PERSONA PERBENE, MITE E STIMATA, CHE HA RACCOLTO CONSENSI
ANCHE TRA I CENTRISTI, LA SINSITRA PD E SEL. MA NON MANCANO ASPETTI CRITICI
Poteva andarci peggio. Questa è la prima cosa che ho pensato
quando Sergio Mattarella è stato eletto Presidente della Repubblica. Poteva
toccarci il poltronista, impopolare e ricco pensionato Amato, o un tecnico, di
quelli tutti numeri che piacciono tanto all’Europa. Oppure, e magari fosse stato
così, un ex Pm come Imposimato o meglio ancora Raffaele Cantone. Ma si sa,
l’elezione del Capo dello Stato è anche, e soprattutto, un’occasione per
tessere nuove alleanze, ripristinarne di vecchie, consolidare le attuali. E la
trovata di Matteo Renzi è stata geniale: ha candidato un vecchio democristiano
di sinistra, di quelli, per intenderci, legato alla Dc buona e sana (o forse
sarebbe meglio dire meno peggio) legata alla corrente di Aldo Moro;
aggraziandosi così la sinistra del suo Partito, i moderati di Area popolare,
Sel (si dice che lo stesso Vendola, qualche settimana fa, avrebbe pensato a
Mattarella) e qualche grillino in uscita. Ed è anche uno scacco matto a
Berlusconi, visto che gli è indigesto essendosi messo di traverso in un paio di
occasioni. E’ stato eletto con ben 665 voti, il che vuol dire anche con pezzi
di Forza Italia. Costretto a dire sì anche Alfano, pena la fine del suo
mandato, spaccando però il suo partitino, con qualche uscita eccellente (vedi
Sacconi). Insomma, con Mattarella l’ex Sindaco di Firenze ha unito il
centrosinistra e spaccato il centrodestra. Certo, non mancano paradossi
istituzionali e qualche ombra anche sulla sua figura e su quella di qualche suo
familiare.
CHI E’ MATTARELLA - Mattarella
è nato a Palermo, ha 74 anni, è vedovo e ha tre figli (uno di loro, ha fatto
politica in Sicilia ed è stato candidato alle primarie per la segreteria
regionale nel 2009 appoggiato da Bersani; un altro, invece lavora da diversi
anni al ministero della Funzione pubblica e ora è capo dell’ufficio legislativo
di Marianna Madia). Sergio Mattarella è figlio di Bernardo, politico
democristiano che tra gli anni Cinquanta e Sessanta è stato più volte ministro;
ed è fratello minore di Piersanti, altro politico democristiano ucciso il 6
gennaio del 1980 dalla mafia mentre era presidente della Sicilia. Sergio
Mattarella ha fatto parte della Gioventù Studentesca di Azione Cattolica e
della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, insegnando anche Diritto
parlamentare all’Università di Palermo.
Alle elezioni politiche del 1983 venne eletto alla Camera
dei Deputati con la DC: faceva parte della corrente dei morotei, quella di Aldo
Moro e di Benigno Zaccagnini (quella più a sinistra, per capirci). Fu
incaricato dall’allora segretario della DC, Ciriaco De Mita, di occuparsi in
quegli anni del partito in Sicilia e appoggiò la candidatura di Leoluca Orlando
a sindaco di Palermo. Rieletto alla Camera nel 1987, continuò a collaborare
politicamente con De Mita e fu nominato ministro dei Rapporti con il Parlamento
(governo Goria), confermato anche l’anno dopo nel governo De Mita. Fu poi
ministro dell’Istruzione con Giulio Andreotti (nel suo sesto governo) ma si
dimise nel 1990, insieme ad altri ministri della DC, contro l’approvazione
della contestata legge Mammì sulla «disciplina del sistema radiotelevisivo
pubblico e privato in italia».
Dopo le dimissioni, Mattarella rimase senza incarichi di
governo per due anni: venne rieletto alla Camera nel 1992 e nello stesso anno
gli venne affidata (fino al 1994) la direzione del quotidiano della Democrazia
Cristiana, Il Popolo. Nel 1993 fu relatore della legge di riforma del sistema
elettorale. Superate le inchieste su Tangentopoli (venne accusato da un
imprenditore siciliano di aver ricevuto 50 milioni e dei buoni benzina, ma
venne assolto), Mattarella fu tra i protagonisti del rinnovamento della DC: nel
1994 fu tra i fondatori del Partito Popolare Italiano (con il quale venne
eletto alla Camera nel 1994) ma se ne staccò quando Rocco Buttiglione, alla
segreteria del partito, si avvicinò al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi
in vista delle elezioni del 1996.
