L’INTERVENTO DEL GOVERNO ITALIANO CONSENTI’ LO SBLOCCO DI 31
ADOZIONI LO SCORSO MAGGIO. ADESSO IL GOVERNO CONGOLESE SEMBRA MOLTO MENO
DISPOSTO
Quel 28 maggio 2014 ha assunto per il Governo Renzi lo
stesso potere mediatico del primo (presunto) sbarco americano sulla Luna: si
vide la bella Ministra delle Riforme Maria Elena Boschi scendere da un aereo
assieme a 31 bambini congolesi, adottati da 24 famiglie italiane. Fu per queste
ultime la fine di un incubo, iniziato nel settembre 2013 quando, l’ennesima
instabilità politica nella Repubblica democratica del Congo, aveva portato al
blocco di tutte le adozioni internazionali. In realtà, quella dei congolesi è
anche una ripicca verso gli Occidentali dopo il caso di un canadese che aveva
adottato un bimbo senza però dire di avere un compagno gay. Renzi ovviamente
non perse tempo a vendere quel successo come riprova del suo attivismo e della
sua praticità nel risolvere le controversie. Memorabile fu anche la treccina
che una bimba fece alla Boschi sull’aereo durante il viaggio. Tenerezza,
sorrisi, politica del fare. Tutto bene quello che finisce bene. Insomma. Ci
sono appena altre 130 adozioni da sbloccare. E a quanto pare questa volta la
telefonata di Renzi a Kabila non è servita a niente.
IL CASO - Da allora, altre
130 coppie di genitori (si tratta di una stima, ma la Commissione adozioni
internazionali si rifiuta di offrire un dato ufficiale) – la cui adozione è
stata convalidata anche dalle autorità del Paese africano – aspettano invano
che la situazione si sblocchi. Non solo: devono convivere con il silenzio delle
istituzioni, le promesse mancate dei politici e la ferma raccomandazione a non
parlare con nessuno, men che meno con la stampa.
Giulia (il nome è di fantasia perché tutti i genitori
sentiti hanno chiesto di rimanere anonimi) nel gennaio 2013 ha adottato un
bambino di 6 anni. Il mese prossimo ne compirà 8: ha già il cognome dei
genitori italiani, ma loro non l’hanno mai incontrato. Giulia e il marito
sarebbero dovuti partire alla volta del Congo per portarlo in Italia il 2
ottobre 2013, pochi giorni dopo la partenza di quelle famiglie che poi
riusciranno a risolvere la loro situazione a maggio. Anche lei aveva una
sentenza definitiva di adozione emessa da un tribunale di Kinshasa, anche lei
aveva già acquistato i biglietti aerei e preparato le valigie. Ma quei pochi
giorni di distanza nei biglietti hanno fatto la differenza.
Dal 28 maggio, Giulia ha ricevuto solo due email da parte
del Comitato adozioni internazionali, l’ente – sotto la responsabilità della
Presidenza del Consiglio – che sta provando a districare la situazione con le
autorità congolesi. Entrambe si concludono con lo stesso monito: “Le famiglie”
agiscano “con prudenza e discrezione”. “Qualsiasi iniziativa personale rischia
di pregiudicare il lavoro svolto e in corso”. Tradotto: non parlate con la
stampa. Le onlus coinvolte nella vicenda Congo a marzo hanno scritto a Cai (la
Commissione per le adozioni internazionali, ndr) chiedendo come rapportarsi con
le famiglie in attesa. La Commissione non ha mai risposto. Solo a luglio,
durante l’assemblea plenaria degli oltre 40 enti autorizzati alle adozioni
(quindi anche quelli che con il Congo non c’entrano nulla), si è fatto un
accenno alla questione durante la relazione introduttiva. “Abbiamo avuto
incontri bilaterali con alcune famiglie e associazioni”, spiega Silvia della
Monica, presidente Cai (per delega di Matteo Renzi).
Alcune, non tutte. Per questo i malumori per la mancanza di
comunicazione sono diffusi. L’esempio più lampante è quello dello scorso 26
settembre, quando il Congo ha deciso – anche a causa dell’ennesimo caso di
traffico di bambini perpetrato da una famiglia nordamericana – di prorogare
sine die il blocco delle adozioni. I genitori hanno appreso la notizia da
Internet, grazie agli articoli della stampa africana. Il comunicato di Cai è
arrivato solo nel pomeriggio: “Appena ricevuta la comunicazione ufficiale,
l’abbiamo girata alle famiglie”, risponde la presidente. In questi mesi varie
famiglie hanno cercato un contatto diretto anche con il ministero degli Esteri.
Una strategia risultata poco gradita alla Commissione Cai che, a quanto
riferiscono enti e genitori, si è “sentita scavalcata”. Come conferma anche il
presidente Della Monica: “Siamo l’unica autorità competente, i contatti con le
famiglie spettano a noi. Io non mi occupo dei marò”.
Un altro fuoco d’artificio sparato da Renzi che, una volta
spentosi, ha lasciato solo fumo.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
Nessun commento:
Posta un commento