lunedì 13 settembre 2010

L’ULTIMA FARSA DEL TEATRINO DELLA POLITICA ITALIANA: IL TERZO POLO


I politici italiani e il loro atteggiamento farebbero invidia al Cinema di Sergio Leone, alle sceneggiate di Mario Merola, al Teatro di Eduardo Scarpetta, alle serie televisive. Basta guardare i Tg di qualsiasi ora e canale e li si vede parlare di cose futili, tirare acqua al proprio mulino, creare e disfare partiti; il tutto mentre le fabbriche e i negozi chiudono, le multinazionali straniere scappano, i giovani disoccupati e inoccupati aumentano, i laureati sono costretti ad emigrare, gli operai muoiono per le negligenze dei propri capi in materia di sicurezza sul lavoro, aumentano i cassintegrati e i precari.
C’è Berlusconi che continua nella sua eterna lotta contro la Magistratura, per non rispondere dei reati commessi prima e durante la sua “discesa in campo”; c’è Tremonti che presenta fiero i conti dell’Italia all’Ue ma senza dire i tagli che stanno dietro a quei miracoli matematici (ne l’Ue se ne interessa); c’è Bossi e il suo popolo padano che chiedono secessione da vent’anni (di cui 7 al Governo), ripescando vecchi riti e tradizioni dal sapore in fondo barbaro e celtico; c’è Fini e i suoi finiani, che oggi sparano (anche pesantemente) contro la maggioranza di cui fanno parte, e domani giurano fedeltà fino a fine legislatura; Bersani cerca di far diventare il Partito democratico un partito di sinistra vero e proprio, ma deve fare i conti con i catto-conservatori al suo interno e con D’Alema, il Re degli inciuci e degli accordi di sottobanco; c’è Di Pietro, l’unico a sgolarsi sulle responsabilità giudiziarie del Cavaliere, che forse a volte scade nel populismo, ma che al contempo con il suo parlare “papale papale” offre un punto di riferimento alla gente comune; c’è Vendola, che si sta sforzando di rigenerare la sinistra italiana e per questo, è mal visto…dalla stessa sinistra, da sempre nichilista.
Dulcis in fundo, ci sono loro, quelli che vorrebbero la nascita di un Terzo polo, di un grande centro (senza gravità permanente però, perché loro sono democristiani, pronti a spostarsi sempre); che raccolga chi non vuole stare con Bossi e Di Pietro; gli scontenti; i democristiani della prima ora; chi, stando in mezzo, vuole pesare sempre e comunque. Parlo ovviamente di Pierferdinando Casini, coadiuvato da Francesco Rutelli.
Di costoro, soprattutto del secondo, ho scritto tanto su questo Blog, al punto che ormai sono nauseato io stesso. Infatti in questa sede mi preme soprattutto approfondire la questione del “Terzo polo”, della sua reale utilità. Serve davvero a questo Paese un “Terzo polo”? O serve solo ai fondatori stessi, per la loro sopravvivenza politica?
A Pierferdinando Casini va riconosciuto il fatto di essersi distaccato dall’asse Berlusconi-Bossi ormai da 4 anni, dopo aver sostenuto il loro Governo per 5 anni (2001-2006); anche se si tratta di un merito parziale, dato che l’Udc a livello locale sostiene comunque ancora il Pdl, quasi ovunque al centro-sud, mentre al Nord tale matrimonio è ostacolato dalla Lega, che i democristiani proprio non li vuole. Tuttavia, negli ultimi anni sta cercando di creare un proprio spazio politico, come detto un “Terzo polo” perché non crede al bipolarismo, e così insieme agli altri compagni dell’Udc strizza l’occhio ora a destra, ora a sinistra; si fa offrire qualche poltrona ora di qua, ora di là. Sperando così di essere l’ago della bilancia della politica italiana.