Confermato deputato alla Camera nel 1996, con Massimo
D’Alema a Palazzo Chigi divenne prima vicepresidente del Consiglio e poi
ministro della Difesa, anche nel governo Amato (appoggiò l’intervento della
NATO in Kosovo). Nel 1999 ci fu un altro scontro pubblico con Berlusconi, che
in un articolo del Tempo aveva ricordato De Gasperi in occasione della
commemorazione per il 45esimo anniversario della sua morte rivendicandone
l’eredità. Mattarella disse: «De Gasperi appartiene a tutti coloro che hanno a
cuore la democrazia. Questo non vuol dire che chiunque possa chiamarsi suo
seguace o erede».
Nel 2001 Mattarella venne rieletto in Parlamento con la
Margherita e poi riconfermato nel 2006 con l’Ulivo (fa anche parte del gruppo
che ha scritto il manifesto fondativo del Partito Democratico). Nel 2008, dopo
la caduta del governo Prodi, uscì dal Parlamento (quello stesso anno criticò la
riforma della Gelmini sul ritorno del maestro unico alle elementari che lo
stesso Mattarella, nel 1990, aveva sostituito con i cosiddetti moduli); dal
2011 è giudice della Corte costituzionale, eletto dal Parlamento. Considerato
un moderato, non è intervenuto molto spesso nelle discussioni di attualità e
nelle polemiche intorno alla politica. Ciriaco De Mita, disse di lui: «Forlani, in confronto a Mattarella, è un
movimentista». Ma ha saputo dire di no e mostrare carattere quando serviva,
come vedremo nel paragrafo successivo.
PERCHE’ E’ AVVERSATO DAL CAVALIERE
– Perché Berlusconi non ha votato Mattarella? Perché si è sempre messo di
traverso, o almeno, come abbiamo visto nel precedente paragrafo, in due
occasioni. Quando era Ministro dell’Istruzione del sesto Governo di Giulio
Andreotti si dimise nel 1990, insieme ad altri tre ministri della DC, contro
l’approvazione della contestata legge Mammì sulla «disciplina del sistema
radiotelevisivo pubblico e privato in Italia». La legge si limitava a rendere
legale la situazione esistente in quel momento in Italia, cioè il rischio di un
monopolio da parte delle televisioni private della Fininvest contro le
direttive comunitarie. Mattarella disse: «Ci
siamo dimessi. Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva
comunitaria sia in linea di principio inammissibile e inopportuna in questo
semestre». Aveva già intuito che quella legge avrebbe dato un potere
mediatico non indifferente all’ex Cavaliere, in barba alle norme vigenti.
Veniamo alla seconda occasione. Nel 1994 fu tra i fondatori
del Partito Popolare Italiano (con il quale venne eletto alla Camera nel 1994)
ma se ne staccò quando Rocco Buttiglione, alla segreteria del partito, si
avvicinò al leader di Forza Italia Silvio Berlusconi in vista delle elezioni
del 1996. L’ipotesi che Forza Italia potesse entrare nel Partito Popolare
Europeo venne definita da Mattarella «un incubo irrazionale».
LA RIFORMA ELETTORALE – Di
lui si parla soprattutto per il “Mattarellum”, l’appellativo inventato da
Giovanni Sartori sul Corriere della Sera per la legge elettorale approvata dopo
il referendum del 1993: si trattava di un sistema piuttosto complicato ma che,
come caratteristica fondamentale, assegnava i seggi per tre quarti con il
maggioritario e per un quarto con il proporzionale (aveva poi uno strano e
sbilanciato meccanismo per la tutela dei partiti minori, il famoso “scorporo”).
Il Mattarellum è stato la legge elettorale per le elezioni del 1994, del 1996 e
del 2001, prima del cosiddetto “Porcellum”.
Fu molto criticata all’epoca ma è stata poi “rivalutata” e
oggi è spesso citata come l’ultima legge elettorale italiana che permetteva
agli elettori di scegliere direttamente e con semplicità i loro rappresentanti.
