A PARTE LE SOLITE DICHIARAZIONI D’INTENTI POCO E’ STATO
FATTO IN QUESTI 5 LUSTRI
A vent’anni dal primo Summit ONU sull’Ambiente a Rio de
Janeiro, se n’è svolto un altro, che per tanti, scienziati compresi, ha già il
sapore della retorica e delle false promesse. Alcuni scienziati hanno già
tracciato su Nature un bilancio di ciò che è stato fatto dal primo Summit, e,
soprattutto, di quanto ancora rimane da fare per preservare il pianeta.
IL GIUDIZIO IMPIETOSO - “I
tre trattati hanno fallito nel raggiungere anche solo una frazione delle
solenni promesse tanto strombazzate dai leader mondiali”, si legge
nell’editoriale della rivista britannica, che pure aveva salutato con
entusiasmo il primo summit brasiliano, descrivendolo come una svolta storica
per la Terra. “I governi hanno sfoggiato retoriche dichiarazioni d’impegno in
politiche ambientaliste, ma in questi venti anni di lavoro, a parte
l’impressionante macchina burocratica messa a punto nel tempo, c’è poco da
mostrare. Mentre i paesi perfezionavano l’arte del negoziato – affermano gli
studiosi – la pressione sul pianeta aumentava sempre più, così come l’emissione
di gas serra e la minaccia alla sopravvivenza di molte specie”. Lo sviluppo
continua a non essere sostenibile. L’obiettivo di fronteggiare i mutamenti
climatici appare scoraggiante, proprio come due decadi fa. Il distacco tra
scienza e politica sembra aumentare. E rimane ancora irrisolta la questione di
chi tra paesi poveri e ricchi, storicamente responsabili delle emissioni di gas
serra, dovrà sobbarcarsi i costi maggiori degli interventi per proteggere il
pianeta. “Le conseguenze dell’inazione sono deleterie – ammoniscono gli
scienziati -. Ogni giorno che passa i problemi diventano sempre più difficili e
costosi da risolvere e il numero di opzioni disponibili decresce”.
LO STALLO SUI NUOVI ACCORDI -
Ne è un esempio il sostanziale stallo sul nuovo accordo in sostituzione del
protocollo di Kyoto, in scadenza quest’anno. Nel 1990 le emissioni ammontavano
a 22,7 miliardi di tonnellate. Nel 2010 questo valore è salito a 33 miliardi,
un incremento del 45 per cento. Ma quel che è peggio, negli ultimi anni il
trend non si è affatto invertito. Anzi, il 2010 ha fatto registrare un’accelerazione
record, con un incremento del 5 per cento rispetto ai dodici mesi precedenti.
Nell’anno della prima conferenza di Rio i livelli di CO2 nell’atmosfera erano
poco meno di 360 parti per milione. Oggi sfiorano il valore di 400. A trainare
questo balzo in alto sono ancora gli Usa, con un 11 per cento in più tra il
1990 e il 2010, e le economie emergenti, la Cina su tutte, che nello stesso
periodo hanno aumentato la loro quota dal 29 al 54 per cento. I paesi ricchi,
in realtà, sono sulla buona strada per arrivare a una riduzione, pari al 7 per
cento. Ma non perché stiano attuando pratiche virtuose di contenimento, bensì a
causa degli effetti della crisi economica e dello smantellamento di fabbriche
inefficienti in seguito al crollo dell’Unione sovietica.
MOLTE SPECIE ANIMALI A RISCHIO
- Secondo le stime dell’International union for conservation of nature, il 30
per cento degli anfibi, il 21 per cento degli uccelli e il 25 per cento dei
mammiferi è a rischio estinzione. La rivista inglese pubblica uno studio su
25.000 specie in pericolo, coordinato dall’australiano Barney Foran, della
Charles Sturt University e dell’University of Sydney, che mostra un
collegamento fra i consumi nei paesi più avanzati e le specie minacciate in
quelli in via di sviluppo. La ricerca rivela che il 30 per cento delle cause
che mettono a repentaglio la sopravvivenza di alcune specie è dovuto proprio al
commercio internazionale. “Nessuno può dire con esattezza cosa accada nel
momento in cui un ecosistema perde una specie – scrive in uno degli studi
pubblicati su Nature Shahid Naeem, della Columbia University -, ma molti di noi sono d’accordo nel
riconoscere che se gli ecosistemi perderanno la maggior parte delle loro specie
sarà un disastro. Venti anni e migliaia di studi dopo, ciò che il mondo pensava
fosse vero a Rio, nel 1992, è stato alla fine dimostrato: la biodiversità è
alla base della nostra capacità di realizzare uno sviluppo sostenibile”. Gli fa
eco Diane Srivastava, della University of British Columbia: “Abbiamo raggiunto
un punto in cui gli sforzi per preservare le specie e la diversità biologica
potrebbero non essere più un atto di altruismo”.
Insomma, siamo al solito discorso. Nessun Paese vuole fare
un passo indietro in termini di emissioni di Co2 e di trivellazioni a caccia
dell’Oro nero. Lo stesso Brasile si sta rendendo protagonista in negativo della
distruzione della foresta amazzonica.
Per fortuna, comunque, si sta anche lentamente investendo
sempre più sull’energia rinnovabile.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
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