NEL PAESE IBERICO BRUTTA SCONFITTA PER IL PARTITO POPOLARE
AL GOVERNO E PER I SOCIALISTI, MENTRE IN POLONIA VINCE LA DESTRA CONSERVATRICE
EUROSCETTICA
Domenica scorsa l'Unione europea ha messo in pratica un
invito di Gesù: porgi l'altra guancia. Sebbene lo abbia fatto suo malgrado e
indirettamente. Da Spagna e Polonia sono arrivati due risultati elettorali ad
ulteriore conferma dell'euroscetticismo ormai dilagante nel vecchio continente.
Due autentici schiaffi ricevuti da destra e sinistra. Nel Paese iberico alle
amministrative ha trionfato il Movimento Podemos, che ho già descritto come un
mix tra Grillo e Tsipras; con i partiti tradizionalisti popolari e
socialisti al minimo storico. Mentre nel Paese d'origine di Karol Wojtyla a
trionfare alle presidenziali è stata la destra reazionaria, nazionalista ed
“euroscettica di Andrzej Duda, 43enne, che ha raccolto un grande consenso tra
gli 'ultimi'.
IL TRIONFO DI PODEMOS - Se è
difficile dire chi abbia vinto – ogni territorio fa storia a sé, e spesso si
registrano successi di liste civiche o coalizioni di carattere locale non
riconducibili a partiti di carattere nazionale – sicuramente non possono
cantare vittoria i due partiti che si sono spartiti il potere dall’inizio degli
anni ’80 ad oggi, cioè da quando una parte della classe dirigente franchista
decise di andare ad una riforma parziale e indolore del precedente regime per
permettere l’ingresso di Madrid nell’Unione Europea e nel Patto Atlantico.
Oggi la stragrande maggioranza dei media internazionali
parlano di exploit di Podemos, ma in realtà le neonate coalizioni elettorali di
sinistra e centrosinistra che si sono affermate in molte città non posson
essere considerate un calco locale del partito guidato da Pablo Iglesias.
Podemos – che ha deciso di non presentarsi alle amministrative – ha infatti
dato vita a liste locali con pezzi provenienti da Izquierda Unida e da altri
partiti anche consistenti, imbarcando però a volte anche personale politico
proveniente dal Partito Socialista in fuga dalla casa madre oltre a esponenti
di movimenti di lotta contro l’austerità e i tagli indiscriminati che hanno
colpito milioni di lavoratori e cittadini.
Certamente l’affermazione a Barcellona di Barcelona En Comú,
la lista guidata da Ada Colau e sostenuta da Podemos, Iniciativa per Catalunya
Verds (centrosinistra), Esquerra Unida i Alternativa (sinistra), Equo
(centrosinistra) e Procés Constituent - a lungo capofila del radicato e
battagliero movimento contro gli sfratti – indica un segnale di tendenza che
potrebbe irrompere nelle prossime elezioni politiche generali.
Buon risultato anche a Madrid dove ‘Ahora Madrid’,
coalizione guidata dalla 71enne giudice in pensione Manuela Carmena (membro
della fondazione Alternativas insieme agli ex premier socialisti Felipe
Gonzalez e Zapatero!), è riuscita a piazzarsi al secondo posto alle spalle di
un Partito popolare fortemente ridimensionato ma ancora primo. Per governare
però Carmena dovrà cercare un’alleanza con i socialisti, arrivati terzi. Anche
a Barcellona Colau dovrà ottenere il sostegno di liste minori – oppure dei
socialisti – se vorrà guidare la capitale catalana.
Il discorso ‘anticasta’ e ‘nuovista’ di Podemos, adottato
dalle liste civiche locali, ha attirato i voti di settori ampi e trasversali.
Paradossalmente a farne le spese è stata la ‘sinistra radicale’ spagnola che a
volte è stata punita per la scarsa determinazione dimostrata in questi anni
contro il governo e a fianco dei movimenti sociali, a volte per spurie e
incomprensibili alleanze con i socialisti per il governo di alcune città, a
volte semplicemente perché considerata ‘obsoleta’, ‘vecchia’, parte del sistema
dei partiti.
