IL PAESE STA VIVENDO UN’INVOLUZIONE DITTATORIALE PER OPERA
DEL partito islamista Ak, ALLONTANANDOSI
SEMPRE PIU’ DAGLI STANDARD EUROPEI
Ciò che è accaduto nella primavera dello scorso anno in
Turchia - dove per un paio di mesi migliaia di persone sono scese in strada per
difendere il Gezi Park, al posto del quale il Governo voleva costruire un
Centro commerciale - è stata solo una spia dell’involuzione autoritaria che sta
travolgendo il Paese turco per opera del Premier Recep Tayyip Erdoğan, alla
guida del Paese col partito islamista Ak. Le proteste hanno comportato cinque
morti e centinaia di feriti, ma è stata utile poiché la Magistratura a luglio ha
bloccato i lavori. Ma potrebbe essere l’ultima volta, visto che Erdogan in
questi giorni ha sottomesso il potere giudiziario a quello esecutivo. Per non
parlare delle limitazioni poste a internet. Insomma, a quasi un secolo dalla
rivoluzione di Ataturk che pose fine al potere del Sultano e al plurisecolare
Impero degli ottomani, la Turchia sta tornando a un regime dittatoriale.
Allontanandosi da quell’Europa che tanto ambisce da tempo.
I PROVVEDIMENTI AUTORITARI -
Dopo avere votato, due settimane fa, una legge che limita pesantemente la
libertà di Internet - mettendosi sul piano della Cina e dell'Iran – qualche
giorno fa il Parlamento di Ankara, in cui il partito islamista Ak del premier
Erdogan ha la maggioranza assoluta, ne ha approvata, nonostante un pandemonio
scatenato dall'opposizione, un'altra ancora più liberticida: sottomette il
Consiglio superiore della magistratura all'autorità del Guardasigilli,
cancellando in pratica la separazione tra potere esecutivo e potere
giudiziario. In contemporanea, il governo ha completato l'epurazione della
polizia e della magistratura dai presunti seguaci di Fetullah Gulem, il potente
imam un tempo suo alleato che vive in esilio negli Stati Uniti e che Erdogan
accusa di essere il burattinaio della «Tangentopoli sul Bosforo», lo scandalo
che ha coinvolto quattro figli di ministri e numerosi esponenti del partito di
maggioranza, mandando a picco la lira turca e la Borsa e facendo fuggire i
capitali esteri.
Nel tentativo di bloccare il procedimento giudiziario, che
nei giorni scorsi ha toccato anche suo figlio Bilal, il premier ha finora
rimosso o trasferito duecento magistrati e ben settemila dirigenti e funzionari
di pubblica sicurezza. «Ak sta per partito della Giustizia e dello Sviluppo» ha
dichiarato il capo dell'opposizione Kilicdaroglu «ma dopo quanto è successo
negli ultimi tempi in Turchia non c'è più né l'una né l'altro».
UN PAESE CHE TORNA INDIETRO -
L'involuzione autoritaria di Erdogan che, come scrive l'Economist, «dopo dodici
anni al potere confonde il suo destino personale con quello del Paese», è
cominciata con una svolta in politica estera, che lo ha progressivamente
allontanato dall'Occidente per inseguire una specie di sogno ottomano
miseramente fallito; sono poi arrivati, in rapida successione, un processo
visibilmente «truccato» per una fantomatica congiura che ha portato alla
condanna di decine di alti ufficiali, l'arresto di centinaia di giornalisti
critici del regime, una serie di provvedimenti per l'islamizzazione della
società, la rottura con l'ex alleato Gulem, la repressione della protesta per
la distruzione di Gezi Park (con cinque morti e centinaia di feriti), le accuse
di corruzione nello sviluppo urbanistico di Istanbul, il tentativo di fermare
l'inchiesta con purghe di marca staliniana, una raffica di farneticanti accuse
agli Stati Uniti, a Israele e ad altre potenze straniere.
Se non avesse tagliato loro tempestivamente le unghie, le
Forze Armate, che nel dopoguerra sono intervenute ben quattro volte per
preservare l'eredità di Ataturk e garantire la laicità dello Stato, lo avrebbero
già rovesciato. In un Paese veramente democratico, a questo punto Erdogan
sarebbe con le spalle al muro. Invece, sembra intenzionato a proseguire per la
sua strada. Le speranze dell'opposizione che il presidente Gul non firmi la
legge che permette al governo di bloccare qualsiasi sito considerato ostile e
di cancellare dalla rete i contenuti ritenuti «offensivi», o che la Corte
Costituzionale bocci la legge che rafforza il controllo del governo sulla
magistratura appaiono illusorie.
I PROSSIMI PASSI - Nonostante
qualche defezione, e il licenziamento di dieci ministri, il premier appare
ancora in controllo del partito e mantiene il sostegno del 40-45%
dell'elettorato, soprattutto nell'Anatolia profonda. In origine, sperava di
modificare la Costituzione e di presentarsi candidato alla presidenza quando ad
agosto scadrà il mandato di Gul. Ora, si accontenterà probabilmente di cambiare
lo statuto dell'Ak, che gli vieta di candidarsi per una quarta volta alla
direzione del governo. Ma, prima delle elezioni politiche, dovrà affrontare il
30 marzo quelle amministrative, che si presentano piene di insidie: se, come
indicano certi sondaggi, l'Ak dovesse perdere Istanbul, per «il nuovo sultano»
potrebbe essere l'inizio della fine.
(Fonte: Il
Giornale)
Caracas "Venezuela" Ucraina ex Jugoslavia sono già nella guerra civile anche se per ora i max media parlano solo dell'Ucraina perché è degenerata oltre la cosa e non può più essere velata
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