sabato 28 novembre 2015

Flessibilità: la parola chiave dell'Inter di Mancini

IL TECNICO INTERISTA HA DIMOSTRATO DI SAPER CAMBIARE SEMPRE MODULO E UOMINI E DI SAPERSI ADATTARE ALL'AVVERSARIO CHE HA DI FRONTE

Probabilmente neanche lo stesso Roberto Mancini si era sognato un ritorno così dopo i fasti del dopo-Calciopoli, preludio al Triplete vissuto con Mourinho. E invece la sua Inter è prima, e pure da sol,a in virtù del mezzo passo falso della Fiorentina contro l'Empoli. Trenta punti in classifica e un ruolino di marcia impressionante. Avente come unica macchia quel 4 a 0 subito proprio contro i viola, influenzato però soprattutto da due papere di Handanovic. Irriconoscibile in quella serata storta.

LA FLESSIBILITA', IL SEGRETO DI MANCINI - Mancini viene però criticato per i tanti 1 a 0 con cui ha vinto in modo striminzito e per il fatto che la sua squadra non esprima un gioco. Anche Arrigo Sacchi, più volte critico coi nerazzurri negli ultimi mesi, ha avuto parole non tenere per la squadra del Mancio. Il quale, è comunque consapevole di ciò e non è soddisfatto. Ma c'è una parola magica che caratterizza la sua Inter: flessibilità.
Già perché Mancini ha dimostrato in questa quasi prima metà di campionato di sapersi sempre adattare all'avversario e agli uomini a disposizione, cambiando così continuamente modulo e titolari. Una caratteristica che in pochi allenatori hanno, i quali giocano in stragrande maggioranza sempre con lo stesso modulo, a prescindere dagli uomini a disposizione e dall'avversario che si ha di fronte. Si pensi a Benitez, in difficoltà con la stessa Inter post-Triplete, poi al Napoli e ora al Real Madrid. O a Zeman, eterno perdente. O ancora, a Rudi Garcia, convinto con la Roma di poter fare lo stesso gioco contro Bayern Monaco e Barcellona, ma poi incassando rispettivamente 7 e 6 gol, segnandone poi solo uno.

Caro Sacchi, altro che antico. Mancini è il prototipo di allenatore moderno. Bordeline, senza schemi prestabiliti. Il tuo calcio sì che è superato, e non hai dimostrato di saper vincere altrove. Troppo comodo farlo con quel Milan stellare o arrivare a una finale di Mondiale giocando di contropiede, tradendo gli assunti tattici che ti hanno reso famoso.

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