DIVENTANDO Città
metropolitana, l’ente di area assorbe l’ex provincia e ne eredita anche il debito: 94 milioni di euro
Oltre a Roma, alle prese con scandali giudiziari, degrado,
violenza, ma che nonostante ciò vorrebbe pure organizzare le Olimpiadi del
2014, anche Milano non se la passa molto bene. E per gli stessi problemi. Se in
comune con la Capitale ha degrado (in primis la Stazione centrale, che appare
sempre più un Lazzaretto a cielo aperto), violenza (il machete e le aggressioni
ai dipendenti dei trasporti pubblici sembrano ormai andare di moda) e scandali
giudiziari (di cui quelli relativi ad Expo sono i più eclatanti), ha pure guai
finanziari. E anche pesanti. E li deve alla conversione delle Province in Città
Metropolitane.
LA VORAGINE NEI CONTI - I
numeri parlano chiaro. Il bilancio preventivo 2015 della Città Metropolitana
sconta pesantemente la serie di tagli programmati dal governo agli enti di
primo livello che sono stati fissati in un miliardo di euro, con una ricaduta
sul capoluogo lombardo di 27 milioni nel 2015, il doppio nel 2016 e nel 2017 di
54 milioni. Così, lo squilibrio nei conti si attesterà a 94 milioni quest’anno,
163 milioni nel 2016 e altri 212 nel 2017. In tutto sono 500 milioni di euro.
Poco o nulla, nel frattempo, è arrivato dalla rimodulazione del decreto sugli
enti locali che doveva attenuare la corsa ai tagli: gli effetti del decreto si
riducono essenzialmente al risparmio sullo sforamento del Patto di Stabilità
della defunta Provincia, quantificato da 60 a 10 milioni. Il debito contratto
defluisce dalle scritture contabili dell’ente morto. L’allarme risuona a sirene
spiegate: per non portare i libri in tribunale ed evitare il commissariamento
tocca correre ai ripari entro il 31 di luglio, un mese e poco più. Da contabile
la vicenda diventa subito politica, perché nel 2016 si vota e i candidati in
corsa che scaldano i motori si vedono già apparecchiato, sul piatto d’argento,
un bellissimo boccone per cui scannarsi.
PASSERA E GELMINI COLGONO LA PALLA
AL BALZO - A cogliere la palla al balzo, ad esempio, è Corrado Passera,
candidato a sindaco nel 2016 con la sua Italia Unica: “Ancora un volta emerge
un buco di bilancio, e stavolta ci va di mezzo la Grande Milano. Ancora una
volta comincia un rimpallo di responsabilità tra il sindaco e Palazzo Chigi su
chi e come deve “ripianare”. Uno scaricabarile a cui i cittadini sono stanchi
di assistere”.
Stessi bersagli individuati dalla coordinatrice regionale di
Fi, Mariastella Gelmini: “Non è Milano che affonda con la Città metropolitana:
ad affondare è la sinistra milanese e nazionale, e la sua costante, immutabile
inconcludenza. Nel 2011 hanno promesso la “primavera” arancione per Milano,
fallita a poco più di metà mandato con la rinuncia del sindaco a ricandidarsi e
nessuna realizzazione del programma. Ora anche la Città metropolitana naufraga
dopo alate promesse e decine di convegni a base di favole. Invece che abolire
le Provincie e distribuire le competenze tra Comuni e Regioni, il governo ha
creato un carrozzone vuoto con la Delrio. Ora naufraga nei debiti, con un
surreale scaricabarile tra il Pd milanese e il Pd governativo”.
SVENDITE IN ARRIVO - Intanto
la Grande Milano si prepara alle svendite per tappare una parte del buco. La
Città metropolitana è pronta a vendere Palazzo Diotti, la storica sede della
Prefettura e un paio di caserme che ora ospitano polizia e forze dell’ordine.