Sa però che l’Udc non è certo la Democrazia cristiana di un tempo, che arrivava anche al 40% dei consensi e quindi ha governato il Paese per 40 anni, coadiuvata dai socialisti. Il suo partito viaggia tra il 5 e il 6 per cento, quindi necessita di alleanze. Spera pertanto negli scontenti del Pd e del Pdl, trovando in un maestro nella creazione di partiti “ad personam”, un primo potenziale alleato: Francesco Rutelli; peccato solo che il suo Alleanza per l’Italia (acronimo Api) secondo recenti sondaggi goda solo dello 0,6% nazionale, con qualche punta del 2-3% al centro-sud, sufficiente a garantire qualche parlamentare. Ecco allora che il duo spera che Fini esca definitivamente dal Pdl con il suo Futuro e libertà (acronimo Fli), così da immettere altri voti in cascina; e ancora peccato (per loro) solo che i finiani dalla maggioranza proprio non vogliono uscire e che anzi il duo Berlusconi-Bossi voglia proprio le elezioni anticipate per poter governare da soli senza più freni esterni. Un sogno che i due coltivano da 16 anni.
Ora, premesso che anche qualora lo splendido trio metta in piedi un “Terzo polo”, ed esso si attesti ottimisticamente tra un 10 e un 12 per cento dei consensi, non sarebbe certo autosufficiente per governare, anzi, creerebbe l’ennesima spaccatura nella già ferita politica italiana.
Con il crollo dei partiti della Prima Repubblica, e quindi la fine dell’egemonia democristiana, la politica italiana ha iniziato a poggiare sul sistema bipolare, con due coalizioni che si sono alternate al Governo; anzi, con le elezioni del 2008 c’è stata un accelerazione verso il bipartitismo, visto che in Parlamento ci sono 5 partiti, rispetto ai quasi 20 usciti dalle urne del 2006, con due principali ed altri tre di dimensioni minori. Dunque, la disgregazione dei primi due, ossia Pdl e Pd, porterebbe solo ad un passo indietro in questo cammino, e il ritorno alla politica dei piccoli partiti che ricattano.
Fini da una parte, Rutelli dall’altra e Casini al centro, sono oggi i principali fautori di questa nuova disgregazione, con il loro atteggiamento spesso più opportunista e propenso al miglioramento della propria carriera, che di quello del Paese. Pertanto, sarebbe opportuna una riforma del sistema elettorale “alla tedesca”, con una soglia d’ingresso al Parlamento molto alta, 5%, mentre la distribuzione dei seggi ottenuti da ciascun partito a livello nazionale avviene tra le liste dello stesso partito a livello locale; si avrà quindi una competizione tra le liste dello stesso partito appartenenti però ai vari Länder (le nostre Regioni). Così avrebbero accesso al Parlamento, come accade in Germania, solo i partiti di medio-grande dimensione, e quelli piccoli sono costretti ad unirsi sotto un unico simbolo. Bisognerebbe evitare altresì la nascita di gruppi parlamentari (e quindi di voltagabbanismi) diversi da quelli usciti dalle urne, per ovviare alla nascita di micro formazioni politiche nelle Camere ex post elezioni.
Credo comunque che il vero sistema ottimale sia il bipartitismo; se all’americana, alla spagnola o alla francese questo poi si vedrà. Ovvero avere due soli partiti che si contendono elettoralmente, ben distinti tra loro, portatori di valori, principi ed idee ben diverse: uno cattolico e conservatore da un lato, e uno laico e riformista dall’altro. Come avviene tra Repubblicani e Democratici, tra Popolari e Socialisti, tra Ump (Unione movimento popolare) e Socialisti. Ma per ora ciò resta un’utopia. Almeno fin quando in giro ci saranno politici che si cuciono partiti su misura atti a soddisfare il proprio ego, che curano il proprio orticello, che fondano partiti campanilisti, e che cavalcano e sfruttano le paure degli elettori per avere consensi.

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