COME FUNZIONA IL programma
“fome zero”, lanciato nel 2003 per combattere malnutrizione e povertà
Ridurre la
povertà è possibile. Basta un serio impegno politico da parte dei governanti.
Ne è la dimostrazione il Brasile, dove l'ex Presidente Luiz Inacio Lula da
Silva (meglio conosciuto semplicemente come Lula) lo scorso 6 giugno ha illustrato
ai delegati della Fao - l’organizzazione delle nazioni unite per l’alimentazione
e l’agricoltura - i risultati del programma “fome zero”, lanciato nel 2003 per
combattere malnutrizione e povertà nel paese sudamericano. Tutti gli indicatori
evidenziano un miglioramento: la quota di popolazione malnutrita si è più che
dimezzata rispetto al 10,7% del 2002 (fonte la stessa Fao) e la mortalità
infantile è scesa da 28 bambini su mille a 18 su mille. Dal 2003 l’indice di
povertà, cioè la quota di popolazione che guadagna meno di 2 dollari al giorno,
è crollato dal 24 al 10% e contemporaneamente l’indice di Gini che misura, su
una scala da 1 a 0, l’intensità delle diseguaglianze, è sceso da 0,59 a 0,52.
Dati straordinari, che potrebbero essere presi da esempio per altri Stati dove
povertà e malnutrizione la fanno da padrona. Ma come ci è riuscito?
I DATI STRAORDINARI -
Qualunque indicatore si utilizzi, si tratti dell’aspettativa di vita, delle
deficienze caloriche o dell’accesso a elettricità e acqua potabile, il
progresso è evidente. Detto più semplicemente, in un decennio oltre 20 milioni
di brasiliani sono stati strappati alla povertà. I risultati sono ancor più
degni di nota se si considera che storicamente il fenomeno povertà in Brasile è
strutturale e quindi particolarmente pernicioso: non dipende dagli alti e bassi
della congiuntura economica ma piuttosto da salari da sempre bassissimi che
sono alla base delle fortissime diseguaglianze. Negli otto anni di presidenza
Lula i salari minimi sono cresciuti di oltre il 130% in termini nominali, ossia
anche per effetto dell’inflazione.
La lotta alla fame e alla povertà è stata uno dei punti
centrali della presidenza di Lula sin dal primo giorno del suo mandato. Nel
discorso di insediamento del gennaio 2003 l’ex presidente lo mise subito in
chiaro: “Se alla fine del mio mandato ogni brasiliano sarà in grado di mettere
insieme colazione, pranzo e cena avrò realizzato la missione della mia vita”.
Poco dopo il nuovo governo avviava il progetto “Fome zero”, una serie di misure
per alleviare il disagio dei 44 milioni di brasiliani in situazione di grave
indigenza, il più ampio programma di assistenza a livello globale. La parte più
nota del progetto è “bolsa familia” ossia l’erogazione di sussidi in contanti
alle famiglie povere con figli a condizione che i bambini vengano vaccinati,
sottoposti a periodici controlli medici e mandati regolarmente a scuola.
Ogni famiglia con reddito sotto i 140 real al mese (circa 80
euro) riceve 32 real per ogni figlio fino a un massimo di 5. Come ricorda Vito
Cistulli, senior policy officer della Fao, “le chiavi del successo del
programma brasiliano sono state l’offerta di una copertura il più ampia
possibile, la stretta condizionalità a cui è subordinata l’erogazione dei
sussidi e l’idea di investire sullo sviluppo del capitale umano. Da questo
punto di vista, valutare i risultati nel lungo termine è molto complesso ma la
strada è quella giusta. “Secondo alcuni studi per ogni real speso in questi
programmi il ritorno per l’economia del paese è di 1,78 real”. Il programma è
insomma la risposta corretta al finto quesito se quando qualcuno ha fame sia
meglio dargli un pesce o insegnarli a pescare. Entrambe le cose, prima si fa
fronte alle esigenze immediate e solo dopo si può cercare di sviluppare una
capacità di sussistenza autonoma. “Un altro punto di forza del caso
brasiliano”, prosegue Cistulli, “è stata la continuità delle politiche di
sostegno che ha caratterizzato gli ultimi governi, al di là del loro colore
politico”.
UN PROGETTO MIGLIORATO IN ITINERE
- Il governo Lula non partiva infatti da zero. Una serie di programmi di
sostegno erano già stati avviati dal precedente presidente Fernando Henrique
Cardoso, di orientamento più liberale. Buona parte di questi interventi è stata
inglobata nel più ampio piano di Lula che ha avuto il merito di razionalizzare
i diversi progetti e migliorarne il coordinamento. Anche i rapporti tra governo
centrale e strutture locali sono stati resi più efficienti e fluidi,
migliorando la gestione delle risorse. Si è anche tentato, con un certo
successo, di sviluppare una responsabilità sociale delle imprese private, coinvolgendo
nel progetto “fome zero” colossi come Unilever o Ford e diverse catene di
supermercati. E si è fatto anche altro.
Nel corso degli anni la spesa per le politiche sociali è
progressivamente aumentata. Solo il programma “bolsa familia” è passato da una
dotazione di 2,4 miliardi di real del 2002 (circa 620 milioni di euro) agli
attuali 13 miliardi (3,7 miliardi di euro). In anni di forte crescita è stato
relativamente semplice ma ci si chiede se questi programmi siano sostenibili
anche in una fase di rallentamento come quella che sta vivendo ora il paese.
Cistulli è però ottimista: “Fome zero incide per una quota estremamente
limitata sul totale della spesa pubblica brasiliana, non si arriva neppure
all’1%. La sola ‘bolsa familia’ vale appena lo 0,5% del Pil. Gli interventi
sono pertanto sostenibili senza grandi difficoltà anche in fasi economiche non
particolarmente brillanti”.
I PRESUPPOSTI PER REPLICARLO ALTROVE
- L’esperienza brasiliana è ormai guardata come un punto di riferimento nelle
politiche di lotta alla povertà e diversi paesi stanno tentando di replicarla.
Ma quali sono le condizioni fondamentali perché i piani ottengano i risultati
sperati? Per Cistulli “innanzitutto un impegno continuativo da parte dei
governi che si avvicendano. Poi una copertura degli interventi il più possibile
estesa che deve essere però accompagnata da un efficiente apparato
amministrativo per individuare con precisione i destinatari. Infine è
importante il coordinamento degli interventi”. Cistulli ricorda come in Africa
questi ultimi due elementi spesso lascino a desiderare. “Contrariamente a
quanto accade in Brasile, nei paesi africani questi programmi sono spesso
finanziati da donatori, con carenze sul fronte del coordinamento. Mancano poi
le strutture amministrative in grado di gestire un programma articolato e
individuare in modo sufficientemente preciso i destinatari degli aiuti. Quello
che andrebbe ripreso dell’esperienza brasiliana – conclude – sono proprio il
modello istituzionale e l’organizzazione in grado di implementare i programmi
in modo efficace. L’aspetto economico può essere superato dai minori costi di
un’amministrazione più efficiente”.
Certo, qualche sbandata liberista dei socialisti al governo
in Brasile pure c'è stata. Ma per fortuna un miglioramento delle condizioni di
vita delle masse povere è più che evidente. Sperando che Dilma
Rousseff, rieletta lo scorso anno, prosegua su questa strada.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
berlusconi l'aveva previsto, quando nel 2008 disse che nei sondaggi di gradimento Lula lo batteva per 80 a 72.
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