IL FILM RIPERCORRE LA VITA DEL POETA-SCRITTORE, DALLA
SOFFERTA RECANATI FINO AGLI ULTIMI GIORNI A TORRE DEL GRECO
A quattro anni di distanza dallo "storico" Noi
credevamo, che ci mostra l'altra faccia della medaglia de l'Unità d'Italia,
Mario Martone torna al cinema con un altro film non facile, sulla vita del
grande poeta e scrittore marchigiano Giacomo Leopardi. Una figura complessa,
sofferta, pessimista ma al contempo affascinato e incuriosito dalle cose belle
della vita e dalla natura. Un autore che in vita non è stato apprezzato fino in
fondo, giacché inserito in un'epoca illusa dal positivismo illuminista e che
non accettava pensieri pessimisti e negativi. Ma Leopardi, col suo realismo,
più che pessimismo, aveva già intuito dove l'uomo sarebbe andato a finire:
l'infelicità. Anticipando la corrente artistica che si accese poco dopo la sua
morte: il Decadentismo.
TRAMA – Il film inizia con
tre bambini che giocano in giardino. Sono Carlo, Giacomo e Paolina Leopardi,
figli del conte Monaldo, conservatore e tiranno; il quale vorrebbe che il loro
mondo finisca tra i libri della sua immensa biblioteca. Ma tra loro, il più
promettente Giacomo, sfida il destino, rifiutando la vita pastorale e sperando
in una fuga dal “natio borgo selvaggio” di Recanati. Così intraprende un intenso
rapporto epistolare con Pietro Giordani, scrittore che viveva a Milano e che
tentò di raggiungere tramite fuga. Poi con Antonio Ranieri, raggiungendolo anni
dopo a Firenze, dove si innamora platonicamente dell’affascinante Fanny;
passando poi dal ricco zio a Roma in cerca di denari, fino ad arrivare a
Napoli.
Qui Leopardi respirerà gli ultimi istanti della sua vita,
ritrovando quella vitalità troppo spesso soffocata nell'arco della sua vita da
quel pessimismo che non lo abbandonerà mai; ma ormai malato si trasferisce a
Torre del Greco, dove sarà attratto dall’esplosività colorata del Vesuvio e
dalla Ginestra. Fiore che è consapevole della subalternità alla montagna
fumante, ma che al contempo è dotato di un innato orgoglio.
RECENSIONE - Mario Martone ha
affidato il difficile ruolo dell’interpretazione di Leopardi a Elio Germano,
che se la cava egregiamente, trasponendo in modo eccelso il giovane Giacomo
rinchiuso nella sua biblioteca fantasticando una fuga da quello studio “matto e
disperato”, fino all'arrivo gioioso a Napoli nonostante una salute precaria e
un aspetto fisico torvo.
La pellicola è un classico film biografico molto attinente, strutturato
con linearità e conformità, senza scatti fantasiosi e onirici, come quelli
visti nel recente Pasolini. Qualche sequenza è intervallata dalla lettura fuori
campo di alcune sue poesie; una scelta inevitabile e scontata, sebbene manchino
alcune delle sue opere più famose e che sicuramente si sarebbero sposate bene
coi fatti narrati (si pensi ad una possibile lettura di A Silvia quando scorgeva
Teresa Fattorini dalla finestra, o de Il sabato del villaggio come specchio
della sua odiata Recanati).
Il film prende una piega grottesca quando Leopardi arriva a
Napoli, rimarcando in modo forse eccessivamente stereotipato gli aspetti
pittoreschi e coloriti di una città troppo spesso dipinta in tal modo dalla
cinematografia. E che lo stesso poeta finirà per detestare, addirittura
meditando un ritorno al borgo natio.
Tutto sommato comunque un buon film, che ci mostra un
Leopardi più umano e vivo, e meno grigio, pessimista e cupo di quanto i libri
di scuola ci hanno fatto credere.
Leopardi mi ha sempre depressa, come il Foscolo....
RispondiEliminaHo letto le prime pagine del nome della rosa di Umberto Eco, mi cascarono le braccia dalla noia... A parte che a me i gialli non piacciono tanto.
RispondiElimina