SECONDO UNA RICERCA DELLA compagnia
di analisi finanziarie Piper Jaffray, I jeans sono usciti dalla top ten dei
vestiti preferiti dai giovani
Negli anni ’50
sono diventati simbolo di ribellione per le nuove generazioni, grazie anche ai
miti di Hollywood che li indossavano e li pubblicizzavano, come James Dean e
John Wayne. Hanno resistito nei decenni successivi, mantenendo sempre il
primato tra gli abbigliamenti più graditi dalle nuove generazioni. Hanno
cambiato colore, forma, intercettando sempre i nuovi gusti dei teens, ma
soprattutto, creando nuove mode e tendenze. Ma adesso sembra giunta anche la
loro fine. Almeno stando a una ricerca della compagnia di analisi finanziarie
Piper Jaffray, il quale ogni 6 mesi fa uno studio del mercato
dell’abbigliamento per vedere quali sono i prodotti che piacciono e vendono di
più.
I RAGAZZI PREMIANO LA COMODITA’
- L’ultima ricerca ha dato un risultato sorprendente, anche se era da tempo
nell’aria: i jeans sono usciti dalla top ten dei vestiti preferiti dai giovani,
cioè il mercato del futuro. Al primo posto, in termini di brand, si è
classificata la Nike, ma quello che conta di più è la tendenza generale dei
gusti.
I ragazzi si sono stancati di indossare quei pantaloni
ruvidi che hanno fatto la storia degli Stati Uniti: preferiscono le tute da
ginnastica, o in generale tutto l’abbigliamento elastico e comodo pensato per
andare in palestra, che però ormai si può usare ovunque. Una scelta insieme
pratica, ma anche estetica. Basta dare un’occhiata ai video musicali più in
voga, da Eminem ai vincitori degli ultimi Emmy, per capire che l’athleisure,
per quanto brutto possa essere questo neologismo, sta trionfando.
LA STORIA DEL JEANS - I jeans
sono stati per secoli un sinonimo degli Stati Uniti. Erano stati creati per i
minatori che andavano a cercare l’oro in California, alla metà dell’Ottocento:
avevano bisogno di pantaloni forti, prima ancora che caldi, capaci di durare a
lungo e resistere alle fatiche del loro ingrato mestiere. Poi li avevamo visti
addosso ai cowboy, mentre conquistavano il West per offrire al paese una nuova
frontiera. Dalla realtà si erano trasferiti anche sugli schermi
cinematografici, che avevano raccontato quell’epopea infilando i jeans sulle
gambe di John Wayne.
A quel punto i pantaloni blu erano diventati un mito, buono
anche per la gioventù bruciata di James Dean, l’immigrazione portoricana di
«West Side Story», e i presidenti degli Stati Uniti, che durante il tempo
libero non disdegnavano di apparire fasciati nella stoffa nazionale. I ragazzi
di Harlem li mettevano senza cinta, facendoli scivolare sotto le mutande, per
imitare lo stile dei carcerati che in prigione non potevano portare cinture per
ragioni di sicurezza.
La leggenda era sopravvissuta anche alle esigenze della moda
moderna, trasformando la filosofia del prodotto. E così dai jeans dei poveri,
tipo i Levi’s o i Wrangler che si compravano al supermercato per una manciata
di dollari, si era passati a quelli d’autore, che potevano costare come un
abito di sartoria. L’italiano Diesel aveva sfidato la Levi’s, aprendo il
negozio a Manhattan davanti a quello dei rivali, e aveva avuto ragione. Tutti
gli stilisti, da John Varvatos a Elie Tahari, si erano cimentati con la nuova tendenza,
producendo jeans firmati e costosissimi.
Trattasi di una crisi temporanea o è l’inizio della fine per
l’abbigliamento più longevo della storia? Vedremo. Certo è che il Jeans, da
quando esiste, non è mai stato riposto nell’armadio per troppo tempo. Ma adesso
pare che nell’armadio delle nuove generazioni non ci sia proprio entrato.
I giovani italiani amano ancora i Jeans. Tra loro, più di 7 su 10 li ama ancora, mentre 1 su 5 li indossa ogni tanto.
(Fonte: La
Stampa)
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