DOPO 7 ANNI DI DELUSIONI CHE HANNO PRODOTTO ANCHE L’ADDIO DI
MONTEZEMOLO, ARRIVANO UN NUOVO PILOTA E UN NUOVO TEAM PRINCIPAL
Rivoluzione in casa Ferrari. Dopo le dimissioni di Luca
Cordero di Montezemolo (che comunque si sta già consolando, oltre
che con una cospicua liquidazione, anche con una poltrona da Presidente di
Alitalia), ci sono stati altri due cambi rilevanti: Maurizio Arrivabene al posto di Marco Mattiacci, che per pochi mesi ha preso a sua volta il posto di Stefano Domenicalli come Team special; mentre al posto del pilota
spagnolo Fernando Alonso (che nei suoi cinque anni alla Ferrari ha collezionato
tre secondi posti, un quarto e un sesto), arriva il tedesco Sebastian Vettel,
reduce da sei campionati molto positivi con la RedBull (quattro Mondiali vinti,
un secondo e un quinto posto). Come cambia ora la Rossa di Maranello? Ci perde
o ci guadagna? Vediamo cosa ne pensa Alberto Sabbatini, Direttore responsabile
di Autosprint dal 2007 e di Auto dal 2009.
CHI E’ MAURIZIO ARRIVABENE - Maurizio Arrivabene prende il posto di Marco Mattiacci alla guida della Gestione Sportiva della Ferrari. Scelto da Sergio Marchionne, arriva a Maranello dopo una lunga carriera in Philip Morris (storico sponsor della «Rossa») di cui è diventato vicepresidente. Vicinissimo ad Andrea Agnelli siede come consigliere indipendente nel cda della Juventus, conosce bene l’ambiente delle corse avendo seguito le attività del partner Ferrari in tutto il mondo. Non a caso ha un ruolo di primo piano pure nella F1 Commission dal 2010 come rappresentante di tutte le aziende che investono nella Formula 1. E quindi può vantare un bel peso «politico» nei confronti di chi governa il «circus». Classe 1957, nato a Brescia, è anche membro della Sport Business Academy (SDA Bocconi School of Management e RCS Sport), nel Program Advisory Team.
Finisce invece dopo appena 7 mesi l’avventura di Marco Mattiacci al timone della Gestione Sportiva. Chiamato da Montezemolo per sostituire Stefano Domenicali, il manager romano da 15 anni in Ferrari, ex capo dei mercati americano e cinese, lascia l’azienda e viene salutato con poche righe: « Vogliamo anche ringraziare Marco Mattiacci per il suo contributo alla Ferrari negli ultimi 15 anni – ha aggiunto Marchionne - e gli auguriamo il meglio per le sue sfide future». Dopo gli addii di Domenicali, Marmorini, Montezemolo e Alonso, è un l’altra Ferrari quella che ripartirà in vista nel 2015, affidandosi in pista all’esperienza di Sebastian Vettel
COSA PERDE CON L’ADDIO DI ALONSO
- Giudicandoli dal punto di vista della capacità di pilotaggio nuda e cruda,
forse la Ferrari non ci guadagnerà. Alonso è un pilota fenomenale e l’ha
dimostrato in questi anni. Non era così forte quando arrivò a Maranello. Era
veloce ma non altrettanto efficace in corsa. L’Alonso di oggi, in gara, è una
macchina da guerra: ha una visione tattica della corsa che nessun altro ha. Èd
è un mastino che non molla mai. Fino all’ultimo metro di pista.
Alonso è un grande campione che ci ha messo del suo per
portare la Ferrari in questi cinque anni a un livello più alto in corsa di dove
stava di suo la macchina. In questo senso è ingiusto paragonare le vittorie di
Massa in Ferrari a quelle di Fernando, anche se sono pari di numero (11). È un
confronto scorretto perché Massa disponeva nei suoi anni vittoriosi (2006,
2007, 2008) di una Ferrari molto più competitiva di quella che ha avuto
Fernando negli anni successivi. Prova ne sia che a pari macchina il confronto è
un impietoso 11-0.
Diverso il discorso sul giro secco in qualifica. Questo non
è mai stato il punto forte di Alonso. È veloce ma non insuperabile; in più
occasioni in qualifica è stato battuto. Nel testa a testa con Trulli, nei due
anni insieme in Renault, Jarno l’ha superato 16-15. In McLaren, contro Hamilton
debuttante, Alonso ha avuto la peggio: 7 a 10. Qualche rara volta è stato
battuto anche da Massa in Ferrari, quelle pochissime volte che Felipe azzeccava
il giro perfetto. Diciamo che Alonso mediamente ha un rendimento alto in
qualifica ma non è altrettanto incontenibile come lo è in corsa. Non ha la
disarmante velocità sul giro secco che in tempi recenti hanno mostrato soltanto
Senna e Hamilton.
Poi c’è la simbiosi con la macchina. Un’auto da corsa è
figlia non soltanto della squadra e dei progettisti, ma in parte anche dei
piloti. La competitività o meno è anche responsabilità di chi la guida, perché
ne indirizza lo sviluppo. E in questo caso Alonso non ha eccelso in questi 5
anni ferraristi. Con la sua fortissima personalità e con il proprio carisma ha
accentrato la squadra su se stesso e sulle proprie esigenze usando il secondo
pilota come un accessorio che veniva utile solo e soltanto se poteva lavorare
per lui: cedergli la posizione in corsa o sulla griglia di partenza.