LA CRISI DI POPOLARI E SOCIALISTI
– E’ una sconfitta netta, inequivocabile – ed annunciata - quella che ha
letteralmente investito il Partito Popolare di Mariano Rajoy, la destra
postfranchista al governo, coinvolta in una ondata di scandali e punita
dall’elettorato perché promotrice di durissime politiche di tagli e
privatizzazioni imposte dall’Unione Europea e dal Fondo Monetario
Internazionale. Il partito del premier ha ottenuto ieri solo il 27% dei voti,
perdendo circa 10 punti percentuali rispetto alle precedenti amministrative e
due milioni e mezzo di voti. Particolarmente cocente la sconfitta nella
capitale Madrid, dove il PP era al potere ormai da due decenni.
Ma anche i “socialisti” del Psoe – che nella sua
denominazione si ostina a definirsi ‘Operaio’ – non possono certo cantare
vittoria, anche se negli ultimi anni hanno potuto godere della comoda posizione
di "partito di opposizione". Ma molti elettori non hanno perdonato al
partito che fu di Zapatero le politiche di austerità implementate nei due anni
precedenti l’arrivo di Rajoy – in particolare la controriforma del lavoro e i
tagli alle pensioni - e la scarsa determinazione dimostrata nell'opposizione al
governo più antipopolare degli ultimi decenni con il quale spesso il Psoe ha
condiviso molto. E così i socialisti si sono fermati al 25%, perdendo due punti
rispetto al 2011 ma recuperando comunque due milioni di voti rispetto alle
elezioni europee dello scorso anno.
Il PP – che ha vinto ben dodici delle tredici sfide
regionali pur perdendo la maggioranza assoluta quasi ovunque – ha comunque
ottenuto 6 milioni di voti e 23 mila consiglieri. A poca distanza il Psoe che
con 5 milioni e 600 mila voti ha ottenuto quasi 21 mila consiglieri. Assieme i
due partiti sono lontani dal 70-80% dei consensi che raccoglievano solo
pochissimi anni fa, ma mantengono comunque il 52% dei voti a livello statale e
una quota assai superiore se dal computo si eliminano Catalogna e Paese Basco.
Senza parlare del fatto che se da una parte il bipartitismo viene fortemente
ridimensionato, dall’altra si afferma una forza di centrodestra liberista come
Ciutadanos capace di attirare molti dei voti in fuga dalla destra popolare e
dal ‘centrosinistra’ socialista. Il partito di Albert Rivera si è piazzato al
quarto posto sia a Madrid che a Barcellona, oltre che in altre importanti città
dello stato, costituendo un bacino di riserva per un bipartitismo che dovrà
dividere il potere con altre due formazioni – Podemos da una parte e Ciutadanos
dall’altra – ma che potrà mantenere tranquillamente il controllo della
situazione potendo contare proprio sul sostegno almeno della formazione nata in
Catalogna dieci anni fa e recentemente protagonista di un vero e proprio boom
elettorale auspicato e pilotato dai media e da alcuni apparati politici e
imprenditoriali. Il risultato di Ciutadanos permetterà a questo partito
liberale di rappresentare l’ago della bilancia della governabilità,
riconsegnando al PP o al Psoe l’accesso al potere nelle amministrazioni locali
e anche nelle regioni di Madrid, Murcia, La Rioja e Castilla y Leon.
Di fatto al 52% conquistato dall’asse PP-Psoe, occorre
aggiungere il 6,5% di Ciutadanos, e quindi le forze continuiste sul piano
politico, sociale ed economico raggiungono la soglia del 60% a livello statale.
Quota al quale occorre inoltre sommare le formazioni politiche espressione
degli interessi delle borghesie catalane e basche. Se in Catalogna il partito
nazionalista CIU ha dovuto cedere terreno alla sinistra indipendentista (da
segnalare l’exploit della Cup con il 7% e tre consiglieri comunali a
Barcellona) e a Barcelona En Comù, nel Paese Basco il risultato del Partito
Nazionalista (PNV) è andato oltre le aspettative piazzandosi largamente in
testa, mentre la sinistra indipendentista di EH Bildu ha perso terreno anche
nella sua storica roccaforte Donostia, dove pure da alcuni anni governa.