Il piano di rientro allo studio del sindaco è subordinato alla possibilità di
poter utilizzare almeno il 50 per cento proveniente dalle dismissioni del
patrimonio immobiliare per la spesa corrente. Il palazzo e le caserme, spiega
il Corriere della Sera, dovrebbero essere già inserite nel primo lotto del
fondo Invimit, la società di gestione del risparmio del ministero dell’Economia
e delle Finanze, dove confluiscono gli immobili delle Città metropolitane e
delle Province che non sono più funzionali agli scopi dei nuovi enti.
Chiaramente la funzione pubblica resta preservata e quindi non ci sarà nessuno
“sfratto” della Prefettura o delle forze dell’ordine. Il valore degli immobili
collocati nel fondo varia tra gli 80 e i 90 milioni di euro, a cui si
aggiungerebbero i 38,7 milioni per la vendita del palazzo di corso di Porta
Vittoria che è stato “prenotato” con una proposta irrevocabile.
LA PESANTE EREDITA' LASCIATA DALLA
MORATTI - Se si torna al 2011 si comprende meglio il furore che ha colto
Pisapia il “mite”, quello della “rivoluzione gentile”. Quando si è insediato a
Palazzo Marino, il neo sindaco di Milano e il suo assessore al bilancio Bruno
Tabacci scoprirono nei conti del Comune un buco da 186 milioni di euro lasciato
in eredità dall’amministrazione Moratti. “Siamo davanti a un disavanzo
potenziale che rischia di mettere in ginocchio la città”, accusavano. E ora a
Pisapia, dopo quattro anni di governo della città, non pare vero di ritrovarsi
nella stesa situazione, con i candidati sindaco che banchettano sul
“pasticcio”, imputandogli di aver lasciato la città coi conti in rosso. Ecco
perché ha messo da parte il suo fair-play, ecco perché picchia i pugni sul
tavolo. Il fallimento della città, ragiona il sindaco, non può essere la mia
targa di addio alla Grande Milano.
LA RABBIA DI PISAPIA – La
scoperta ha mandato su tutte le furie il sindaco che giovedì scorso ha mollato
su due piedi la first lady d’America, Michelle Obama, in visita all’Expo per
volare a Roma a recapitare un messaggio a Palazzo Chigi: la città metropolitana
rischia di sprofondare sotto il combinato disposto dei tagli ai trasferimenti
al nuovo ente e dei debiti che eredita dalla disciolta provincia. Un’emergenza
conti che diventa un boccone amarissimo per Pisapia e assai goloso per i
candidati alla sua successione.
Per Pisapia e la sinistra milanese diventa un peso enorme in
vista della competizione del 2016. Ci sono poi da rilevare due aspetti che
possono fare la differenza nei rapporti sull’asse Roma-Milano. Il primo è che
proprio Pisapia è stato tra i “padri nobili” delle città metropolitane. Lo
raccontava lui stesso, in una lettera, durante lo sfibrante confronto
parlamentare sulla riforma Delrio. “Oltre dieci anni fa – ricordava Pisapia –
quando si è discusso del titolo V della Costituzione ero stato tra i proponenti
della Città metropolitana. Nella stessa seduta avevo anche presentato un
emendamento per una graduale soppressione delle province che, invece, non è stato accolto”. Insomma, il padre
nobile non riconosce la sua “creatura” per come la disegna il governo Renzi.
Pisapia, va detto, aveva pure lanciato l’allarme per tempo, definendo Milano
come una “Ferrari senza benzina”, e avvertendo il governo sul rischio di non
riuscire a garantire più servizi essenziali come la manutenzione delle strade,
i servizi scolastici, gli aiuti ai disabili.
Questo buco di bilancio sarà senza dubbio uno degli
argomenti della prossima campagna elettorale, nel corso della quale i vari candidati
si affanneranno nel dare le colpe al Sindaco uscente. Il quale gli faciliterà
il compito facendo già sapere da mesi che non si ricandiderà. E per vari motivi,
i milanesi hanno esultato.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
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