ULTIMO CASO QUELLO DI GIOVANNI SCHIAVON, CHE VANTAVA CREDITI
ANCHE DALLA P.A. DI CIRCA 200MILIONI DI EURO. L’ANNO SCORSO I CASI IN VENETO
SONO STATI UNA QUARANTINA
La recessione economica che tormenta il Mondo da ormai
quattro anni sembra essere ancora un tunnel senza luce. Tante le storie di
sofferenza di chi non riesce a mandare avanti la propria azienda, il proprio
negozio, la propria bottega, e qualsivoglia attività. Mentre i grandi della
Terra si incontrano in cordiali pranzi e cene, pagati ovviamente da noi, ma nei
fatti non trovano soluzioni concrete, la crisi miete vittime quotidianamente. Per
una sorta di “livella” che strozza tanto l’imprenditore quanto il dipendente.
Solo in Veneto, regione che poggia su tante piccole e medie
imprese, lo scorso anno i casi di imprenditori suicidatisi sono stati una
quarantina. La Regione veneta è forse quella più danneggiata dallo Stato
italiano, poiché oppressa dalle “tasse di Roma”, del cui importo poco resta sul
territorio. Non a caso, è la regione nella quale la Lega Nord ha il maggiore
seguito elettorale, cavalcando questo, in fondo giusto, malessere nei confronti
dello stato centralista. Ma oltre alla questione prettamente fiscale, altro
danno dello Stato deriva dai ritardi mostruosi dei pagamenti nei confronti
delle ditte che eseguono lavori per la Pubblica amministrazione.
IL SUICIDIO DI GIOVANNI SCHIAVON
- Motivo che è alla base del gesto drammatico di Giovanni Schiavon, che nella
sua abitazione di Peraga di Vigonza, in provincia di Padova, ha impugnato una
pistola e si è sparato un colpo alla testa. Secondo fonti locali, la sua ditta
– la Eurostrade 90 Snc, specializzata in asfaltatura e scavi fognari – vantava
crediti di circa 200mila euro nei confronti di alcuni enti locali. Alla moglie
e ai due figli ha lasciato un biglietto: «perdonatemi, non ce la faccio più».
Già perché i crediti vantati da soli non bastano per pagare
mensilmente i dipendenti. Schiavon aveva già messo in cassa integrazione sette
dipendenti, e dopo Natale, sarebbe stato costretto a mettere in cassa
integrazione anche gli altri. E poi c’erano le banche, creditrici a loro volta
nei suoi confronti, le quali gli chiedevano di rientrare dalle linee di finanziamento
aperte. Pertanto, Giovanni si è visto schiacciato da una pressa, avente da una
parte i dipendenti e dall’altra le banche. Il tutto senza alcun euro ricevuto
per il lavoro svolto per lo Stato.
L’APPELLO DI MOGLIE E FIGLIA A MONTI
- Nasce da qui l’adesione della moglie, Daniela Franchin, e della figlia,
Flavia, dell’imprenditore padovano all’appello rivolto a Mario Monti firmato,
tra gli altri, dai presidenti regionali di Confindustria, Confprofessioni,
Confcommercio, Coldiretti, federalberghi, Ance, Confartigianato e Cgia di
Mestre. Al centro della missiva, l’annosa e, finora, irrisolvibile questione
dei ritardi dei pagamenti. Certo, ci sono le «difficoltà di accesso al credito,
il pagamento delle tasse, il costo dell’energia, i tempi della giustizia, le
carenze, infrastrutturali». C’è, però, incalza il mondo produttivo del Veneto,
«un problema urgente da affrontare subito: quello dei temi di pagamento tra
imprese e soprattutto di quelli tra la Pubblica amministrazione e le aziende».
Perché se essere pagati a sei, otto o magari dodici mesi è insopportabile,
«ancora più insopportabile è quando i ritardi di pagamento sono riconducibili
allo Stato».
LA DIRETTIVA EUROPEA NON ANCORA
RECEPITA - c’è una Direttiva europea che aspetta solo di essere recepita.
