano salato, per martoriare con ordigni d’ogni
genere (compreso l’uranio impoverito, come documentano le relazioni di servizio
della Nato) questi 7.200 ettari di terra - e uno specchio di mare largo
all’incirca un quinto dell’isola - acquistati dalle famiglie che abitavano lì.
Ma il peso contrattuale di questo nugolo di pescatori cresce: maggiore è
l’esercitazione che disturbano, maggiore il danno. Nel frattempo, la
popolazione del comune di Teulada, dimezzatasi dacché esiste il Poligono,
registra ufficialmente il notevole incremento di svariate forme tumorali e già
nel 2000, prima che fosse di dominio pubblico la questione dell’uranio
impoverito, sui muri del paese si leggeva: «Benvenuti a Uraniopoli». Il
colonnello Mongiorgi, comandante del Poligono, nega con fermezza che vengano utilizzate
armi all’uranio e dice: “Controlliamo le munizioni di tutti quelli che vengono
qui a sparare”. Anche quelle delle navi straniere? Risposta: “No comment”.
LE ESERCITAZIONI NAVALI -
come quelle della Seconda flotta Usa, che viene a sparare qui soprattutto da
quando è stata cacciata dall’isola di Vieques, segnata dall’alto grado di
tumori e malattie polmonari, cardiache, cardiovascolari, da diabete e alta
mortalità infantile - si effettuano con cannonate che dal mare puntano verso
terra e comportano l’interdizione di un tratto di acqua molto ampio. Un esempio
illuminante quanto alla considerazione militare per l’incolumità della
popolazione civile proviene addirittura dagli States. Dal 1977 ogni tre mesi la
US Navy svolge esercitazioni a pochi chilometri dalla costa statunitense,
sparando proiettili all’uranio impoverito che vengono così disseminati in mare,
in aree che sono al tempo stesso dedite alla pesca. E’ il nome del cannone
prodotto dalla Raytheon e installato su quasi tutte le navi da combattimento
statunitensi; spara fino a 4500 proiettili da 20 millimetri al minuto,
contenenti un penetratore di uranio impoverito da 15 millimetri. Noncurante dei
gravi rischi ambientali, la US Navy ha da sempre optato per l’economico ma
letale uranio impoverito, e, continua ad utilizzarlo nonostante tempo fa avesse
annunciato l’intenzione di passare al tungsteno. Solo di recente Glen Milner
del gruppo pacifista Ground Zero è venuto in possesso di un documento che
dimostra come la marina militare continui ad utilizzare per queste
esercitazioni proiettili all’uranio impoverito, e le svolga in aree vicino alla
costa di Washington e Seattle. Ciò ha suscitato notevoli preoccupazioni tra i
pescatori e nella popolazione locale, anche perchè sono note le conseguenze dell’uso
di queste armi nell’ambiente durante le guerre in Iraq, Jugoslavia e
Afghanistan. La US Navy non ha fornito informazioni ulteriori su come si
svolgono queste esercitazioni, ma i cittadini delle zone coinvolte sono
comunque determinati a fare chiarezza e in caso a denunciare la marina militare
statunitense.
E’ comunque difficile per gli autoctoni, che di incidenti ne
hanno visti e subiti parecchi, credere che sia tutto sotto controllo. Sanno
bene, infatti, che le bombe inesplose nei fondali vengono trascinate dalle
correnti anche miglia e miglia oltre le zone interdette. Spesso le cannonate
sparate dal Poligono piovono sulla zona libera di Porto Pino, sorvolando le
teste dei residenti e degli occasionali visitatori. E succede anche che i
carristi finiscano sempre per errore con i loro cingolati in qualche centro
abitato. Le maggiori preoccupazioni, tuttavia, riguardano i rischi per la
salute. L’incidenza di leucemie, tumori e malformazioni alla nascita nelle zone
intorno alle basi militari è una coincidenza che spalanca squarci inquietanti e
imbarazzanti. Un sempre maggiore numero di cittadini sardi -sostenuti dal
Comitato Gettiamo le Basi- chiede che i poligoni e la basi dell’isola siano
sottoposti a indagine super partes, a controlli permanenti e scientificamente
qualificati: da Teulada a Quirra, da Perdasdefogu a Decimomannu, fino a Capo
Frasca e alla base Usa di sommergibili a propulsione ed armamento nucleare di
Santo Stefano (arcipelago La Maddalena), sloggiata nel 2008.
