CRESCIUTO PROFESSIONALMENTE NEL CORRIERE DELLA SERA, SEGUI'
MONTANELLI FONDANDO IL GIORNALE PRIMA E LA VOCE POI IN DISSENSO CON BERLUSCONI
Il sempre più mediocre e asservito giornalismo italiano perde
un altro pezzo. Importante, irripetibile. Martedì si è spento a Milano, all'età
di 94 anni, Mario Cervi. Giornalista liberale e coerente con le proprie idee
fino alla fine. Non proprio come un
Augias, un
Luca Telese, un Giuliano Ferrara o un
Polito per intenderci. I quali, come tanti altri, scrivono più con la tasca
che con la mente e il cuore.
LA GUERRA E L'ESORDIO AL CORRIERE
DELLA SERA - Mario Cervi era nato a Crema, il 25 marzo 1921. Durante la
Seconda guerra mondiale è ufficiale di fanteria in Grecia dove, dopo l'8
settembre del 1943, viene anche fatto prigioniero dai tedeschi. Appena
terminata la guerra entra nel mondo del giornalismo e non certo in un
quotidiano qualunque. Bensì, il Corriere della Sera. Come inviato speciale si è
occupato di cronaca giudiziaria, seguendo i grandi processi. È stato testimone
di importanti avvenimenti esteri: dalla crisi di Suez (1956) al golpe dei
colonnelli in Grecia (1967), al golpe di Augusto Pinochet in Cile (1973) (Cervi
è uno dei tre giornalisti italiani presenti a Santiago il giorno della morte di
Salvador Allende), all'invasione turca di Cipro (1974).
L'ASSIDUA COLLABORAZIONE CON L'AMICO
MONTANELLI - Insomma, uno sempre in prima fila. Proprio come il collega
Indro Montanelli, col quale, in contrasto con la nuova linea editoriale del
giornale di via Solferino ritenuta da loro essersi spostata troppo a sinistra
sotto la guida di Ottone, fonda Il Giornale nel 1974. Col grande Montanelli ha
un consolidato rapporto di amicizia e collaborazione. Insieme infatti hanno
scritto tredici volumi della Storia d'Italia e Milano ventesimo secolo.
Cervi seguì il suo direttore anche nell'esperienza de La
Voce, quando Il Giornale fu acquistato da Silvio Berlusconi, che ne volle fare
il suo megafono. I lettori però non li seguirono e dopo la chiusura del
quotidiano collaborò con La Nazione, per poi tornare al Giornale come
editorialista, accettandone la direzione per un po’ dopo l'abbandono di
Vittorio Feltri. Incarico che lasciò nel 2001 al suo braccio destro e operativo
Maurizio Belpietro, continuando però la sua collaborazione come editorialista.
Ha curato anche una rubrica politica sul settimanale Gente.
LO STILE GIORNALISTICO - Cervi
era un numero uno. Un fuoriclasse per capacità di comprensione dei fatti e di
scrittura; e anche per stile, per moderazione, per eleganza. Uomo di profonda
fede liberale, che ha seguito fino alla morte, senza seguire le lusinghe della
carriera. Scriveva di getto, senza però commettere errori grammaticali o di sintassi.
E lo faceva sempre per i lettori e mai per la benevolenza dei direttori. Amava
tenere con loro un rapporto diretto, una sorta di corrispondenza quotidiana; tanto
da ereditare anche la rubrica dell'amico Indro: La stanza.
Addio Cervi, e peccato che
a destra nessuno abbia colto la tua eredità e quella di Montanelli.
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