SOLO PINO DANIELE HA REGISTRATO IL SOLD OUT NELLE 5 SERATE
AL PALAPARTENOPE. NON TIRANO NEANCHE BIG POPOLARI COME SPRINGSTEEN, LIGABUE E EMMA
MARRONE
A Napoli non piace più la musica? Non esageriamo. Eppure
nella città che ha dato i natali a meravigliose canzoni che hanno spopolato e
spopolano in tutto il Mondo – su tutte O’ sole mio, tradotta in tante lingue; e
come dimostra anche il successo di Renzo Arbore e la sua Orchestra italiana – qualsiasi
Big della musica che arriva qui fa fatica a vendere i biglietti. L’unico a
sorridere sembra essere Pino Daniele, le cui 5 date al Palapartenope hanno
fatto registrare il sold out; complici anche i prezzi popolari, pari a 25 euro
+ prevendita. Il flop ha riguardato tanti Vip, dal biglietto sicuramente più
esoso. Ma è solo questione di soldi?
DA SPRINGSTEEN A LIGABUE, FINO A
EMMA MARRONE - Cominciamo dalla punta dell’iceberg: The Boss al
Plebiscito a maggio, al netto delle polemiche da condominio sull’uso della
piazza, ha fatto 13mila persone. Nulla rispetto a tutti i sold out delle altre
date del tour italiano (solo a Padova erano 40mila). «Se avessi organizzato
Bruce Springsteen a Bari avrei fatto più spettatori di Napoli. Bisogna
ammetterlo: questa città, se la musica è cultura, sconta un problema culturale
come poche altre in Italia». È la mesta ammissione di Nicola Lino dell’agenzia
Veragency.
Il live dei Litfiba di aprile slittò dal Palapartenope alla
Casa della musica, più contenuta per evitare l’effetto spazi vacanti. Stessa
sorte toccò ai Negrita nel mese di febbraio. Diversi posti vuoti anche per il
concerto di Raf al teatro Augusteo. Fabri Fibra ovunque fa contenti i promoter
a Napoli molto meno. Per Ligabue (2012) grossa affluenza, ma da altre province
e regioni. Morissey ha annullato la data campana preferendo la piccola Codroipo
in Friuli.
Persino i campioni dei talent show, pur facendo bei numeri,
non vanno a mille come altrove. A novembre Chiara ha annullato il concerto, e
anche per la seguitissima Emma Marrone niente tutto esaurito. Male è andato
Moreno di Amici.
Manu Chao? Qui 12mila a Bologna 30mila. Ancora: Patti Smith
a luglio fa 600 paganti all’Arenile; Tricky sì e no trecento. Sergio Caputo si
è lamentato su Facebook per i 250 spettatori accorsi a sentirlo due settimane
fa. Con gli Underworld (2010) a Bagnoli fu talmente triste che il Neapolis
festival è emigrato a Giffoni.
QUESTIONE CULTURALE – Certo i
biglietti spesso costosi incidono molto. Ma la politica culturale, la crescita
di nuovi progetti e proposte musicali, dov’è? «Tasto dolente – argomenta Lele
Nitti di Ufficio K - Napoli va rieducata alla musica live, che fino agli anni
90 registrava buon seguito. A mancare è anche la continuità: dotarsi di una
struttura permanente dove poter far musica di livello sempre. Roma ha vinto
questa scommessa con l’Auditorium». Nei ‘90 mancavano spazi: una discoteca dei
Ponti Rossi, il Flakabè, fu ingegnosamente apparecchiata per ospitare i
nascenti Afterhours e Marlene Kuntz. Al Notting Hill di piazza Dante, curioso
locale oblungo più adatto all’house music, passarono i primissimi Subsonica e
mezza scena indie italiana.
«A Napoli - ricorda Lele Nitti - se ti piacevano i 99 Posse
poi seguivi anche i live di altre band simili. Così con i 24Grana. Adesso ci si
concentra solo su un artista ignorando il resto. Il concerto spesso non è più
visto come il momento di massima espressione di un musicista ma solo una delle
sue componenti, è messo al pari col videoclip di YouTube». Download e streaming
sul web sembrano non aver educato troppo alla fruizione musicale di qualità. E
la pressoché totale chiusura di negozi di dischi - ultimo ‘Rimmel’ in via
Depretis - ha privato la città di un luogo concreto di ricerca e scambio di
idee.
«Gli spazi a Napoli, piccoli, medi, grandi, ci sono -
sostiene Giulio Di Donna (Hungry Promotion) - Manca il pubblico, gli
investitori e la cultura. Ma non solo quella del sapere: a latitare è, a mio
avviso, la capacità culturale di accettare proposte artistiche altrui (ma gli
antagonismi gratuiti e le invidie in tal senso non aiutano) e soprattutto a
Napoli non c'è la cultura di pagare lo spettacolo e pagarlo quanto vale, il
giusto. Perché - continua Di Donna - non è un problema di disponibilità
economica del cittadino medio…Chi pone la questione economica sta barando
perché, a parte situazioni limite, la maggior parte dei ragazzi spende soldi,
eccome, per il 'pezzo di fumo', per il calcio Napoli, per i cellulari, per
amenità varie». In sintesi, la musica non è quasi mai in cima alle priorità del
cosiddetto tempo libero.
PROBLEMI ORGANIZZATIVI – Poi
ci sono le istituzioni campane che fanno il resto, sorde come sono agli Sos del
settore. Invece in Puglia il contenitore ‘PugliaSounds’ lavora da anni, quindi
non in modo estemporaneo, allo sviluppo dell’imprenditoria musicale sfruttando
fondi europei. A inizio mese il Medimex, salone dell’innovazione musicale, a
Bari, ha riunito gli addetti ai lavori da tutta Italia.
Buone pratiche che la Campania potrebbe studiare e mutuare
sul territorio. Altrimenti finirà che il contenitore si mangia il contenuto,
come nelle esibizioni dei rapper negli store d’abbigliamento. Fan in delirio,
scatti da girare su Twitter, autografi, e al concerto vero poi ci vanno in
pochi. Eppure tra Napoli e provincia siamo in 2 milioni…
(Fonte: Corriere
del Mezzogiorno)
Napoli e la Campania non sono abituate a grandi eventi, ma qualcosa lentamente sta cambiando. Avere Springsteen e la E-Street Band era impensabile fino a pochi anni fa e grazie a Barley Arts e Veragency la cosa si è avverata anche se con poche persone. Ligabue in Piazza Plebiscito ha fatto Sold-Out e ha scelto Salerno per chiudere il Mondovisione tour.
RispondiEliminaSottovaluti il problema economico. Napoli è una delle città con il più alto numero di disoccupati e spendere 40 euro per un concerto sembra eccessivo anche a me che adoro la musica. Un altro problema è rappresentato dalla mobilità: come ci arrivi al concerto? Con l'auto? Improbabile. Con la metropolitana? Magari, ma il servizio chiude alle 23.
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