L’IMPEGNO DEI CITTADINI - «Per
gli uccisi da veleni di guerra e di poligono» esigono alcune associazioni
locali: “Comitato Sardo gettiamo le basi”, Famiglie militari uccisi da tumore”,
“Comitato Su Santidu”, “Comitato Amparu”. Si chiede di fermare la strage di
Stati. «Dal 15 luglio 2011 il rappresentante del Governo ci offre molte parole
di umana comprensione, il Governo permane in silenzio tombale» ripetono i
responsabili delle associazioni in pacifica mobilitazione. La Procura della
Repubblica di Lanusei con prove inoppugnabili ha risolto il mistero - che da 11
anni si vuole tale - del disastro ambientale e sanitario causato dal poligono
Quirra-Perdasdefogu. Ha trovato alcune delle “armi del delitto”: lo smaltimento
della spazzatura bellica Italia-Nato, sia in discariche fuorilegge, sia con i
brillamenti fuorilegge, e conseguente contaminazione di aria, suolo, acque; le
emissioni radar; il torio radioattivo sparso dai missili, accumulato e
conservato nelle povere ossa degli uccisi. Ha messo sotto accusa: alcuni degli
intoccabili in divisa, otto generali, un maggiore, due colonnelli, il tenente
ex sindaco di Perdasdefogu; alcuni complici di alcuni dei depistaggi, i sei
responsabili di due indagini “scientifiche” truffa approntate dal ministero
della Difesa; due esponenti della vasta “zona grigia” dedita all’ostinata
rimozione dell’evidenza. Il sindaco di Perdasdefogu e l’epidemiologo medico
competente del poligono sono indagati per ostacolo aggravato alla difesa da un
disastro e favoreggiamento aggravato. Nulla toglie alla dimostrazione oggettiva
del nesso causale tra le attività militari e la strage l’ipotesi, purtroppo
realistica, che “gli intoccabili” evitino l’accusa di omicidio plurimo
volontario. I meandri e i mille rivoli della catena di comando, la
distribuzione di responsabilità in un groviglio inestricabile di livelli (dal
soldato che ha eseguito l’ordine al Capo Supremo delle Forze Armate Italiane,
ai vertici Nato) garantiscono l’anonimato, rendono improbabile individuare gli
assassini con nome e cognome. Il Governo Monti ha l’obbligo impellente di
sospendere subito le attività dei poligoni che devastano la Sardegna, non solo
in base al principio di precauzione, ma anche in osservanza degli atti
parlamentari d’indirizzo per l’Esecutivo, datati 23 febbraio 2011, che hanno
impartito la direttiva di chiudere i poligoni “ove emergessero oggettive
situazioni di rischio” o “qualora risultasse un collegamento con l’alta
incidenza dei tumori registrata”. Le due mozioni complementari del centrodestra
e del centrosinistra, approvate dal Senato all’unanimità, sono un punto fermo.
L’indagine della Procura, con la forza dell’evidenza sostenuta da prove
inconfutabili, ha fatto cadere “ogni ragionevole dubbio” sul nesso
causa-effetto. Non esistono più scappatoie. Ricordiamo le parole pronunciate in
aula il l’anno scorso dal firmatario della mozione della maggioranza Pdl a
sostegno della chiusura dei poligoni in Sardegna: «C’è un dato ormai acclarato.
In quei territori abbiamo un’incidenza particolarmente alta di tumori (…) vi
sono anomalie nella nascita degli animali allevati. Insomma il nesso esiste ed
ormai non possiamo procrastinare una decisione». Si esige dalla Regione
Sardegna «l’apertura di una vertenza forte con lo Stato e faccia valere in
tutte le sedi e con tutti gli strumenti di sua competenza: la cessazione dei
“giochi di morte” del ministero della Difesa e delle Forze Armate; il diritto
alla salute e all’ambiente salubre; il diritto all’equa distribuzione dei
gravami militari; l’obbligo di chi ha inquinato a disinquinare e farsi pieno carico
dei danni». Dal Governo Monti, invece, si pretende «la sospensione delle
attività dei poligoni dove si sono registrate le patologie di guerra;
l’evacuazione dei militari esposti alla contaminazione dei poligoni di Teulada,
Decimomannu-Capo Frasca, Quirra; il ripristino ambientale, bonifica seria e
credibile delle aree contaminate a terra e a mare; il Risarcimento ai malati e
alle famiglie degli uccisi, ed il risarcimento al popolo sardo del danno
inferto all’isola».
Ultima beffa subita dai sardi il mancato G8 del 2009, che
era in programma alla Maddalena ma poi ipocritamente spostato all’Aquila dal
Governo Berlusconi. Una scelta di facciata, per dare una parvenza di vicinanza
dello Stato col popolo abruzzese. Una scelta che ha danneggiato ancora una volta
i sardi, i quali hanno subito dunque l’ennesimo tradimento. Come non bastassero
i tanti torti subiti da decenni da pastori, pescatori, agricoltori e cittadini
tutti.
(Fonte: I
lupi di Einstein)
non solo Luca...
RispondiEliminaricordo pure problemi con l'uranio impoverito !!!