AVEVA 35 ANNI. A CONDANNARLO A MORTE IL CLAN DEI CASALESI,
PER IL SUO IMPEGNO NEL SOCIALE
Vent’anni fa, il 19 marzo 1994, Don Giuseppe Diana, detto
anche Peppe o Peppino, Parroco di Casal di Principe, veniva assassinato dalla
Camorra. Dal Clan “dei Casalesi” per la precisione, che allora viveva il suo
massimo controllo su tutto il territorio circostante, grazie anche alla
connivenza di alcune personalità politiche locali. Il suo assassinio, consumatosi
proprio nel giorno del suo onomastico, fece scalpore in tutta Italia. Un
messaggio di cordoglio fu pronunciato da Papa Giovanni Paolo II durante
l'Angelus della domenica seguente. Con l’omicidio di Don Diana, la Camorra
privò la comunità casalese di una speranza; ma rese al contempo il suo operato
ancora più incisivo, trasformandolo in un esempio da seguire per le generazioni
future.
LA CARRIERA ECCLESIALE -
Giuseppe Diana nasce a Casal di Principe, nei pressi di Aversa, da una famiglia
di proprietari terrieri. Nel 1968 entra in seminario ad Aversa: vi frequenta la
scuola media e il liceo classico. Successivamente intraprende gli studi
teologici nel seminario di Posillipo, sede della Pontificia facoltà teologica
dell'Italia Meridionale. Qui si licenzia in Teologia biblica e poi si laurea in
Filosofia presso l'Università Federico II di Napoli. Nel 1978 entra
nell'Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) dove fa il
caporeparto. Nel marzo 1982 è ordinato sacerdote.
Diventa assistente ecclesiastico del Gruppo Scout di Aversa
e successivamente anche assistente del settore Foulards Bianchi. Dal 19
settembre 1989 è parroco della parrocchia di San Nicola di Bari in Casal di
Principe, suo paese nativo, per diventare poi anche segretario del vescovo
della diocesi di Aversa, monsignor Giovanni Gazza. Insegna inoltre materie
letterarie presso il liceo legalmente riconosciuto del seminario Francesco
Caracciolo, nonché religione cattolica presso l'istituto tecnico industriale statale
Alessandro Volta e l'Istituto Professionale Alberghiero di Aversa.
L’IMPEGNO – Come detto, Don
Peppino Diana cerca di aiutare la gente nei momenti resi difficili dalla
camorra, negli anni del dominio assoluto della camorra casalese, legata
principalmente al boss Francesco Schiavone, detto Sandokan. Gli uomini del clan
controllavano non solo i traffici illeciti, ma si sono anche infiltrati negli
enti locali e gestiscono fette rilevanti di economia legale, tanto da diventare
"camorra imprenditrice".
Lo scritto più noto di don Peppe Diana è la lettera Per
amore del mio popolo, un documento diffuso a Natale del 1991 in tutte le chiese
di Casal di Principe e della zona aversana insieme ai parroci della foranìa di
Casal di Principe, un manifesto dell'impegno contro il sistema criminale. Tra i
passi più importanti:
«Siamo preoccupati. Assistiamo impotenti al dolore di tante
famiglie che vedono i loro figli finire miseramente vittime o mandanti delle
organizzazioni della camorra. Come battezzati in Cristo, come pastori della
Forania di Casal di Principe ci sentiamo investiti in pieno della nostra
responsabilità di essere “segno di contraddizione” (…) È oramai chiaro che il
disfacimento delle istituzioni civili ha consentito l'infiltrazione del potere
camorristico a tutti i livelli. La Camorra riempie un vuoto di potere dello
Stato che nelle amministrazioni periferiche è caratterizzato da corruzione,
lungaggini e favoritismi (…) Le nostre “Chiese hanno, oggi, urgente bisogno di
indicazioni articolate per impostare coraggiosi piani pastorali, aderenti alla
nuova realtà; in particolare dovranno farsi promotrici di serie analisi sul
piano culturale, politico ed economico coinvolgendo in ciò gli intellettuali
finora troppo assenti da queste piaghe”. Ai preti nostri pastori e confratelli
chiediamo di parlare chiaro nelle omelie ed in tutte quelle occasioni in cui si
richiede una testimonianza coraggiosa (…)».
L’OMICIDIO - Alle 7.20 del 19
marzo 1994, giorno del suo onomastico, Giuseppe Diana è assassinato nella
sacrestia della chiesa di San Nicola di Bari a Casal di Principe, mentre si
accinge a celebrare la santa messa. Un killer lo affronta con una pistola. I
cinque proiettili vanno tutti a segno: due alla testa, uno al volto, uno alla
mano e uno al collo. Don Peppe Diana muore all'istante.
Ma la Camorra non si fermò qui. Dopo averlo ucciso, cercò
anche di infangarlo mediante i giornali locali, dipingendolo come un donnaiolo
o un camorrista stesso. Ma anche di recente, con il Boss Carmine Schiavone che
ha parlato di Don Diana come procacciatore di voti in cambio di gratuite
prestazioni d’opera o di donazioni di materiali per la realizzazione di opere
di edilizia in edifici di culto.
Sei mesi prima stessa sorte era toccata a Don Pino Puglisi,
Parroco di Palermo, ucciso dalla Mafia per il suo impegno sociale. A inizio
anni ’90 la Mafia mostrò il suo volto più violento in risposta a uno Stato che
cominciava a dichiarargli guerra e a una coscienza sociale che cominciava a
muoversi.
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