Ma è un sistema che ha sancito il passaggio dalla Prima alla Seconda
Repubblica, era una colonna del bipolarismo e garantiva una certa
governabilità. Salvo poi uscite dalla maggioranza di qualche partito, come
fatto da Rifondazione nel primo Governo Prodi.
I PARADOSSI ISTITUZIONALI –
E’ la prima volta che un Premier decida lui il prescelto, per di più nemmeno votato, anche se ormai la
figura del Presidente del consiglio è cambiata, non solo semanticamente,
essendo diventato più incisivo nella vita istituzionale, come avviene nelle
altre democrazie occidentali. Prima invece il nome usciva fuori dai corridoi di
Palazzo Chigi, nell’ultima occasione Bersani propose a Berlusconi un mazzo di
tre carte dal quale lui doveva estrarre il nome (Amato, Pisanu e lo stesso
Mattarella).
L’altro, più eclatante, riguarda il fatto che Mattarella sia
stato eletto dal Parlamento che egli stesso, come membro della Corte
costituzionale, ha dichiarato incostituzionale, avendo bocciato il Porcellum
con cui è stato nominato. Tornando così al vecchio sistema elettorale che porta
proprio la sua firma.
SFIORATO DA TANGENTOPOLI –
Come tanti democristiani, fu anch’egli toccato da Tangentopoli. Venne accusato
da un imprenditore siciliano di aver ricevuto 50 milioni e dei buoni benzina
pari a 3 milioni di vecchie lire, ma venne assolto. Così ha chiarito quella vicenda a Il Fatto quotidiano: L’ing. Salamone, nel marzo del 1992, mi ha fatto chiedere, da un altro imprenditore, un incontro, nel corso del quale ha offerto un contributo finanziario alla mia campagna elettorale. Io ho rifiutato quella offerta, come è attestato dalla sentenza del Tribunale di Palermo del 1 marzo 2000 n. 519, definitiva perché in giudicato. Dopo alcuni giorni il Salamone ha fatto recapitare, presso la mia segreteria, una lettera di auguri per le elezioni con alcuni buoni di benzina, del valore di circa millecinquecento euro (nel sommario dell’articolo si parla di tre milioni senza precisare che si trattava di lire e non di euro). Sulla base di dichiarazioni diverse del Salomone (per altro imprecise e più volte modificate) sono stato accusato di aver ricevuto un contributo elettorale senza registrarlo nella relativa contabilità (quindi di violazione delle regole sul finanziamento dei partiti, e non di corruzione) e ne sono stato assolto “perché il fatto non sussiste” . Il Tribunale, che ha deciso nel merito pur essendo decorsi i termini di prescrizione, ha ritenuto, come si legge nella sentenza, di “generale genuinità e credibilità” la precisa e completa ricostruzione dei fatti da me presentata. La sentenza ha, inoltre, affermato che “l’on. Mattarella era un politico del tutto estraneo al mondo degli appalti” e che “da nessuna risultanza dibattimentale sono emersi stretti rapporti” suoi con il Salamone.
LE VARIE ACCUSE AL PADRE BERNARDO –
Il padre Bernardo fu più volte accusato di collusione mafiosa. Accuse sempre
cadute con un nulla di fatto. La saga dei Mattarella comincia a Castellammare
del Golfo, un paesino in provincia di Trapani, dove Bernardo era il primo dei sette figli di
Santo e Caterina Di Falco. Si laurea in giurisprudenza a Palermo, con De
Gasperi è tra i fondatori della Dc, ed è un fiero avversario del separatismo.
Nel 1958 si dice favorevole all’istituzione di una Commissione parlamentare
antimafia.
Eppure su di lui, che fu ministro più volte e rivestì ruoli
importanti nel suo partito, per anni gravarono le ombre di una vicinanza a Cosa
nostra. Insinuazioni d’altronde inevitabili, per chi faceva politica in quegli
anni nella Dc siciliana. Al punto che, in un’intervista pubblicata da
Repubblica il 10 agosto 1982, persino il
generale Carlo Alberto Dalla Chiesa collegò l’uccisione di Piersanti
Mattarella, il presidente della Regione assassinato nell’ 80, alla vicenda
paterna: “il figlio, certamente al corrente di qualche ombra avanzata nei
confronti del padre, ha voluto che la sua attività politica come amministratore
pubblico fosse esente da qualsiasi riserva. E quando ha dato la chiara
dimostrazione di mettere in pratica questo intento, ha trovato il piombo
mafioso… il caso Mattarella è ancora oscuro, si procede per ipotesi… anche
nella Dc aveva più di un nemico”.
