IL PROSSIMO 20 DICEMBRE IN SPAGNA SI TERRANNO LE ELEZIONI
POLITICHE E IL PARTITO VIENE DATO MOLTO INDIETRO RISPETTO AGLI ALTRI
Negli ultimi due anni la Spagna ha registrato una notevole
crescita economica, con un miglioramento generale degli indicatori. Grazie alla
cura rigida del conservatore Mariano Rajoy, occhialuto, barba incolta, serioso.
Lontano dallo stereotipo tipico dei leader politici populisti e pittoreschi che
proliferano in Europa da qualche tempo. Certo, l'austerity sta facendo
allargare anche le sacche di povertà. Le organizzazioni caritatevoli, laiche e
religione spagnole, non bastano a tamponare un fenomeno in crescita,
soprattutto nelle grandi città e nelle regioni del centro sud della penisola. Colpa
di quei piani lacrime e sangue imposti a Madrid dalla troika hanno anche
scagliato la società indietro di decenni: disoccupazione alle stelle,
decurtazioni salariali, protezioni sociali e sanità tagliate con l’accetta,
un’ondata di sfratti. Ma si sa, l'importante è avere i complimenti da
Bruxelles.
In questa Corrida sociale Podemos non sta crescendo di certo
in popolarità. Anzi. Le ultime amministrative e i sondaggi in vista delle
prossime elezioni politiche del venti dicembre danno il movimento su numeri
imbarazzanti. Almeno rispetto agli esordi.
I NUMERI IMBARAZZANTI - Fino
a qualche settimana, mese fa, a molti sembrava che i tempi duri stessero per
terminare, che una classe politica inetta e corrotta sarebbe presto stata
spazzata via e di governare si sarebbero incaricate delle persone nuove, non
compromesse, oneste, razionali e preparate. Ma Podemos, dato fino a qualche
tempo fa come in testa ai sondaggi, o al massimo come staccato di pochi punti
dai primi in classifica, intorno al 25%, crolla ormai inesorabilmente di
settimana in settimana nelle intenzioni di voto. Il movimento populista di
sinistra (ma guai a identificarsi in una categoria politica considerata
obsoleta e inopportuna) non aveva brillato particolarmente già alle
amministrative e alle regionali, ma poi è arrivata la batosta catalana: la
sezione locale Podem, alleata con ben tre partiti di sinistra all’interno della
coalizione Catalunya Si Que Es Pot (Catalogna si che si può) non ha preso neanche
quanto conquistato la volta precedente da questi ultimi. E’ stata la goccia che
ha fatto traboccare il vaso: dirigenti locali ma di peso statale che si
dimettono e ulteriore crollo nei sondaggi.
Gli ultimi relegano Podemos solo al quarto posto e molto
staccato dietro la destra – i popolari vengono dati vincenti con il 25-29%
circa – i socialisti – accreditati di un 23-25% – e il partito liberale
Ciudadanos, che con il 21% metterebbe in discussione lo storico monopolio delle
due forze che si sono spartite il potere a Madrid dopo l’autoriforma del regime
franchista e l’inizio della cosiddetta ‘era democratica’. Il movimento di Pablo
Iglesias prenderebbe allo stato solo il 12-15%. Una percentuale di tutto
rispetto, certo, ma almeno dieci punti sotto i sondaggi di pochi mesi fa e
soprattutto ben al di sotto della forza necessaria per sparigliare le carte e
rompere l’asfissiante bipartitismo (che diventa quadripartitismo proprio per
rimanere in sella) che Podemos si era candidato a spazzare via.
LE RAGIONI DEL CROLLO - Non
stupisce che nello stato maggiore di Podemos prevalgano le facce lunghe.
Secondo alcuni analisti la crisi vera del movimento l’avrebbe determinata
l’ingresso di Podemos nelle alleanze di governo per alcune importanti città e
regioni dopo le ultime amministrative. Il partito ‘anticasta’ ormai da mesi
governa le maggiori città del paese, in primis Madrid e Barcellona, in
coalizione con alcuni partiti e formazioni di sinistra e centrosinistra. Niente
di particolarmente compromissorio, finora. Ma l’essere passati da movimento di
contestazione un po’ generica ma frontale al sistema a partito di governo ha
certamente disorientato se non indispettito parecchi elettori o potenzialmente
tali. Soprattutto perché in alcuni casi – anche in regioni importanti del paese
– Podemos ha stretto collaborazioni di governo addirittura con gli odiati
socialisti, indicati a lungo come parte di un sistema che andava spazzato via
nella sua interessa e con il quale oggi si scende a compromesso in nome della
realpolitik e della ‘responsabilità’.
