il Senato si prepara
ad approvare una riforma sulla misure cautelari personali che limita
drasticamente il carcere per chi è in attesa di giudizio. SERVE SOPRATTUTTO PER
MITIGARE IL PROBLEMA DEL SOVRAFFOLLAMENTO
Chissà se
anche l’imminente riforma della Giustizia fa parte del famigerato “Patto del
Nazareno”. Dal testo che sta per essere licenziato dal Senato, pare proprio di
sì. Sembra una di quelle riforme della Giustizia che tanto piacevano ai Governi
Berlusconi, nelle quali, in nome dello sfollamento delle carceri, si buttavano
dentro provvedimenti per tutelare maggiormente politici e colletti bianchi. La
riforma riguarda soprattutto misure cautelari personali che limitano
drasticamente il carcere per chi è in attesa di giudizio; in modo da evitare
infornate di persone che attendono per anni le lungaggini dei processi. Le
nuove disposizioni finiranno per rende più complesso il lavoro dei giudici e,
peraltro, non risolve il problema del sovraffollamento carcerario. La nuova
legge continuerà a mandare in galera ladruncoli e spacciatori e lascerà –
ancora una volta – a piede libero i “colletti bianchi”. Il ddl, a firma della
deputata Pd Donatella Ferranti, è arrivata oggi in commissione giustizia a
Palazzo Madama, con relatore Nico D’Ascola dell’Ncd. E’ la quarta lettura del
provvedimento, che quindi potrebbe essere approvato a breve. Ma le critiche
autorevoli sono già diverse.
COSA PREVEDE IL TESTO - Il
succo della riforma, approvata in seconda lettura alla Camera con il voto
contrario di Lega e FdI e l’astensione del Movimento 5 Stelle, è la riduzione
della custodia in carcere a extrema ratio da applicare solo in caso di pericoli
concreti e “attuali”, quando non è possibile ricorrere a misure coercitive e
interdittive sostitutive. Gli arresti domiciliari prima di tutto, e nei casi
meno gravi il ritiro del passaporto, l’obbligo di firma, l’obbligo o il divieto
di risiedere in una determinata località. Un punto, il riferimento
all’“attualità del pericolo”, che ha suscitato l’allarme del Procuratore di
Roma, Pignatone, che sentito dalla commissione Giustizia della Camera ha
dichiarato: “Se dobbiamo dare alla parola ‘attuale’, calata nel testo di legge,
il significato che ha nel vocabolario italiano… noi rischiamo di non poter mai
più ricorrere alle misure cautelari al di fuori dei casi di flagranza o
dell’immediata minima distanza temporale dei fatti”. Una difficoltà che secondo
Pignatone “si esalta per i reati dei colletti bianchi, della pubblica
amministrazione e via elencando”.
Con la riforma anche la semplice richiesta della custodia
cautelare in carcere diventa più complessa poiché il giudice è costretto a un
maggiore sforzo motivazionale: la sua richiesta dovrà contenere una “autonoma
valutazione” dell’esigenza di ricorrere al carcere e non si potrà “appiattire”
sulle motivazioni del pubblico ministero. “Per andare in carcere non basteranno
più alcuni automatismi, come l’essere gravemente sospettato di omicidio” spiega
Morosini. “Anche in quel caso, infatti, se il soggetto è incensurato e non si
dispone di chiari elementi per temere la reiterazione del reato o il pericolo
di fuga ‘attuale’, sarà più difficile applicare la misura di custodia cautelare
in carcere”. Anche i Tribunali della libertà, che convalidano o annullano la
custodia, avranno tempi più stringenti per decidere e depositare le
motivazioni. La custodia in carcere, in ogni caso e salvo eccezionali esigenze,
non potrà essere rinnovata e sarà annullata se il giudice non saprà
adeguatamente motivare il provvedimento cautelare.
LE CRITICHE AUTOREVOLI - Dopo
l’Anm, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e il Procuratore di
Roma Giuseppe Pignatone, anche Piergiorgio Morosini, presidente della
Commissione riforme del Csm, sentito da ilfattoquotidiano.it punta il dito
contro il disegno di legge pronto per l’approvazione definitiva. Per il
magistrato, già giudice a Palermo nel processo sulla Trattativa Stato-Mafia, la
riforma ha il merito di muoversi “in direzione ostinata e contraria” rispetto
ai “pacchetti sicurezza” approvati negli ultimi 15 anni, che “hanno potenziato
il ricorso al carcere, anche in attesa di giudizio, ogni volta che un delitto
impressionava l’opinione pubblica”, ma lascia immutato “un sistema da giustizia
di classe che manda in carcere gli emarginati per reati di microcriminalità e
non colpisce quasi mai chi è gravemente sospettato di manovre illegali nella
pubblica amministrazione”. Una prova? La “rilevante modifica” subita dal testo nel
passaggio dal Senato alla Camera, che ha cancellato dai casi di custodia
cautelare obbligatoria, nell’ambito dei reati di mafia e terrorismo, il reato
di scambio politico-mafioso.
Uno degli aspetti più critici della riforma, per Morosini,
resta comunque la mancata soluzione al problema delle carceri stracolme. “Il
sovraffollamento è legato soprattutto a delitti da microcriminalità urbana e a
soggetti pregiudicati o recidivi” spiega il magistrato “Si tratta spesso di
spacciatori o ladruncoli, sovente extracomunitari, che non dispongono di un
domicilio e il più delle volte finiscono in carcere perché il giudice non sa
dove altro mandarli”. Quasi la metà dei detenuti in custodia cautelare in
Italia, circa 9 mila, sono stranieri. “Già oggi, in alcuni casi, si potrebbe
applicare una soluzione alternativa, come i domiciliari. Ma non lo si fa perché
mancano adeguate strutture pubbliche in grado di accogliere questi soggetti”.
UN FAVORE AI COLLETTI BIANCHI - Quindi mentre pregiudicati, recidivi e stranieri
continueranno ad andare in carcere, con la riforma (e le norme svuota carceri
precedenti) scomparirà invece, definitivamente, l’ipotesi detenzione per la
stragrande maggioranza dei reati dei “colletti bianchi”. Sarà così anche per
chi è gravemente indiziato di reato di voto di scambio politico-mafioso,
depennato da quelli di mafia e terrorismo per i quali la legge mantiene
l’obbligo del carcere. Nell’ultima versione del testo il riferimento al reato
non compare neppure tra quelli più gravi, come l’omicidio o i reati a sfondo
sessuale, per i quali vigerà l’obbligo di ricorso al carcere se le esigenze
cautelari non potranno essere soddisfatte con altre misure. Solo le misure
interdittive, che rappresentano un’alternativa alla custodia cautelare in
carcere, verranno estese dalla legge da due mesi fino ad un anno. E questo
varrà anche per i reati dei “colletti bianchi”.
“È vero che alzando l’asticella per il ricorso alla custodia
cautelare in carcere vengono esclusi da questa possibilità molti reati dei
colletti bianchi” conclude il giudice Morosini “ma la mia preoccupazione sta
piuttosto nella mancanza degli strumenti investigativi idonei a scoprire questi
reati”. Il riferimento è all’estensione della legge per i collaboratori di
giustizia ai reati contro la pubblica amministrazione e l’introduzione di
“agenti provocatori” per scoprire i reati di corruzione. Strumenti previsti
dalle convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito, ma che non compaiono
neppure nelle nuove norme anticorruzione annunciate recentemente dal Governo.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
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RispondiEliminaanke stavolta colpa di berlusconi
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