Ipotesi, ombre, forse solo veleni su una saga che ha
certamente segnato una certa stagione della Dc nella Prima Repubblica.
Il matrimonio. Nel 1933,
Mattarella senior sposa Maria Buccellato, un cognome ‘’pesante’’, lo stesso che
appartiene ad una storica famiglia della mafia di Castellammare. Nella
cittadina, il boss locale si chiamava Antonino Buccellato e aveva sposato
Antonina Rimi, figlia di Vincenzo e sorella di Filippo, indicati dagli
investigatori come capi mandamento di Alcamo e ritenuti tra i primi ad avere
rapporti diretti con la politica che conta. Da quel matrimonio in poi, sulla
storia di Bernardo cominciano ad allungarsi le ombre che poi trascineranno il
politico italiano, più volte ministro della Repubblica, in un vortice di accuse
e sospetti combattuti a colpi di sentenze. Nel volume ‘’Fra diavolo e il
governo nero: doppio Stato e stragi nella Sicilia del dopoguerra’’ pubblicato
da Franco Angeli nel ’98, lo storico Giuseppe Casarrubea scrive: ‘’Mattarella
non nascondeva la sua protezione per Vincenzo Rimi, vissuto da sempre all’ombra
della Dc e considerato l’architrave dell’ edificio mafioso nella provincia di
Trapani’’.
La strage di Portella della
Ginestra. Al processo per la strage di Portella della Ginestra,
Mattarella fu accusato da Gaspare Pisciotta di essere implicato nella strage.
Le accuse di Pisciotta furono riportare nella relazione di minoranza della
commissione antimafia firmata nei primi anni Settanta dal deputato del Msi
Beppe Niccolai, lavoro che Leonardo Sciascia in un’intervista alla tv francese
definì ‘’una cosa seria’’. ‘’Gaspare Pisciotta – c’era scritto nella relazione
– fu arrestato il 9 dicembre del 1950 e nel processo che si tenne a Viterbo,
per la strage di Portella delle Ginestre, ammise di avere ucciso Giuliano nel
sonno; dichiarò che l’incarico gli era stato affidato personalmente dal
Ministro dell’Interno, il democristiano siciliano Mario Scelba (quello della
legge contro la ricostruzione dei partito fascista!), e che la strage di
Portella delle Ginestre era stata ordinata dal democristiano Bernardo
Mattarella e dai monarchici Alliata di Montereale e Cusumano Geloso’’. La
dichiarazione su Mario Scelba fu giudicata estranea al processo. Mattarella,
Alliata di Montereale e Cusumano Geloso furono prosciolti in istruttoria.
Pisciotta fu condannato per la strage di Portella delle Ginestre, ma il 9
febbraio del 1954 veniva assassinato in carcere con un caffè avvelenato. Anche
il pm nella sua requisitoria al processo di Viterbo aveva definito inaffidabile
Pisciotta, che aveva fornito nove diverse versioni della strage, bollando come
‘’inattendibili’’ le sue accuse contro Scelba e Mattarella.
L’accusa di Dolci. Nel ’65
toccò al sociologo Danilo Dolci accusare Bernardo Mattarella di collusioni con
la mafia, con un dossier, poi riprodotto nel libro ”Chi gioca solo” del 1966,
presentato in una conferenza stampa. Mattarella lo querelò, concedendogli
facoltà di prova e, dopo un dibattimento durato circa due anni, Dolci fu
condannato per diffamazione a due anni di reclusione, che non scontò per
effetto dell’indulto approvato l’anno precedente. La sentenza del Tribunale di
Roma del 21 giugno 1967, confermata dalla Corte d’appello e dalla Cassazione,
afferma: ‘’Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco la sua condanna del
fenomeno mafioso…’’ e ‘’…non è mai entrato in contatto con l’ambiente mafioso
da lui invece apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua
carriera politica’’. Le affermazioni di Dolci vennero additate come ‘’frutto di
irresponsabili pettegolezzi, di malevoli dicerie se non addirittura di
autentiche falsità’’. Ma il querelante, scrive lo storico Casarrubea ‘’non
aveva avuto ugualmente partita vinta, se è vero che non era entrato più a far
parte del terzo governo Moro, nonostante
fosse stato in precedenza ministro dell’Agricoltura e per il Commercio,
nel primo governo Leone e nel secondo governo Moro (1963-1966)’’.
