BERLUSCONI E I SUOI MINACCIANO DI FAR CADERE IL GOVERNO
LETTA QUALORA SIA APPROVATA LA SUA DECADENZA DA SENATORE. L’ITALIA APPESA
ANCORA UNA VOLTA AL DESTINO DELL’UOMO DI ARCORE
Era risaputo che la sentenza
ai danni di Berlusconi sarebbe stata un terremoto politico. Non a caso il
Cavaliere ha voluto ricandidarsi alle politiche, consapevole delle sentenze
delicate che lo attendono. La prima sul processo Mediaset, pesante, è giunta,
col Pdl che fa quadrato intorno al suo leader minacciando il Governo Letta e con
esso, la stabilità del Paese. L’Italia, come da ormai vent’anni a questa parte,
è legata a doppio filo alle sorti dell’imprenditore di Arcore e una sua uscita
dal Governo Letta significherebbe un ennesimo Governo tecnico e poi nuove
elezioni con il Porcellum. Un Purgatorio che la nostra Patria in ginocchio non
può permettersi. Ma Berlusconi ha già fatto intendere che la decadenza non
l’accetterà mai; che vuole l’incostituzionabilità della legge Severino (che
rende ineleggibili i condannati) e al massimo un anno di Servizi sociali. Ma la
situazione è ben diversa. Il Senato si esprimerà a settembre, mentre la legge
Severino ha già reso incandidabili 37 politici (quasi tutti del Pdl), anche di
spicco. La corda si sta spezzando, anche all’interno dello stesso Popolo della
libertà.
IL VOTO IN SENATO - Entro la
mezzanotte del 29 agosto, Silvio Berlusconi ha tempo di presentare una memoria
difensiva. Il 4 settembre, poi, l'ufficio di presidenza della giunta stabilirà
l'ordine dei lavori della giornata del 9, quando si arriverà al voto.Se il
testo del pidiellino relatore Andrea Augello venisse respinto dalla maggioranza
Pd-Sel-M5S, si cambierebbe relatore. E si perderebbe ulteriore tempo rispetto a
un voto, verosimilmente segreto, in cui l'Aula del Senato dovrebbe esprimersi
sulla decadenza di Berlusconi. Si parla di fine settembre. Sono quelli i giorni
in cui, se il Cavaliere decidesse per lo strappo, si dovrebbe trovare una nuova
maggioranza per un nuovo governo.
Il Corsera punta il dito sulla pattuglia dei «Gal», acronimo
di Grandi autonomie e libertà, il gruppo dei dieci senatori di cui fa parte
Giulio Tremonti (non più in buoni rapporti con Berlusconi dalla caduta del
Governo). E in cui siede anche qualche storico eletto del Pdl come Luigi
Compagna. Il quale smentisce ogni voce su possibili voltafaccia, ma apre alla
possibilità di allungare i tempi di un altro anno, per far sì che la Consulta
possa valutare una legge come la Severino approvata lo scorso anno. Una opzione
che potrebbe trovare d’accordo anche Scelta civica.
Il numero magico che in Senato si dovrà raggiungere, qualora
si voterà sul Caso Berlusconi, è 158. Tanti quanti i voti che servono affinché
la maggioranza ci sia ancora. In fondo il Cavaliere ci ha già abituato alle
sorprese, come nel dicembre 2010, quando tutti lo davano per finito e invece
allungò la vita del suo Governo di un altro anno. Del resto, perso un
traditore, arrivano i Razzi e Scillipoti di turno.
I PRECEDENTI DELLA LEGGE SEVERINO
– Quando Mario Monti ha sponsorizzato la legge, in un clima di generale rancore
verso sprechi e ruberie nei consigli regionali di mezza Italia, aveva incassato
voti e plauso anche del Pdl, azionista della strana maggioranza. Nessun
problema per l’approvazione, nessuno per l’applicazione. Ed è così che dal 5
gennaio 2013, quando è entrata in vigore e per i successivi otto mesi, i
decreti sono fioccati in ogni regione d’Italia colpendo 17 consiglieri di ogni
colore politico. E nessuno, tantomeno nel centrodestra, si è stracciato le
vesti.
