IL PARTITO CONSERVATORE DEL PREMIER USCENTE E' STATO DATO
COME IL GRANDE VINCITORE DAI MEDIA
Come noto, qualche giorno fa si sono disputate le elezioni
governative nel Regno Unito, le quali hanno visto la riconferma del Premier
David Cameron del partito conservatore, i Tories. Una vittoria che ha anche
comportato le immediate dimissioni dei leader dei due principali partiti
sconfitti, i Laburisti e i liberaldemocratici, nonostante siano quarantenni. Una
conseguenza che in Italia non siamo abituati certo a vedere. Cameron è stato
ripagato per la sua politica interna conservatrice e quella estera distaccata
rispetto a quanto fatto dal suo predecessore Tony Blair. Con una presa di
distanza dall'Unione europea (anzi, vorrebbe addirittura indire un referendum
per uscirne), ma soprattutto, dalle vicende in Medio Oriente; un atteggiamento
molto diverso rispetto a Blair, che invece seguì come un cagnolino fedele tutte
le avventure militari volute da Bush. Non di poco conto poi l'atteggiamento
distaccato rispetto al dramma dell'immigrazione di massa, offrendo come unico
supporto navi che traghettino i disperati sulle nostre coste, trasformandoci
così nella discarica d'Europa. Importanti poi le promesse di una maggiore
indipendenza amministrativa della Scozia (che lo scorso settembre ha rischiato
di separarsi con un Referendum). Ma ha davvero stravinto come ci dicono i
media? Guardando più attentamente i risultati elettorali dei vari partiti,
confrontandoli con quelli delle precedenti elezioni del 2010, ci si accorge che
la realtà sia un'altra.
I CONSERVATORI HANNO SOLAMENTE
CONFERMATO I PROPRI NUMERI - Venendo ai numeri puri, i conservatori non
sono poi così vincenti come sembra. Nel 2010 ottennero infatti il 36.1%, mentre
alle attuali elezioni hanno conquistato il 36.9%. Soltanto uno 0.8% in più. La
vera vittoria sta invece nella conquista della maggioranza assoluta dei seggi
(quella sì), dato che nel 2010 fu necessaria l’alleanza con i Lib-Dem di Nick
Clegg. Ciò è dovuto, come vedremo, a un arretramento numerico degli altri.
Sono i liberaldemocratici e non i laburisti, i veri
sconfitti. A logorarli, probabilmente, l'aver governato con Cameron in questi
cinque anni. Passano da un 23% a un disdicevole 7.9%, gettando via oltre
quattro milioni di voti. Per loro soltanto 8 seggi alla House of Commons. Il
leader Clegg si è dimesso.
Per il Labour party non si tratta di sconfitta netta, anzi. In
confronto al 2010, hanno preso l’1.4% in più. Ma ciò che li penalizza sono i
tanti seggi in meno. Follie del maggioritario puro e del collegio uninominale.
Come Farage e Clegg, anche Miliband lascia la guida del partito.
SUCCESSO DEGLI INDIPENDENTISTI
SCOZZESI, FARANGE HA QUADRUPLICATO I SUOI VOTI – Per lo Scottish
National Party è un trionfo, a meno di un anno del referendum
sull’indipendenza. Il partito ha conquistato 56 seggi, mentre nel 2010 erano
solo 6. E con un bel malloppo di voti, circa sette punti percentuali in più. Se
i Tories non avessero preso il 50.6% dei seggi, gli scozzesi sarebbero stati il
vero ago della bilancia, cambiando la storia governando insieme al Labour Party
.
Si è invece parlato di una sconfitta durissima per Farage
(che pure si è dimesso), diventato famoso per l'alleanza con Grillo
nell'europarlamento. Infatti ha conquistato un solo seggio sui 650 disponibili.
Ma anche qui i numeri vanno interpretati meglio: se non si sono ripetuti i
fasti delle Europee 2014, l’Ukip ha più che quadruplicato i voti ottenuti nel
2010, passando da un 3.1% al 12.6%. È il terzo partito del paese, in termini di
consensi. Suberati i Lib-Dem e davanti anche allo SNP. Dunque, si parla di
clamorosa sconfitta solo se si confrontano i numeri di un anno fa.
E' la stampa, bellezza. Del resto in politica la matematica
è un'opinione. Senza voler parlare in politichese e in linguaggio tecnico,
diciamo semplicemente che Cameron ha vinto perché il voto è stato molto
frammentato e diretto verso partiti che saranno scarsamente rappresentati in
Parlamento, per effetto del sistema elettorale britannico. Un sistema che come
l'Italicum garantisce la governabilità ai danni della rappresentanza.
(Fonte: Caffènews)
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