Le accuse di Joe Bonanno. Poi
fu la volta delle accuse di Joe Bonanno, detto Joe Bananas, boss di
Castellammare che raccontò in un suo romanzo come Mattarella si trovasse tra
coloro che lo accolsero quando arrivò all’aeroporto di Fiumicino per
partecipare alla storica riunione di capimafia italo-americani e siciliani che
si tenne all’Hotel delle Palme di Palermo. Nel romanzo, si narra del viaggio
che il Bonanno fece in Italia, nel settembre 1957, al seguito del direttore del
giornale ”Il progresso italo americano”, F. Pope. Ma come risulta da quel
giornale i due arrivarono a Roma il 13 settembre di quell’anno e Mattarella non
era presente: è facile verificarlo sia sul giornale di Pope, che su giornali
italiani. La versione di Bonanno però per molti anni fu riportata dai giornali
e creò non pochi problemi di immagine al vecchio Bernardo che nel frattempo
scalava la carriera istituzionale a passi veloci ed era costretto ad inseguire
le smentite.
IL FRATELLO PIERSANTI UCCISO DALLA
MAFIA - Piersanti, classe 1935, fu ucciso dalla mafia mentre era
presidente della Regione Siciliana. Consigliere comunale della DC a Palermo,
eletto nel 1960, arriva all’ Assemblea Regionale nel ’67, per poi diventare
presidente della Regione undici anni dopo.
Il suo assassinio matura in seguito alla Conferenza
regionale dell’agricoltura, in cui Mattarella prende una netta posizione,
sollecitato da Pio La Torre, nei confronti dell’allora assessore. La Torre
denunciò l’assessorato all’agricoltura come centro della della corruzione in
ambito regionale, indicando lo stesso Giuseppe Aleppo, allora assessore come
personaggio colluso. Mattarella rimarcò la necessità di gestire in modo
corretto e legale i contributi agricoli regionali, allora punto sensibile anche
nei piani del governo per lo sviluppo del Mezzogiorno. Aleppo fu comunque
confermato all’assessorato, ma le dichiarazioni di Pio La Torre e Piersanti
Mattarella attirarono il mirino di mafie e poteri più o meno criminali.
Il 6 gennaio del 1980 un killer fredda il Presidente
dell’Ars Mattarella dentro la sua auto a cinque mesi dal termine della
legislatura regionale. Le ipotesi investigative si svilupparono faticosamente.
A far quadrare il cerchio fu l’ultimo atto investigativo chiuso da Giovanni
Falcone sui “delitti politici” depositata il 9 marzo del 1991.
Le ipotesi di Falcone puntavano alla commistione tra gruppi
della destra eversiva, in particolare i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) e
cosa nostra. Nel 1995 furono condannati all’ergastolo i boss Totò Riina,
Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco
Madonia e Nenè Geraci, componenti della “commissione” di cosa nostra. Nel corso
del processo la moglie di Mattarella dichiarò inoltre di riconoscere
l'esecutore materiale dell'omicidio nella persona di Giuseppe Valerio
Fioravanti, che tuttavia sarà assolto per questo crimine.
Falcone aveva infatti ipotizzato l' esistenza di uno "scambio"
di favori tra la mafia e l' eversione neofascista. Una tesi che era avvalorata
sia dalle dichiarazioni del fratello di Giusva Fioravanti, Cristiano, sia dalla
testimonianza di Irma Chiazzesi, la moglie di Piersanti Mattarella. La vedova
del presidente della Regione, che assistette all' uccisione del marito, aveva
descritto nei minimi particolari il killer che sparò a bruciapelo contro
Mattarella: «Aveva un ghigno glaciale», disse la signora Mattarella che poi in
aula, in confronto, indicò senza esitazione Giusva Fioravanti come il sicario
del marito.
