L’UTILIZZO DELLA TECNOLOGIA MEDIANTE I DRONI NON GARANTISCE
L’INFALLIBILITA’ DELLE OPERAZIONI MILITARI. DAL 2008 SONO STATI UCCISI CIRCA
300 INNOCENTI
Il titolo è già tutto un programma: “Will I be next? US drone strikes in Pakistan”. Tradotto:
“Sarò io il prossimo? Gli attacchi con i droni USA in Pakistan”. E’ il rapporto
preparato nei mesi scorsi da Amnesty International e presentato a Londra, in
cui si dà conto della lunga serie di omicidi condotti dalle forze Usa con i
droni nelle aree tribali nel nord-ovest del Pakistan. L’accusa è grave: assassini
di civili, terrore, mancanza di trasparenza, addirittura crimini contro
l’umanità.
I NUMERI DELLA STRAGE - La
realtà descritta da Amnesty è molto diversa dalla verità ufficiale Usa. Il
gruppo per la difesa dei diritti umani ha preso in esame tutti i 45 attacchi
che hanno colpito il Waziristan del Nord tra il gennaio 2012 e l’agosto 2013.
Secondo Amnesty, i droni avrebbero ucciso, in due soltanto di questi attacchi
nel gennaio 2012, almeno 19 civili. Nel luglio 2012, 18 persone, tra cui un
ragazzo di 14 anni, sono state assassinate in un villaggio ai confini
dell’Afghanistan mentre stavano cenando, al termine di una giornata di lavoro.
Nell’ottobre 2012 Mamana Bibi, una donna di 68 anni, è stata uccisa da un
missile Hellfire mentre raccoglieva dei vegetali nel campo di famiglia
circondata da alcuni tra i suoi nipoti. Nessuna delle vittime poteva in alcun
modo essere collegata ai militanti islamici.
Il villaggio più colpito dalle operazioni militari della Cia
pare essere, secondo Amnesty, Miram Shah, nel nord-ovest del Paese, un
agglomerato di case attaccato per ben 13 volte dai droni a partire dal 2008,
con altri 25 attacchi lanciati nelle zone circostanti. Miram Shah è l’area
urbana più devastata dalla guerra al mondo, dove i residenti vivono nel terrore
e nella privazione di ogni tipo di legge e giustizia. Amnesty racconta come gli
abitanti dell’area siano costretti a vivere tra due fuochi: da un lato
“l’angelo della morte”, e cioè i missili lanciati dal cielo dagli americani,
dall’altro la violenza di cui i civili sono continuamente oggetto da parte di
talebani e militanti di Al Qaeda, che uccidono chiunque sia sospettato di
essere “una spia americana”. Frequente è per esempio il caso di uomini e donne
trovati massacrati ai lati delle strade, con addosso cartelli in cui si dice
che “chiunque diventi un collaboratore degli americani farà la stessa fine”.
Esiste una base militare americana a circa dieci chilometri
da Miram Shah, sede di una nutrita flotta di elicotteri da combattimento Cobra,
ma a parte qualche sporadico tafferuglio con gli islamici, i soldati USA
restano confinati all’interno della base. Il villaggio è completamente
controllato da talebani e militanti radicali, che girano indisturbati per le
strade imbracciando fucili AK-47, sovrintendendo a qualsiasi attività
soprattutto nel locale bazaar e arrivando persino a dirigere il traffico nel
centro del villaggio. L’unica sfida al potere dei militanti islamici su Miram
Shah viene dagli attacchi dal cielo, con gli agenti della Cia che negli ultimi
mesi hanno preso di mira una panetteria, una ex-scuola per le ragazze, una
fabbrica di fiammiferi e un ufficio per l’invio di denaro.
NESSUNA GIUSTIZIA, NE’ CURE -
Il terrore per le violenze e gli assassini è accompagnato dalla mancanza di
qualsiasi forma di giustizia. Nessun agente Usa è mai stato accusato delle
morti civili, proprio per “la segretezza che circonda la licenza di uccidere
che si sono attribuite le autorità americane”. Ma le vittime della violenza non
possono neppure contare sul sostegno delle autorità del loro Paese, che
nonostante le denunce della strategia di attacchi con i droni non hanno mai
davvero messo in discussione i rapporti con l’amministrazione Usa. Tra gli
altri effetti degli attacchi, secondo Amnesty, ci sono la mancanza di cure
mediche adeguate, il crollo delle attività agricole che esistevano nella zona,
l’esodo forzato per migliaia di persone che hanno dovuto lasciare le loro case
per le violenze.
PER GLI USA INVECE E’ TUTTO OK
- Barack Obama ha chiesto di interrompere gli attacchi e dare immediato seguito
alle promesse del discorso del maggio 2013, quando parlò di una maggiore
trasparenza sugli attacchi. “Quelle promesse devono ancora diventare realtà e
gli Stati Uniti si rifiutano di divulgare persino le più elementari
informazioni”, conclude Amnesty.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
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