Il 18 luglio, a due settimane dal verdetto che inchioda
definitivamente il leader del Pdl, Letta firma il decreto che colpisce il
consigliere della Campania Sergio Nappi (Pdl). Era finito ai domiciliari il 18
aprile a seguito dell’inchiesta sui rimborsi con l’accusa di peculato e tornato
in libertà a metà maggio con il solo obbligo di firma. Il decreto colpisce anche
Giampaolo Lavagetto, consigliere Pdl in Emilia Romagna.
Lo sa bene anche il primo che ne ha fatte le spese, il
presidente del Molise Angelo Iorio. La sua carriera è iniziata nel ’75, è stato
deputato e cinque volte candidato alla presidenza del consiglio regionale. Ma
la sua carriera politica finisce il 28 marzo per effetto della condanna a un
anno e sei mesi per abuso d’ufficio, non certo per una frode miliardaria al
fisco.
In un solo Consiglio dei ministri dell’appena insediato
Governo Letta, quello del 21 maggio, è stata decretata la sospensione di ben 11
consiglieri della Basilicata, tutti travolti dall’inchiesta sui rimborsi
gonfiati che aveva portato all’arresto di due assessori e un consigliere,
mentre per altri otto era scattato l’obbligo di dimora. Tutti insieme, uno dopo
l’altro, devono lasciare i loro scranni di ogni colore politico: il capogruppo
Nicola Giovanni Pagliuca (Pdl), Rocco Vita (Psi), Alessandro Singetta (Misto),
Mariano Antonio Pici (Pdl), Paolo Castelluccio (Pdl), Antonio Autilio (Idv),
Vincenzo Edoardo Viti (Pd), Agatino Lino Mancusi (Udc), Rosa Mastrosimone
(Idv). Nessuno li rimpiange, nessuno apre un “caso”.
Neppure quando il reato è bello e che prescritto, come
accaduto al consigliere regionale di Fratelli d’Italia in Sicilia, Salvino
Caputo, condannato a un anno e cinque mesi per un tentato abuso d’ufficio: da
sindaco di Monreale provò a far cancellare due multe all’autista del vescovo.
L’ultimo decreto Letta che applica la Severino è del 26 luglio e colpisce
Roberto Conte, ex consigliere dei Verdi e poi del Pd, transitato nel
centrodestra dopo una serie di vicende giudiziarie.
Anche gli amministratori locali vengono sospesi o dichiarati
decaduti, spesso per reati di poco conto, magari prescritti. Il provvedimento
per loro, articolo 11 della legge Severino, non passa per Palazzo Chigi ma
viene disposto automaticamente dalle Prefetture. Che finora hanno applicato la
235 una ventina di volte, senza ritenere sussistente la questione della
retroattività che anima avvocati e politici. Quanti consiglieri comunali,
provinciali e sindaci siano stati espunti dai loro municipi per effetto della
legge anti-corruzione esattamente non si sa. Repubblica riferisce di una
ventina di casi. Certamente sono in fase di istruttoria altri provvedimenti di
decadenza.
Le prefetture hanno chiesto ai tribunali i carichi pendenti
dei vari amministratori. Di sicuro è già incappato nella Severino Luigi De
Filippis, ingegnere, allontanato dal consiglio comunale di Serino (Avellino)
per una condanna in primo grado per abuso d’ufficio, pur essendo i fatti
ampiamente prescritti. A Parabita, provincia di Lecce, si è creato un caso
sulla sospensione per 18 mesi del consigliere comunale d’opposizione Stefano
Prete. Il sindaco Pdl Alfredo Cacciapaglia aveva sollecitato la prefettura a
pronunciarsi contro il consigliere colpito da una condanna per abuso d’ufficio.
Ma nella sua giunta resta in carica un assessore, Biagio Coi, colpito da una
più dura condanna a due anni di reclusione per truffa aggravata ai danni dell’Europa.
