SECONDO UN RAPPORTO DI LEGAMBIENTE, DIVERSE ZONE DEL
CENTRO-SUD CELANO MOLTI ORDIGNI CHIMICI INESPLOSI RISALENTI ALLA SECONDA GUERRA
MONDIALE
Dal Golfo di Napoli al litorale pugliese nel basso
Adriatico, dai fondali pesaresi al lago di Vico (Viterbo) fino all'area
industriale di Colleferro, in provincia di Frosinone. Stando a un recente
rapporto di Legambiente, in queste aree si annidano pericolose bombe chimiche
americane risalenti alla seconda guerra mondiale rimaste inesplose. Ovvero,
intere aree urbane, mari e laghi inquinati da siffatti arsenali militari. A
tutt'oggi non risulta che siano state svolte indagini accurate per localizzarli
esattamente e quantificarne il materiale pericoloso. Né tantomeno lavori di
bonifica. Si sa però che il "campionario" di queste sostanze chimiche
comprende liquidi irritanti come l'iprite o la lewisite; l'arsenico, tossico e
cancerogeno; e ancora il fosgene, un gas asfissiante. Molte armi dismesse
risalgono anche ad anni più recenti.
Vediamo di seguito nello specifico le aree interessate.
LA DISCARICA DEL BASSO ADRIATICO
Sono oltre 30 mila - secondo il dossier di Legambiente - gli
ordigni inabissati nel sud dell'Adriatico, lungo la costa pugliese, di cui 10
mila solo nel porto di Molfetta e di fronte a Torre Gavetone, a nord di Bari.
Agli arsenali chimici dispersi sui fondali durante la seconda guerra mondiale,
si sono aggiunte le bombe inesplose sganciate dagli aerei della Nato durante il
conflitto del Kosovo nel 1999. Fra il 1946 e il 2000, molti pescatori della
zona hanno fatto ricorso a cure ospedaliere, dopo essere entrati in contatto
con aggressivi chimici provenienti da residuati bellici. Le analisi dei
sedimenti marini hanno rilevato gravi conseguenze anche nei pesci, causate da
sostanze come l'iprite e concentrazioni di arsenico superiori ai valori di
soglia. Mentre la bonifica procede a rilento, la Regione Puglia ha stanziato
intanto 2 miliardi di euro per favorire il ripopolamento della fauna ittica.
L'ARSENALE CHIMICO DI PESARO
Nel settembre del '43, subito dopo l'armistizio, il quartier
generale tedesco ordinò di conquistare tutti i depositi di gas sul territorio
italiano, tra cui quello di Urbino, per evitare che cadessero in mani nemiche.
Il materiale venne trasportato su camion fino a Pesaro e Fano, per essere
caricato su un treno. Ma, in seguito all'avanzata anglo-americana, i tre vagoni
con 84 tonnellate di testate all'arsenico rientrarono a Pesaro, vennero
svuotati da squadre speciali e buttati in acqua. Così 4.300 grandi bombe C500T
furono caricate su barconi e nell'agosto del '44 ben 1.316 tonnellate di iprite
finirono in mare dove ancora oggi continuano a essere potenzialmente molto
pericolose.
LE BOMBE NEL GOLFO DI NAPOLI
Alcuni documenti militari americani, denominati
"rapporti Brankowitz", parlano del Golfo di Napoli e del mare intorno
all'isola di Ischia come siti per lo smaltimento di arsenali chimici. Durante
la presidenza Clinton, per un dovere di trasparenza, si decise di rendere
pubblici gli atti. Ma, dopo l'attentato alle Torri Gemelle, George W. Bush
impose di nuovo il segreto. Una "Bozza" di 139 pagine, redatta il 27
aprile 1987 da William R. Brankowitz, contiene un "sommario storico sul
movimento delle armi chimiche". A pagina 5 si legge che nell'aprile del
'46 una quantità non specificata di bombe al fosgene è partita da
"Auera" (probabilmente si tratta di Aversa, base militare americana)
con destinazione il mare aperto: presumibilmente, venne effondata al largo della
costa campana.
A NORD E A SUD DI ROMA
La "Città della Chimica", una gigantesca base di
oltre 20 ettari, fu voluta da Mussolini e realizzata sulle rive del lago di
Vico (Viterbo). Conclusa nel 2000 la bonifica del sito, le autorità militari
dichiararono che non esistevano ulteriori rischi di contaminazione. Ma nel
novembre 2009 l'Arpa (Agenzia regionale protezione ambientale) del Lazio rilevò
in un'alga tossica la presenza di diverse sostanze chimiche inquinanti.
Finalmente, nel marzo 2010, le autorità militari hanno riconosciuto la
necessità di ulteriori interventi di bonifica all'interno del centro chimico. A
Colleferro, provincia di Frosinone, dopo la prima guerra mondiale il calo della
produzione di esplosivi impose la ristrutturazione della BPD, l'azienda fondata
dall'ingegner Leopoldo Parodi Delfino e dal senatore Giovanni Bombrini. Negli
anni '70 e '80, gli scarti della produzione furono interrati all'interno del
sito industriale, con "ripercussioni devastanti" sull'intera Valle
del Sacco. Ma, secondo Legambiente, la produzione bellico-chimica è proseguita
fino ai giorni nostri, prima in direzione dell'Iraq e poi della Libia.
(Fonte: La
Repubblica)
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