Stando ai sondaggi, Podemos potrebbe essere determinante per
formare anche il governo statale: se il prossimo 20 dicembre i socialisti non
arriveranno troppo lontani dal partito dell’attuale premier Mariano Rajoy,
infatti, un’alleanza tra Psoe e Podemos e qualche partito regionale ancora più
moderato potrebbe avere i numeri per governare. Ma come socio di minoranza, e
quindi senza la possibilità di far valere più di tanto il proprio programma e i
propri obiettivi.
Ovviamente Podemos potrebbe decidere di rimanere fuori dai
giochi, e di lasciare ad una eventuale ‘grande coalizione’ tra PP e Psoe, o ad
una alleanza centrista tra socialisti e Ciudadanos, l’onere di governare,
rinvigorendo la battaglia d’opposizione. Ma dentro il partito negli ultimi
tempi è cresciuta la voglia di governo e i fautori della permanenza
all’opposizione dovranno faticare non poco a tenere Podemos lontano dai
socialisti.
Paradossalmente negli ultimi tempi, a partire dal boom
elettorale delle scorse europee, la direzione di Podemos e molte ramificazioni
locali hanno inferto al partito una sterzata moderata assai consistente a
proposito di linguaggi, programmi, strategie. Con il risultato che se per gli
elettori di destra il movimento rimane “troppo radicale” e troppo connotato a
sinistra, per molti elettori che pretendono una rottura da posizioni classiste
rispetto all’insopportabile status quo Iglesias e soci sono ora troppo
moderati. Una sensazione confermata e aggravata dalla recente rottura tra
Izquierda Unida (che ha subito un'ennesima scissione moderata) e Podemos,
avvenuta soprattutto per colpa di questi ultimi; e dal sostegno incondizionato
accordato dallo stato maggiore del partito populista a Syriza nonostante la
capitolazione di Tsipras di fronte ai diktat della troika e la firma del Terzo
Memorandum. Una mossa assai poco ben vista all’interno di alcuni spezzoni di
quei movimenti sociali e di contestazione all’austerity e al pagamento del
debito che pure hanno contribuito fino ad un certo punto alla formazione e alla
crescita di Podemos. Se ci si aggiunge poi che il partito ha di fatto
accantonato ogni seria critica nei confronti dell’Unione Europea e in
particolare le proposte, seppur timide avanzate finora, di rottura con
l’Eurozona, si capisce quanto la creatura di Iglesias sia in ribasso in certi
ambienti sociali e politici radicali. Un po’ sull’onda di quanto già ha fatto
Syriza in Grecia con i socialisti del Pasok, di fatto rimpiazzati da Tsipras
all’interno del loro spazio politico, Podemos si sforza di convincere gli
elettori di centrosinistra di rappresentare un’alternativa migliore rispetto ai
vecchi arnesi del Psoe. I sondaggi e le emorragie di militanti dicono che
questa strategia non funziona. In crisi c'è andata, e senza neanche il tempo di
metterla a confronto con i fatti come è almeno avvenuto ad Atene, l'idea che il
problema non sia il capitalismo in sè, ma una cattiva gestione dello stesso da
parte di classi dirigenti dominate da anziani, inetti e corrotti. Secondo tale
logica, basterebbe portare al governo una nuova classe dirigente giovane,
competente e onesta per rimettere le cose a posto...
In un precedente post avevo definito Podemos ''un
po’ Grillo e un po’ Tsipras''. E avevo ragione. Il modo di agire del
movimento è vicino al primo, ma l'attrazione verso il potere e i compromessi è
simile al secondo. Povero Civati, il
suo Possibile è già fallito.
(Fonte: Contropiano)
Nessun commento:
Posta un commento