GIUNTO NELLE SALE ITALIANE IN QUESTI GIORNI, RACCONTA LA
VITA DELLA CANTAUTRICE CILENA, ALLA QUALE si
deve un'importante opera di recupero e diffusione della tradizione popolare del
Cile
E’ arrivato
anche in Italia – anche se purtroppo in pochissime sale – “Violeta Parra - Went
To Heaven”, film biografico del regista cileno Andés Wood sulla cantautrice,
poetessa e pittrice cilena Violeta Parra, nata a San Carlos il 4 ottobre 1917 e
morta suicida a Santiago del Cile il 5 febbraio 1967. A Violeta Parra si deve
un'importante opera di recupero e diffusione della tradizione popolare del
Cile, opera proseguita poi dal movimento della Nueva Canción Chilena. E’ stata
anche scultrice e ceramista, nonché la prima latinoamericana a cui fu
consacrata un'esposizione di opere al Louvre.
Nelle sue canzoni sono sempre presenti la denuncia e la
protesta per le ingiustizie sociali. La sua canzone più conosciuta è Gracias a
la vida, struggente testamento del suo essere sensibile e profondo, scritta in
un momento di grande sconforto che sfocerà nel suicidio l’anno seguente, rifatta
successivamente da più artisti in più versioni.
BIOGRAFIA - Il film inizia
descrivendo la sua infanzia e l'adolescenza tormentate trascorse nel sud del
Paese, nella regione di Chillán, in una famiglia proletaria numerosa. Il padre
Nicanor è un maestro e insegnante di musica alcolista, mentre la madre, di
origine contadina, cuce a macchina in casa. Fin da bambina è vivace e dimostra
inclinazione per la musica (compone le prime canzoni a 12 anni) e per il
teatro. Violeta si sposa due volte, partorisce 4 figli, si integra in un gruppo
teatrale itinerante, dove canta in coppia con la sorella Hilda, e si impegna
politicamente con i comunisti. Si assiste alle sue peregrinazioni nei paesini
delle Ande alla ricerca di antiche canzoni e ballate popolari da apprendere e
reinterpretare. Nel 1954, viene invitata ad esibirsi in Polonia e
successivamente trascorre 2 anni in Europa. Tornata in Cile inizia a incidere
dischi e, nel 1958, fonda il Museo Nacional del Arte Folklórico. All'inizio
degli anni '60 è a Parigi insieme al grande amore della sua vita, il musicologo
e antropologo svizzero Gilbert Favre, con cui intrattiene una relazione
tempestosa e contrastata. Rientrata in Cile, nel 1965 inaugura il suo progetto
più ambizioso, la tenda-teatro a La Reina, che vuole essere una
"Universidad del Folklore". Vi si esibisce con i figli Ángel e Isabel
e con altri cantautori, fra cui Victor Jara. Ma nel frattempo Favre la lascia e
si trasferisce in Bolivia.
Questo dramma personale ispira a Parra una delle sue canzoni
più conosciute: Run Run se fue pa'l Norte. Sempre nel 1966 Parra registra il
suo ultimo disco: Gracias a la vida, Volver a los 17, Rin del angelito sulla
mortalità infantile, Pupila de águila, Cantores que reflexionan e El albertío.
Il 5 febbraio 1967, a cinquant'anni, colpita da una grave
forma di depressione, Violeta Parra si suicida.
IL FILM – Andrés Wood – regista
cileno al suo terzo film - ha tracciato un ritratto intenso. Descrive la donna
e l'artista appassionata e contraddittoria, tenacemente creativa, ma anche in
lotta con i suoi demoni interiori, con eccessi di cupezza, disincanto e persino
di egoismo e risentimento. Il film ripercorre le tappe salienti della vita
della Parra (con alcune licenze poetiche), ma non è un tradizionale biopic. Si
tratta di un'intervista rievocativa concessa nel 1962 a un giornalista
televisivo argentino tendenziosamente provocatorio, a cui la Parra risponde con
sfrontata ironia. Lo straordinario montaggio, non lineare né sequenziale, di
Andrea Chignoli, è caratterizzato da libere associazioni e zone chiaroscurali.
Senza dubbio la forza del film risiede nella straordinaria
interpretazione di Francisca Gavilán. L'attrice sembra davvero incarnare
Violeta, quasi attuando un processo di osmosi. La sua recitazione emotiva e
coraggiosa fa emergere i marcati contrasti della personalità di un'artista
forte, ma anche insicura, socievole individualista e angustiata. Ma aspetto
forse più importante, la Gavilán interpreta tutte le 21 canzoni presenti nel
film. La fotografia di Miguel Joan Littin, abituale collaboratore di Wood,
cattura magistralmente la luce delle Ande e le penombre parigine lungo la Senna
al fine di far rispecchiare gli umori interni della Parra negli ambienti
circostanti.
Pecca non di secondo conto, per chi avrebbe voluto un film
completo sulla sua figura,
risulta essere lo scarso spazio dedicato dal regista al suo
attivo impegno politico e la relazione di sfida che mantenne con la borghesia
cilena. Del resto la sensibilità verso le tematiche sociali e politiche che
trasuda anche nelle sue canzoni, sono un aspetto cruciale per una biografia
completa della cantautrice cilena.
Comunque è già una buona notizia che si sia fatto un film su
Violeta Parra, sconosciuta ai più. Ma la limitata fruizione nelle sale
cinematografiche più commerciali non aiuterà certo a diffondere la figura di
questa straordinaria e sensibilissima artista sudamericana.
Questa la sua canzone più conosciuta e, forse, più bella: Gracias a la vida
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