L’India è diventata
la meta privilegiata dei colossi globali del farmaco, che FANNO ESPERIMENTI SU
PAZIENTI INDIANI A LORO INSAPUTA, PER UNA SORTA DI nuova forma di colonialismo
nata nel 2005
E’ tristemente
noto come le case farmaceutiche siano senza scrupoli, aiutate da leggi che
tutelano poco i pazienti, sulle cui vite esse giocano per i propri affari. Dal
2005 in India è in atto da parte loro un’autentica nuova forma di colonialismo:
le case farmaceutiche sottopongono i pazienti a test terapeutici per provarne
gli effetti, trasformandoli in cavie umane. Ciò grazie a una legge varata nel
2005 dal Governo indiano che consente tutto ciò. Le vittime annuali sono
centinaia.
LA LEGGE CHE GLIELO CONSENTE
- L’India è diventata la meta privilegiata dei colossi globali del farmaco, che
preferiscono “delocalizzare” la morte, dando vita a una nuova forma di vero e
proprio colonialismo, nata nel 2005, quando fu introdotta una riforma che
semplificava fortemente la conduzione di trattamenti di prova nel Paese.
In India prima del 2005 i test dovevano essere effettuati
rispettando tre fasi. La prima prevedeva un controllo sulla tolleranza ai
medicinali; la seconda sull’efficacia. La terza, la più onerosa in termini
economici, era costituita da una comparazione tra l’efficacia del farmaco
rispetto ad alcuni placebo su una popolazione compresa tra mille e tremila
pazienti. Una riforma della legge ha consentito però alle multinazionali di
passare direttamente alla fase tre, a patto che le prime due siano state
approvate in un altro Paese.
Una manna per le case farmaceutiche, dal momento che per
trovare in Europa o negli Usa malati disposti a sottoporsi ai test occorre
molto più tempo (e denaro: i pazienti devono essere rimborsati con migliaia di
euro a testa all’anno). In India basta qualche settimana, e (neppure sempre)
qualche decina di euro.
I DATI INQUIETANTI - Da
allora e fino al 2010, solamente a Indore, città dove viveva Krishna Gehlot,
sono stati realizzati 3.300 test clinici, per conto di 30 compagnie (tra le
quali 22 multinazionali). Un rapporto delle autorità locali ha spiegato che la
metà di tali trattamenti è stata effettuata senza un assenso formale da parte
dei malati. Di questi, 81 persone – tra cui anche bambini e portatori di
handicap – hanno subito gravi effetti collaterali; 33 sono morti. E nessuno, ad
oggi, ha ricevuto un indennizzo.
Una situazione che, allargata all’India intera, ha assunto i
contorni di un massacro. Tanto da costringere, nell’agosto scorso, il ministro
della Sanità di Nuova Delhi, Ghulam Nabi Azad, a sciorinarne le agghiaccianti
statistiche: solo nei primi sei mesi di quest’anno sono 211 i decessi provocati
dai test. Nel 2011 i casi sono stati 438; 668 l’anno precedente. Le vittime vengono
gelidamente classificate con la sigla Sae: Serious Adverse Events
(letteralmente, gravi eventi avversi). Come se a ucciderle fosse stato un
terremoto o un’inondazione, e non una scelta drammaticamente lucida, che chiama
in causa aziende, governo indiano e regolatori, locali e internazionali.
Azad ha spiegato che sono state apportate modifiche alla
legge: ora ogni test è registrato dal Consiglio indiano per la Ricerca Medica e
alle case farmaceutiche è imposto l’obbligo di fornire cure ai malati e rimborsi
alle famiglie dei deceduti.
ALCUNE STORIE - «Il dottore
ci disse che bastava firmare un documento per ricevere le cure di cui aveva
bisogno mio padre, e che in questo modo sarebbe guarito completamente. Ma papà
non sapeva leggere molto bene, è andato a scuola solo fino a 9 anni». A parlare
è Pradeep Gehlot, ragazzo indiano figlio di Krishna, 61enne malato cronico di
asma. Dal 2009 aveva accettato la proposta di uno pneumologo di un ospedale
pubblico di seguire un “trattamento gratuito”. In realtà era stato inserito in
uno delle decine di migliaia di test alle quali le multinazionali del farmaco
sottopongono cittadini indiani. Era diventato una cavia umana. Con la
complicità della legge locale.
Nello specifico – ha rivelato di recente un’inchiesta del mensile
francese Alternatives Economiques – la “cura” consisteva nella somministrazione
di un nuovo broncodilatatore, l’Olodarerol, sviluppato dal secondo più
importante laboratorio tedesco: Boehringer Ingelheim. Krishna è morto a
gennaio, proprio poco dopo aver saputo che il medicinale che aveva assunto per
un anno non era mai stato approvato in India.
Il Washington Post ha raccontato ad esempio la vicenda
dell’ottantenne Shrad Geete. Due mesi dopo aver perso la moglie, malata di
Alzheimer, scoprì che era stata inserita in un trattamento di prova: «Il medico
ci disse che i farmaci sarebbero stati concessi gratuitamente, e che si
trattava di medicinali che sarebbero stati lanciati a breve da una compagnia
straniera. Non spiegò che si trattava di un test. Se lo avessi saputo, pensate
che avrei corso il rischio?».
I GUADAGNI DELLE MULTINAZIONALI
- Nel frattempo, però, la quota di cavie umane indiane, sottoposte attualmente
a test, è pari a oltre 200 mila persone. Un mercato da 500 milioni di euro, in
crescita del 30% ogni anno. E solo alle famiglie di 22 vittime sono arrivati
risarcimenti dalle compagnie di Usa ed Europa (a cifre in ogni caso indecenti,
comprese tra 2 e 20 mila dollari).
ALTRE METE - Ma l’India non è
l’unica meta del business delle cavie umane. Uno studio realizzato dal Centro
olandese per la Ricerca sulle Multinazionali (Somo) ha rivelato che il 37% dei
pazienti sottoposti a test clinici su nuovi farmaci (sottomessi
all’approvazione delle autorità europee) risiede in Europa dell’Est, Russia, America
Latina e Cina (oltre alla stessa India). Percentuale che, per le compagnie
degli Stati Uniti, sale al 60%.
Nel sottolineare come sia fondamentale stabilire regole
ferree per i test e come sia complesso il problema, il Somo ha ricordato i casi
dell’Abilify e del Seroquel, sviluppati da Bristol-Myers Squibb e da
AstraZeneca. Si tratta di anti-schizofrenici testati in Sudamerica, Asia e
Africa tra il 2003 e il 2005, attraverso la somministrazione di alcune sostanze
placebo a una parte dei malati. Pratica che, però, proprio per via dei gravi
rischi psicologici che possono insorgere nei pazienti schizofrenici, è stata
vietata in Europa. Così le multinazionali possono risparmiare tempo, denaro e
agire nell’ombra. Senza “effetti collaterali”: nonostante il modo in cui
vennero effettuati i test, l’Abilify e il Seroquel sono stati approvati e oggi
sono regolarmente in commercio.
(Fonte: I
Lupi di Einstein)
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