SONO IN MIGLIAIA QUELLI TORNATI IN PATRIA O EMIGRATI IN
AFRICA E SUDAMERICA
Dopo un ventennio di continui arrivi, con interi quartieri
in varie città italiane divenuti tante piccole Chinatown, i cinesi stanno
lasciando il nostro Paese la cui economia è ormai in putrefazione. E così
chiudono negozi di abbigliamento e casalinghi, resistono i ristoranti. Preferiscono
nuovi Eldoradi, come l’America latina o perfino l’Africa settentrionale. O
tornare nel proprio Paese, da anni superpotenza economica. Non si riesce ancora
a capire se queste partenze siano definitive; talvolta riguardano solo alcuni
membri della famiglia.
Ma non solo i cinesi lasciano il nostro Paese; bensì un po’
tutti gli stranieri. All'Anagrafe per la prima volta si registra un calo delle
iscrizioni, e aumentano le cancellazioni, con un'impennata del 15,9 per cento
in un anno. I dati, riferiti al 2011, terzo anno della crisi, sono stati
raccolti dall'Istat, e la Fondazione Moressa ha cercato di studiarli per capire
di cosa si tratti.
PRENDIAMO ROMA COME CAMPIONE
- Lucia King, da anni ponte tra la comunità cinese e il paese Italia: «Quanti
sono andati via? Difficile dare i numeri…Duemila, tremila?». E’ Sarah Fang
della rivista Il tempo Europa Cina ad ammettere per prima il nuovo fenomeno.
«E’ vero, tanti negozi di connazionali sono ormai chiusi, basta fare un giro
per i quartieri a piu alta presenza cinese – spiega la giornalista - . Lo
stesso sta avvenendo anche in Spagna, per quel che so».
«I nostri tornano in Cina, la maggioranza nella regione
dello Zehjang di cui sono originari - prosegue Fang -, sono perlopiù uomini
adulti che tornano a casa a cercare un lavoro nell’economia che tira in
madrepatria, lasciano qua la moglie e i figli che vanno a scuola. In altri casi
resta qua il marito e la famiglia torna dai parenti in Cina. E poi ci sono
famiglie intere che se ne vanno. Su seicento esercizi che ci sono intorno a
piazza Vittorio, secondo me il 10% ha chiuso…».
Lucia King cerca anche lei di fornire una stima, riguarda la
prima comunità arrivata a Roma e che appare la più colpita dalla sindrome
ritorno. «Penso che il 60% dei primi cinesi arrivati a Roma se ne sia ormai
tornato in Cina – spiega -. Non è solo una partenza definitiva, c’è anche chi
fa avanti e indietro in attesa di tempi migliori. E poi c’è anche gente che si
sposta in altri Paesi. Dove? Ho amici che si sono spostati in Africa e nel Sud
America. Cercano nuove opportunità. I cinesi sono coraggiosi, prendono e
vanno». Insomma, si chiude.
NON SI SA SE E’ UNA PARTENZA
TEMPORANEA - C’è anche chi chiude «temporaneamente», secondo l’idea che
un negozio chiuso costa molto meno, in questo momento, di un negozio aperto.
Anche l’ambasciata cinese sta facendo i conti con questi nuovi trend. Spiega il
consigliere Yao: «Sì, c’è chi va via, ma molti sono pronti a tornare se
l’economia riprende a tirare. Molti hanno il permesso di soggiorno, non lo
vogliono buttare via così. Vanno via i più vecchi, certo, ma anche i giovani
della seconda generazione. Una parte per prendersi una pausa, e una parte
perché è attirata dalla situazione economica cinese e dal suo forte sviluppo».
Insomma, la fuoriuscita dei cinesi da Roma e dall’Italia è in pieno corso.
Ancora prematuro capire quanto sia definitiva e quanto temporanea. Sta di fatto
che i tempi della cosiddetta «invasione cinese» stanno diventando un ricordo
sbiadito e lontano.
ANCHE GLI EXTRACOMUNITARI IN NETTO
CALO –Il risultato è che gli stranieri che abbandonano l'Italia non
sempre tornano ai loro Paesi d'origine. Spesso non interrompono la loro
"esperienza migratoria", insomma, ma la proseguono in altre nazioni,
in altre città europee per esempio. Più della metà di questi stranieri sono
europei (e di questi un terzo rumeni), quasi il 18 per cento ha origini asiatiche
(quasi un terzo fra questi sono cinesi e poco meno di uno su cinque sono
indiani). Il 12,2 per cento proviene dall'Africa. Fra i sudamericani spicca il
dato dei brasiliani. Per i ricercatori, insomma, si può per lo meno ipotizzare
un rientro in patria soprattutto dei cittadini dei paesi in via di sviluppo, in
cui le prospettive di vita e professionali appaiono forse in via di
miglioramento, al contrario di quel che appare nella terra destinazione della
migrazione. L'incremento delle cancellazioni, comunque, riguarda tutte le
nazionalità, con l'eccezione del Bangladesh (-16,9%).
AD INCIDERE LA CRISI DEL LAVORO
- Ad avvalorare una lettura legata alla crisi, ovviamente, ci sono i dati sulla
disoccupazione. Il numero degli stranieri senza lavoro, infatti, in tre anni è
sostanzialmente raddoppiato (+91,8 per cento), per un incremento in numeri
reali di 148mila unità. Non poche persone insomma - il corrispondente dato
degli italiani è salito di 267mila unità. Il tasso di disoccupazione degli
stranieri è aumentato dal 8,5 al 21,1 per cento, mentre quello degli italiani è
passato dal 6,6 per cento all'8 per cento. Esiste, è vero, una percentuale di
stranieri che tenta l'attività imprenditoria. Ma dato l'elevato rischio e
sforzo che comporta, spesso si preferisce uno spostamento, e dunque l'abbandono
del Paese.
Sembra ieri che parlavamo di “invasione”, di necessità di
regolare i flussi migratori. Dal 2011 c’è un’inversione di tendenza destinata a
proseguire ancora. Le scene dei barconi stracolmi di albanesi appartiene sì al
secolo scorso, ma risalgono solamente al ’91 e al ‘97. Questo fenomeno conferma
come il nostro Paese sia collassato nel giro di pochi anni, risultando ancora
appetibile giusto a qualche paese africano poverissimo.
(Fonte: Corriere
della sera, Il
Giornale)
fanno bene....l'italia è un paese povero
RispondiEliminaottimo crisi deve continuare anche gli africani debbono schifarci chiudiamo le frontiere........
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