Per tornare al quadro nazionale, se non ci saranno sorprese
particolari, è prevedibile che alle prossime elezioni politiche le forze del
regime liberista espressione degli obiettivi e degli interessi dell’Unione
Europea potranno contare su un 70% dei consensi. Dalle elezioni di ieri sembra
proprio che il sistema politico sia uscito indebolito, ridimensionato,
obbligato ad adottare nuove forme ma certamente non sconfitto.
IL TRIONFO DI DUDA TRA GLI ULTIMI
- Alla fine il ballottaggio lo ha vinto Andrzej Duda, 43 anni, esponente della
destra reazionaria, nazionalista ed “euroscettica”, che ha battuto il capo
dello stato uscente, il liberale - ed esponente del partito di centrodestra
'Piattaforma Civica' - Bronislaw Komorowski, aggiudicandosi il 52% dei consensi
al secondo turno delle elezioni presidenziali polacche di ieri. Torna così in
sella il partito ‘Diritto e Giustizia’, la formazione fondata dai gemelli Lech
e Jaroslaw Kaczynski e da tempo lontana dal potere.
Nato nel 1972 a Cracovia, l’avvocato Andrzej Duda nel 2000
si era iscritto ai centristi di Unione della Libertà, per poi radicalizzarsi a
destra. Viceministro della giustizia (2006 - 2007) nel governo del premier
Jaroslaw Kaczynski, viene scelto per la carica di segretario di stato quando
Lech Kaczynski diventa presidente della repubblica nel 2005. Dopo la morte di
Lech Kaczynski nella sciagura aerea del 10 aprile 2010 a Smolensk, Duda si
candida a sindaco di Cracovia, ma viene sconfitto e deve accontentarsi di
essere eletto consigliere comunale. Nel 2011 viene eletto deputato nazionale e
nel 2014 eurodeputato nelle liste della destra nazionalista.
Questa volta l’ha spuntata. Al primo turno la differenza di
voti con Komorowski era minima, con un solo punto percentuale di vantaggio
sull’ex presidente della repubblica (34.76% contro 33.76%).
Nella seconda parte della sua campagna elettorale, mentre il
suo sfidante liberale tesseva le lodi dell’Unione Europea, dell’integrazione
economica e politica con Bruxelles e della moneta unica, Duda ha sparato a zero
contro l’Europa unita e l’entrata di Varsavia nell’Eurozona, dimostrando un
euroscetticismo apertamente di destra e nazionalista (non a caso oggi il
leghista Salvini canta vittoria). Sostenuto dagli ambienti più reazionari della
Chiesa polacca, il nuovo presidente ha ad esempio dichiarato di voler punire
con la reclusione le donne che si sottopongono alla fecondazione in vitro.
La vittoria del candidato di destra, secondo l’istituto
Ipsos, è dovuta in particolare al voto di agricoltori, operai, disoccupati:
Duda ha ricevuto infatti il 66,4% dei voti fra gli agricoltori, il 61,9% fra
gli operai, il 63,8% fra gli studenti, il 62,4% fra i disoccupati, il 52,9% fra
i pensionati. In suo favore ha votato il 60,8% dei giovani sotto il 30 anni.
Fra i laureati invece ha vinto il presidente uscente, con il 54,9% delle
preferenze.
D'altronde il Paese ha fatto registrare una
notevole crescita economica e aderire all'Euro sarebbe un suicidio.
Tutto lascia presagire che alle amministrative di domenica
prossima a fare il boom saranno Grillo e Salvini. Non a caso Renzi ha ridotto
le proprie ambizioni: prima era convinto di vincere le regionali per 6 a 1, ora
parla di un trionfo anche in caso di 4 a 3. Probabilmente ha intravisto
all'orizzonte il ciclone euroscettico che potrebbe travolgerlo. E sicuramente
parlerà di vittoria nascondendo sotto il tappeto i milioni di voti persi.
(Fonti: Contropiano
1, Contropiano
2)
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