Tempi certi: 30 giorni in via ordinaria e 60 giorni in casi eccezionali, perna
il pagamento di salati interessi di mora (dall’8% a salire). Questo dice
Bruxelles, mentre in Veneto si paga in media dopo 140 giorni che salgono a 400
per alcuni fornitori della sanità. Nel resto d’Italia le cose non vanno affatto
meglio. La media nazionale è di 86 giorni per il settore pubblico e di 30 nel
privato (rispetto ad una media europea di 27 giorni). Ma si tratta di numeri
buoni per le poesie di Trilussa. La realtà, stando ad un’indagine effettuata lo
scorso aprile dall’istituto I-Com per i Commercialisti, è che nel 72% dei casi
la Pa non paga prima di sei mesi, mentre il 24% delle imprese subisce un
ritardo compreso tra uno e sei mesi. L’impatto sull’economia reale di questo
fenomeno «derivante dai soli costi diretti», ovvero «la necessità di
finanziarsi a debito sul mercato creditizio» può essere valutato per il solo
2010 in quasi 2 miliardi di euro. Dall’altra parte, nel regno della civilità,
dell’Europa e del rispetto delle regole, ci sono invece ad aspettarci benefici
significativi stimati almeno nell’ordine di un miliardo e più l’anno.
Basterebbe, si legge nello studio, «che la Pa italiana decidesse di tenere
neanche le migliori prassi europee, ma quantomeno le normali prassi delle Pa
europee e del settore privato italiano».
Dov’è, allora, il problema? Il problema, non trascurabile, è
che se lo Stato sbloccasse i pagamenti si vedrebbe arrivare una mazzata
quantificabile tra i 60 e i 70 miliardi (ma c’è chi sostiene che tra
amministrazioni centrali e locali il bottino arriverebbe quasi a 200 miliardi).
È per questo che al di là della buona volontà dichiarata da tutti, la questione
rimane lì, irrisolta. E la scadenza del marzo 2013, entro la quale la direttiva
dovrà essere recepita dallo Stato italiano, viene vista, invece che come
un’opportunità, come una bomba ad orologeria in procinto di esplodere.
PASSERA VORREBBE FAR PAGARE IN BOT…Qualche
settimana fa, in un incontro con le imprese, il neo ministro dello Sviluppo,
Corrado Passera, ha buttato sul tavolo la proposta di pagare le imprese in Bot.
L’idea è quella di limitare l’impatto sui conti pubblici e, contemporaneamente,
sostenere il debito. Ma è chiaro che se i titoli di Stato non saranno resi
liquidi (ovvero utilizzabili dalle aziende per pagare contributi all’Inps e
tasse a Equitalia) l’unica soluzione resta quella di anticipare, come Passera
ha promesso di voler fare, l’entrata in
vigore della direttiva Ue. Nell’attesa, qualcosa si può fare subito e senza
troppo oneri per lo Stato. «Per far uscire le Pmi sane dalla tenaglia della
flessibilità del debitore e l’inflessibilità di fisco e banche», spiega Fabio
Bolognini, ad di Linker, società specializzata nel supporto alle Pmi proprio
sui problemi finanziari, «occorre intervenire su tutti i fronti, anche
istituendo un organismo a tutela della continuità delle imprese per proteggere
gli imprenditori vittime dei pagamenti ritardati e insolventi per colpe
altrui».
Nello stesso giorno in cui si è ucciso Schiavon, si è tolta
la vita anche una ex ristoratrice trevigiana buttatasi sotto un treno per i
debiti. Questa è l’Italia di oggi, un Paese dove anche gli imprenditori si
suicidano. Un drammatico paradosso, se si pensa che è stata governata proprio
da uno di loro per 8 degli ultimi 10 anni, alleato con un partito che nel
Veneto vanta il seguito maggiore.
I numerosi suicidi di imprenditori veneti è il truce epilogo
di una brutta pagina della nostra Repubblica.
uhmm... mi sa che negli anni avvenire per quel che si è seminato, i suidici si estenderanno a tutto il paese cazzolina!!
RispondiEliminae non finisce qui....
RispondiEliminaLuigi