giovedì 7 gennaio 2016

In Italia studiare non conviene: i dati deprimenti sull'occupazione per laureati e diplomati

Lo dicono le statistiche Eurostat, che ci collocano tra gli ultimi posti in europa

Le generazioni italiane nate tra gli anni '60 e gli anni '80 sono cresciute col mito del ''pezzo di carta che ti apre le porte del mondo del lavoro''. E così tanti giovani hanno conseguito diplomi, lauree o dottorati, certi che avrebbero guadagnato tanto, avrebbero svolto lavori meno faticosi e più appaganti. Sognavano di fare gli ingegneri, gli avvocati, gli insegnanti, i notai, gli psicologi, i sociologi, i giornalisti, gli scrittori, i manager. E via discorrendo. Vuoi mettere la fatica di fare l'idraulico, il muratore, l'autista o il falegname?
Peccato però che l'illusione portata dal '68 che tutti potevano istruirsi facilmente e avere una vita di successo, si è scontrata con la dura realtà. Negli anni, ci siamo ritrovati con milioni di bocciati reiterati, laureati fuori corso, diplomati e laureati disoccupati. Un esercito di sedotti e abbandonati da una rivoluzione culturale condotta dalla borghesia, risultata illusoria, arrivista e superficiale.

IL PEGGIORAMENTO NEL TEMPO DELLA SITUAZIONE OCCUPAZIONALE – In Italia a incidere pesantemente sullo sviluppo economico è stata una recessione iniziata a metà anni '70 con la crisi petrolifera, andata avanti tra alti e bassi fino ad oggi, acuendosi dopo il 2008. L'Italia in quarant'anni non si è mai evoluta economicamente. Non ha mai realmente convertito l'industria in altri settori alternativi. Ha sempre cercato nell'occupazione pubblica la panacea di tutti i mali. Ma ciò è servito fino a inizio anni '90, quando anche l'occupazione statale è venuta sempre più a ridursi. E di conseguenza, per laureati e diplomati è terminato anche quello sbocco. E oggi Eurostat dirama nuovi dati drammatici, che ci dicono quanto in Italia non convenga studiare. Almeno che non si imparino almeno due lingue straniere e si scappi appena terminati gli studi.

I DATI NEGATIVI SULL'OCCUPAZIONE PER LAUREATI E DIPLOMATI - L’Italia quasi fanalino di coda in Europa sull’occupazione dei suoi laureati a 3 anni dal titolo accademico: solo poco più della metà (il 52,9%) risulta lavorare, il dato peggiore nell’Unione europea dopo la Grecia. Lo dicono le statistiche Eurostat, per cui la media dello stesso dato nell’Ue a 28 nel 2014 è stata dell’80,5%. Per i diplomati italiani la situazione è ancora peggiore con solo il 30,5% che risulta occupato a 3 anni dal titolo (40,2% per i diplomi professionali).
Nel complesso le persone tra i 20 e i 34 anni uscite dal percorso formativo occupate in Italia nel 2014 erano appena il 45% contro il 76% medio in Europa, indietro quindi di oltre trenta punti rispetto all’Ue a 28. Paesi in testa alla classifica sono invece la Germania (90%), la Gran Bretagna (83,2%) e la Francia (75,2%).
Anche per la cosiddetta educazione terziaria (dalla laurea breve al dottorato) i dati non sono confortanti: l’Italia si situa sempre al penultimo posto dopo la Grecia con il 52,9% (93,1% la Germania).
Per l’Italia si è registrato un crollo delle percentuali di occupazione dopo il titolo con la crisi economica. In particolare tra il 2008 e il 2014 la media di giovani occupati a tre anni dal titolo nell’Unione europea è scesa di otto punti, mentre in Italia è crollata di oltre venti punti dal 65,2% al 45%. Nello stesso periodo in Germania la percentuale è cresciuta dall’86,5% al 90%.
Dopo i tre anni, in realtà, la situazione migliora ma non più di tanto.

POCHI LAUREATI - I laureati, che trovano lavoro più facilmente rispetto ai diplomati, in Italia sono comunque pochi: secondo le statistiche Eurostat riferite al 2014 sui giovani nella fascia tra i 30 e i 34 anni gli italiani hanno la maglia nera con appena il 23,9% di laureati a fronte del 37,9% della media Ue. Il dato è migliorato rispetto al 19,2% del 2008 ma meno di quanto abbiano fatto in media gli altri Paesi.

C'entrerà lo scoraggiamento per i dati di cui sopra? Pochi, che non lavorano neppure. Figuriamoci se fossimo in troppi, aggiungendo alla crisi l'aggravante di una selvaggia concorrenza. Già comunque presente, complice la scarsità di posti a disposizione.

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