EMESSE 26 ORDINANZE CAUTELARI CHE RIGUARDANO ANCHE AVVOCATI,
CANCELLIERI E UN ISPETTORE DI POLIZIA. 45 IN TOTALE GLI INDAGATI
Che il Tribunale di Napoli fosse disorganizzato,
incustodito, con documenti delicati alla mercé di tutti, lo si sapeva da tempo.
Ma che celasse anche un autentico mercatino della giustizia, dove si potessero
comprare rinvii di processi o udienze immediate, un po’ meno. Ciò è stato
svelato dalle indagini condotte dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico.
IL SISTEMA - Per ottenere il
rinvio di un processo bastavano 1.500 euro. Per evitare la fissazione immediata
di un’udienza, invece, ce ne volevano 15mila. Era questo il tariffario dei
“ritardi della giustizia a pagamento” vigente presso la Corte d’appello e il
Tribunale di sorveglianza di Napoli. Una rete di corruzione che manipolava le
carte dei processi – in certi casi per farli durare all’infinito – in cambio di
mazzette.
L’organizzazione avrebbe anche favorito imputati di camorra.
Alcuni episodi agli atti dell’inchiesta, infatti, sono relativi a procedimenti
per reati di criminalità organizzata, riguardanti anche persone detenute. Gli
indagati avrebbero fatto sparire fascicoli o singoli atti, in modo da ottenere continui
rinvii e approdare o alla scadenza dei termini di custodia cautelare, o alla
prescrizione dei reati contestati.
Dalle indagini, condotte dal procuratore aggiunto Alessandro
Pennasilico, esisteva un vero e proprio tariffario per le ‘prestazioni’ svolte
dalla banda. L’indagine ha individuato un “sistema collaudato”, scrive il
procuratore aggiunto, che “ha permesso a funzionari e dipendenti pubblici
infedeli di stabilire addirittura tabelle per determinare somme di denaro da
ricevere in relazione a specifiche prestazioni svolte”. Secondo gli inquirenti
erano proprio questi dipendenti a proporre ad avvocati e faccendieri ipotesi di
illecito stabilendone di volta in volta il prezzo.
GLI INDAGATI - Il giro di
illegalità scoperto negli uffici giudiziari di Napoli ha portato all’emissione
di ventisei ordinanze cautelari, tre in carcere, 22 ai domiciliari e una misura
interdittiva. Tra i coinvolti ci sono anche quattro avvocati, alcuni
cancellieri e un ispettore di polizia. In tutto, le persone indagate nell’inchiesta
della procura di Napoli sono 45: agli atti ci sono intercettazioni e anche
riprese video – delle telecamere installate negli uffici della Corte d’appello
– che documenterebbero accordi e scambi di denaro tra cancellieri e avvocati
coinvolti nell’organizzazione.
L’ordinanza emessa dal gip Paola Scandone riguarda quattro
avvocati del foro di Napoli (Giancarlo Di Meglio, Fabio La Rotonda, Giorgio
Pace e Stefano Zoff, tutti ai domiciliari); nove dipendenti pubblici tra
cancellieri, commessi e operatori giudiziari, tre faccendieri che da anni
frequentano gli uffici giudiziari; un consulente tecnico della procura e del
tribunale (sottoposto a misura interdittiva) che su incarico di un avvocato e
in cambio di denaro avrebbe redatto perizie psichiatriche d’ufficio compiacenti
a favore di un pregiudicato; un ispettore di polizia del commissariato di
quartiere Vicaria-Mercato, Gioacchino Valente, che sostituiva relazioni
sfavorevoli fatte da colleghi per conto del Tribunale di sorveglianza con altre
false e favorevoli. In occasione dell’udienza del 20 ottobre 2011, nella quale
il Tribunale di sorveglianza doveva valutare l’affidamento in prova di Giuseppe
Lampitelli ai servizi sociali, Valente redasse e trasmise una falsa relazione e
Andrea Esposito, dipendente del Tribunale di Sorveglianza, la inserì nel
fascicolo, sottraendo contestualmente quella autentica.
IL PROCESSO A CARICO DI FRANCESCO
TROIA - Le cifre riportate dalle carte dell’inchiesta sono riferite al
processo a carico di Francesco Troia. Gli intermediari Vincenzo Michele Olivo e
Francesco Di Matteo si accordarono con due dipendenti della Corte d’appello,
Giancarlo Vivolo e Mariano Raimondi, affinché il procedimento riguardante
Troia, condannato in primo grado, fosse assegnato, in seguito ad impugnazione,
alla V sezione della Corte d’Appello in cambio di 1.500 euro. Un nuovo accordo,
costato 15mila euro, consentì di ritardare la trasmissione degli atti al
presidente della sezione per evitare una fissazione immediata dell’udienza.
Fissata finalmente l’udienza, fu pattuita la somma di 1.500 euro per ogni
ulteriore intervento sul fascicolo (occultamento o sottrazione) per ottenere
rinvii.
(Fonte: Il
Fatto quotidiano)
napoli bella città,nessuno lo può negar
RispondiEliminaSolito schifo
RispondiElimina