FOTO DI © Franco Zecchin |
A decidere l' uccisione del presidente della Regione
Piersanti Mattarella, del segretario provinciale della Dc Michele Reina e del
segretario regionale del Pci Pio La Torre, fu la cupola della mafia
La pista nera cadde: per la sentenza, e per l’impostazione
accusatoria di Giuseppe Pignatone, che stravolse l’indagine di Falcone, non ci
fu scambio di favori tra Cosa nostra e l' estremismo di destra. L’ombra dietro
a questi omicidi rimane quella dell’ex sindaco mafioso di Palermo Vito
Ciancimino. Giuseppe Pignatone, oggi procuratore capo a Roma, allora
rappresentante dell’accusa a Palermo sostenne che Ciancimino «legato alla cosca
dei Corleonesi» era «contrastato da Mattarella per un suo rientro nel partito con
incarichi direttivi». «La Torre - aggiunse Pignatone - indicava Ciancimino come
personaggio emblematico dell'intreccio mafia-politica-affari; Michele Reina
(segretario provinciale della DC di Palermo ucciso nel 1979) era entrato in
contrasto con costruttori legati a Vito Ciancimino».
Insomma, dietro agli “omicidi politici” tra cui quello di
Piersanti Mattarella l’ombra ingombrante di Vito Ciancimino. Ad escludere una
partecipazione dei terroristi neri nei tre agguati sono stati i pentiti Tommaso
Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Gaspare Mutolo ed altri collaboratori di
giustizia.
ALTRI PARENTI – Poi ci sono
impicci familiari più recenti, che hanno coinvolto il fratello Antonino,
indagato negli anni 90 a Venezia per riciclaggio di denaro sporco e associazione
mafiosa col cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti, per una
speculazione su una decina di alberghi a Cortina: inchiesta poi archiviata nel
1996 per mancanza di prove sulla provenienza illecita del denaro, con coda di
polemiche anche in Parlamento.
Completano il quadretto famigliare il nipote Bernardo,
figlio di Piersanti, deputato regionale in Sicilia, ora indagato per peculato
sui rimborsi regionali; e il figlio di Sergio, Bernardo Giorgio, allievo di
Sabino Cassese, docente di Diritto amministrativo a Siena e alla Luiss nonché
capo dell’ufficio legislativo della Funzione pubblica al ministero della PA,
accanto a Marianna Madia: il suo compenso di 125 mila euro l’anno ha sollevato
qualche malignità.
Come diceva qualcuno “il più pulito c’ha la rogna”. Al netto
di qualche ombra personale (direi anche chiarita) e familiare (accuse come visto cadute quasi tutte nel vuoto) ma anche quasi inevitabili (ma non
giustificabili, ovviamente) per chi fa politica in Italia da decenni, soprattutto
nella complicata Sicilia dove a Tangentopoli si sommava pure la Mafia all’apice
del suo potere, a Mattarella va se non altro riconosciuta la coerenza, la
sobrietà, ma anche la decisionalità quando serve. Vedremo come sarà all’opera
nei prossimi sette anni. Ritorno alla frase di partenza: poteva andarci peggio.
Sei lettori su dieci vogliono giudicare Mattarella sul suo operato, mentre quasi uno su quattro lo apprezza già per la sua persona e storia politica.
Persona perbene! È incredibile come tutti dicano che Mattarella sia una pesona perbene! Probabilmente in Italia si dà per scontato che ad occupare le istituzioni siano soprattutto dei delinquenti. Infatti, l'esser perbene dovrebbe essere scontato a prescindere... cosa che, dai commenti che si leggono e si sentono, non pare.
RispondiEliminaLe premesse per un buon settennato ci sono.
RispondiEliminaSergio Mattarella (20 ottobre 1999) “Sono personalmente convinto, avendo sempre militato in una forza politica che ha contrastato il comunismo, quando questo era forte e comandava in molti Stati d’Europa, che l’ideologia comunista o, volendo essere più precisi, il marxismo-leninismo, rappresenti una negazione della libertà e sia in conflitto, insuperabile, con i principi di una democrazia liberale”
marxismo-leninismo contro democrazia liberale! Andiamo bene! Già nella seconda metà degli anni '70 il PCI stava diventando o era già un partito socialista.
RispondiEliminaE la democrazia liberale? In Italia non è mai esistita. I democristiani erano democratici e liberali quanto un tavolo possa esser scambiato per una sedia.
manco insediato, e già lo criticano...
RispondiEliminasiam proprio la solita repubblica delle banane