Infine c’è il lato umano. Alonso è un fuoriclasse quando
guida, ma fuori dalla macchina è spesso poco gestibile. Proprio perché la sua
forte personalità soverchia chi lavora con lui. La sua storia con Ferrari è
costellata di episodi più o meno noti sfociati in violente discussioni. In
molte squadre in cui ha corso, Alonso ha finito per generare discussioni e
spaccare le armonie precedenti. La rottura con Todt nel 2003 perché Fernando
non rispettò la parola data al d.s. ferrarista andando con Briatore, che portò
Todt a dire: finché sarò io in Ferrari, Alonso mai! (Infatti ci è arrivato nel
2010 dopo l’uscita di Todt). Poi gli attriti che nacquero con Dennis ai tempi
della McLaren, infine le vicende con Massa in Ferrari. Alonso è andato spesso
oltre il concetto di uomo-squadra, diventando una sorta di capitano-allenatore
oltrepassando il proprio ruolo specifico.
In questo Alonso non è stato dissimile da Prost che ha
spesso generato tensioni nelle squadre in cui ha lavorato. Se ci pensate, 23
anni fa con Prost in Ferrari successe quasi lo stesso: la forte personalità del
pilota e la non competitività della macchina provocarono tensioni che
sfociarono in una guerra interna che fece saltare prima il d.s. (Fiorio) poi il
pilota e infine addirittura il presidente Ferrari dell’epoca (Fusaro). Dovette
arrivare Montezemolo a ricostruire tutto a fine 1991. Con Alonso è capitato un
processo simile, anche se in questa occasione il motivo scatenante della
rivoluzione è stato più la vicenda finanziaria che quella sportiva.
COSA GUADAGNA CON VETTEL - Da
quest’ultimo punto di vista, la Ferrari con Vettel avrà da guadagnarci in
armonia complessiva. Vettel è sicuramente meno ombroso e meno egoista di
Alonso. Sicuramente è altrettanto ambizioso, come sono tutti i campioni, ma più
portato a “fare squadra”, a dialogare. Specie se vede in Raikkonen un compagno
con cui dividere il lavoro di messa a punto per far crescere la macchina,
piuttosto che un avversario da isolare e distruggere per affermare il proprio
ruolo, come era portato a fare Alonso.
Sulla velocità pura Vettel è una garanzia ma solo in
determinate condizioni. La storia dimostra che quando ha raggiunto una simbiosi
perfetta con la macchina, è stato davvero imbattibile. In corsa e ancor di più
in qualifica. È ingiusto motivare i suoi quattro titoli mondiali consecutivi e
le 39 vittorie soltanto con la solita tiritera della superiorità Red Bull. È
ingeneroso sostenere che debba ancora dimostrare di essere un vero campione.
Chi non è un fuoriclasse assoluto, ogni tanto – anche se ha la macchina
migliore – qualche gara la perde. Commette un errore, sbaglia, si distrae, ha
un calo di concentrazione. Il punto è che Vettel fra il 2010 e il 2013 non ha
mai, ma proprio mai perso un campionato. Qualcosa vorrà dire, no? Significa che
quando riesce a trovare la simbiosi perfetta con un’auto, non è battibile se
non in circostanze eccezionali. Com’era Senna con la McLaren del 1988, come
Clark con le Lotus del 1963 e ‘65, come Schumacher con le Ferrari del 2002 e
2004.
Però il suo disastroso 2014 fa capire che invece, proprio
Vettel finisce per soffrire più di altri quando non riesce ad entrare in
sintonia con la monoposto. Alonso in questo è più duttile: sa adattarsi meglio
a una macchina nervosa e instabile, come è stata la Ferrari di questi ultimi
anni. Sa trarre fuori il massimo anche da circostanze complesse. Vettel è un
attaccante che se non “sente” la macchina in mano, non riesce a ottimizzare il
risultato. Anche Hamilton ha sofferto di difficoltà simili sia con la McLaren
del 2009 che con la Mercedes del 2013; Lewis e Seb sono due piloti che guidano
di forza e soffrono la frenata imperfetta, un avantreno impreciso, un
retrotreno che scivola e degrada le gomme. Speriamo che la Ferrari riesca a
“cucirgli” addosso la monoposto 2015 meglio di come ha fatto in questi anni con
Alonso.
Riassumendo quindi, nel cambio Alonso-Vettel, Maranello può
guadagnarci in armonia di squadra. Potrebbe rimetterci invece in continuità di
piazzamenti qualora la competitività dell’auto non cresca. Ma un ulteriore
vantaggio per il Cavallino è che con Vettel può permettersi di pazientare e
“sprecare” un’ulteriore stagione per crescere con metodo e regolarità. Con
Alonso invece la Ferrari era costretta a strafare perché lo spagnolo, che a 33
anni vedeva il tempo scorrergli in fretta sotto i piedi, soffiava sul collo
generando quella “ansia da prestazione” che ha peggiorato le cose. Peccato che
pure il neo-presidente Marchionne soffra della stessa impazienza.
Risultato molto diversificato per fasce d'età. Per 8 giovani su 10 non cambierà nulla perchè manca una macchina adeguata per vincere; più ottimisti gli adulti, per i quali 6 su 10 ritengono che Vettel sia un ottimo pilota e tornerà a far vincere la Ferrari; si divide invece metà e metà il giudizio degli over 55.
(Fonti: Corriere dello sport1,
Corriere
dello sport2)
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