La scure ha poi colpito Vincenzo Vastola, ex sindaco di Poggiomarino (Napoli),
fino a qualche mese fa capo dell’opposizione: a febbraio è stato sospeso dalla
carica di consigliere per via di una condanna del 2012 per aver firmato un
ordine di servizio privo di protocollo che stabiliva l’installazione di cinque
lampioni nella strada in cui abita mentre per regolamento avrebbe dovuto
procedere a una gara d’appalto.
LA DOPPIA STRATEGIA DEL PDL: SERVIZI
SOCIALI O INCOSTITUZIONALITA’ - Il primo binario, quello già ventilato
nelle ultime ore, è che il leader azzurro chieda l’affidamento ai servizi
sociali. Un’ipotesi confermata anche da uno dei falchi all’uscita dal vertice
di Arcore. “Non mi aspetto più nulla dal Pd, non farà nulla per me. Per me va
bene tutto, anche i servizi sociali, ma la decadenza da senatore è
inaccettabile; non si transige”: queste le parole che avrebbe pronunciato
Silvio Berlusconi, almeno secondo la ricostruzione pubblicata dall’Ansa. Il
Cavaliere, dunque, non accetterà mai il voto contrario della giunta e la sua
esclusione dal seggio senatoriale. Una presa di posizione che ha rafforzato, e
non di poco, la linea dei falchi del partito, sempre più convinti che alla fine
la pancia di Berlusconi l’avrà presto vinta sulla testa e che lo strappo
avverrà prima del nove settembre, data della convocazione della Giunta. “Con la
moderazione non abbiamo ottenuto nulla”, avrebbe detto un disincantato
Cavaliere. “Siamo al limite della rottura, c’è forte unita ed anche i
‘governativi’ hanno preso atto che ora ogni occasione è buona per far saltare
il tavolo”, ha commentato invece un autorevole rappresentante dei falchi.
Il secondo binario da seguire, invece, prevede che, nelle
more di un gesto di nobiltà invocato anche dall’ex legale Gaetano Pecorella, la
Giunta per le Immunità del Senato – che a partire dal 9 settembre prossimo
deciderà sulla perdita dello scranno a Palazzo Madama del Cavaliere – sollevi il conflitto davanti alla Consulta.
Una possibilità su cui punta una parte del Pdl e che viene presa in
considerazione anche da alcuni giuristi che intravedono profili di
incostituzionalità nella legge Severino. Anche perché non bisogna dimenticare
che esiste un precedente importante e clamoroso a favore di Berlusconi: quello
di Gianstefano Frigerio, che nonostante l’interdizione ebbe la possibilità di
continuare l’attività politica perché la Camera ritenne estinta la pena
accessoria dei pubblici uffici proprio dopo l’affidamento ai servizi sociali.
Se il Pd dicesse sì a questa eventualità, il partito del Cavaliere avrebbe
guadagnato tempo prezioso.
PDL DIVISO TRA FALCHI E COLOMBE
- In pubblico uniti, dietro le quinte tutt’altro. Falchi e colombe del Pdl, al
di là della linea unitaria dettata dal segretario Angelino Alfano dopo il
vertice di Arcore, continuano a dirsene di santa ragione. All’indomani del
summit in cui sono state decise le azioni del partito sul futuro politico del
Cavaliere, nel Popolo della Libertà c’è chi continua a marcare le differenze,
interpretando le decisioni di Berlusconi come un successo della propria
corrente interna. “E’ finita. Il governo cadrà”, annuncia trionfante Daniela
Santanchè. Ma le preoccupazioni restano sui banchi di Palazzo Madama dove i
traditori potrebbero essere più di venti: “Se si rompe tutto”, commenta il
capogruppo Renato Schifani, “chi terrà il gruppo?”. Tra i sospettati ci sono i
volti nuovi, chi è stato infilato in lista all’ultimo minuto e chi il posto da
senatore non potrà più averlo: una lista di nomi sempre più concreta e che
preoccupa il Cavaliere.
Cerca la mediazione invece Sandro Bondi: “Se il Pd vota la
decadenza e se Napolitano registrasse che non ci sono alternative, siamo pronti
al voto. E Berlusconi sarà il nostro candidato premier”.
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