Quest’anno Vasco, esattamente il 13 maggio, ha compiuto trent’anni di carriera.
Il suo primo album “Ma cosa vuoi che sia una canzone”, presenta al pubblico un giovane ribelle di una piccola cittadina frazione di Modena, Zocca, a cui piace andare al massimo, divertendosi con gli amici, andando a donne…”che se ne frega di tutto si!” insomma. La prima opera presenta già canzoni successivamente divenute tra le favorite dei fans, quali “La nostra relazione”, “Jenny è pazza”, “Ciao”.
Il suo primo album “Ma cosa vuoi che sia una canzone”, presenta al pubblico un giovane ribelle di una piccola cittadina frazione di Modena, Zocca, a cui piace andare al massimo, divertendosi con gli amici, andando a donne…”che se ne frega di tutto si!” insomma. La prima opera presenta già canzoni successivamente divenute tra le favorite dei fans, quali “La nostra relazione”, “Jenny è pazza”, “Ciao”.
Da allora, Vasco prosegue con altri album, ognuno dei quali narra le difficoltà di vivere, di donne forti e anche fragili, della voglia di urlare il proprio dissenso, del menefreghismo tipico adolescenziale e dei ventenni, di storie d’amore finite o piene di difficoltà, di un romanticismo mai banale, del modo di affrontare la vita con ironia…Tutti temi in cui i giovani si rivedono, da ormai 4 generazioni. Certo negli anni la genuinità di quel ragazzo di un paesino, è diventata una costruzione commerciale, ma è un qualcosa di inevitabile. Quando arriva il successo, ciò che ha portato un artista a quello, diventa routine, quasi un obbligo per non perdere colpi. E così negli anni, diciamo forse dal periodo successivo a “Gli spari sopra” del ‘93, album che per me resta l’ultimo contenente spunti nuovi e canzoni storiche (basti pensare a “Gli spari sopra”, “Gabry”, “Stupendo”, “Vivere”), Vasco ha ripetuto i contenuti delle migliori canzoni, cercando la stessa ricetta, ma non ottenendo certo lo stesso prodotto finale. Così resta lo stereotipo della canzone ribelle, simil-romantica, ironica, menefreghista, ma che sono lontani parenti di quelle più celebri. E la continua uscita di nuovi album non ne ha certo aiutato la creatività.
Forse se Vasco avesse proposto dischi ogni 4-5 anni, avrebbe offerto una maggiore qualità e suscitato una maggiore desiderabilità negli stessi fan. Anche perché 24 album in 30 anni sono un bel po’, quasi un album all’anno. E posso capire la frequenza dettata dalla creatività degli inizi e dalla necessità di farsi conoscere agli esordi; ma raggiunta questa, ad esempio a partire dagli anni ’90, le uscite discografiche andavano meglio dosate. Perché il risultato ne ha risentito parecchio.
Ma questa è una “malattia” che colpisce tutti i cantanti e i gruppi blasonati. Raggiunto il picco, si finisce per scadere.
Al di là dei miei futili e banali commenti, faccio i miei auguri a Vasco, ringraziandolo per le emozioni che mi ha regalato, ascoltandolo già verso gli 8-9 anni. E lo omaggerò andando ad un suo concerto tra qualche giorno. Perché le canzoni poco convincenti di oggi, non possono cancellare le perle del passato.
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