sabato 2 marzo 2013

GIOVANI COSTRETTI AD APRIRE UNA PARTITA IVA PER LAVORARE


NEL 2012 SI  E’ REGISTRATO UN RIALZO DEL 2,2% RISPETTO ALL’ANNO PRECEDENTE, SPECIE TRA GLI UNDER 35

L’impossibilità di trovare qualcuno che li assuma o la richiesta esplicita di molte aziende come condizione per farlo, sta spingendo tanti giovani ad aprire una Partita Iva; con tutti i rischi e i costi che essa comporta. Nel 2012 ne sono state aperte 549mila, in rialzo del 2,2 per cento rispetto al 2011. L’aumento è particolarmente marcato (+8,1 per cento) tra chi ha meno di 35 anni.

DI PIU’ AL SUD - La zona d’Italia che ha segnato l’incremento maggiore tra i giovani è, secondo l’analisi della Cgia di Mestre, manco a dirlo il Mezzogiorno. Infatti, “su 211.500 circa nuove iscrizioni compiute dagli under 35 a livello nazionale, oltre 80.000 (pari al 37,8 per cento del totale giovani) sono avvenute al Sud”. Mentre le partite Iva in capo alle donne under 35 sono cresciute del 10,1 per cento.

I SETTORI DOVE CIO’ SI VERIFICA DI PIU’ - “L’aumento del numero delle partite Iva in capo ai giovani lascia presagire, nonostante le misure restrittive introdotte dalla riforma del ministro Elsa Fornero, che questi nuovi autonomi lavorano prevalentemente per un solo committente”, ha commentato il segretario della Cgia di Mestre, Giuseppe Bortolussi, precisando che i tre settori dove è stato registrato il maggior numero di aperture tra gli under 35 sono stati il commercio all’ingrosso e al dettaglio, le attività professionali e le costruzioni.

NON SEMPRE CONVIENE – Volendo saltare la parte relativa alla burocrazia, possedere una Partita Iva comporta certo la libertà di esercitare la propria professione liberamente, ma anche notevoli costi fiscali rispetto a contratti come quello di collaborazione occasionale e continuativa poiché il possessore di Partita Iva ha l’obbligo di pagare i 2/3 di quello che guadagna al lordo di previdenza invece di 1/3 come stabilito per i contratti di collaborazione coordianata e continuativa, deve poi pagare l’Irap, ovvero l’imposta regionale sulle attività produttive e affidarsi ad un commercialista che va pagato mensilmente, per gestire la contabilità.
Che si voglia quindi aprire un negozio, un’agenzia, un bar, un’attività qualsiasi in proprio, da autonomo o libero professionista iscritto all’Albo o meno ( non tutte le professioni hanno un ordine professionale come medici, architetti, paesaggisti, conservatori, chimici, ingegneri, farmacisti, biologi, giornalisti, avvocati, commercialisti, ecc) deve aprire la Partita Iva ai fini fiscali e ogni anno la dichiarazione dei redditi sarà fatta in base anche alle fatture emesse. Gli ordini professionali, che in Italia qualcuno vorrebbe abolire, discendono addirittura dalle corporazioni medievali e dovrebbero essere garanzia di serietà e professionalità, dal momento che sono soggetti a revisioni contabili e controlli, devono sottoscrivere un codice deontologico e la loro appartenenza all’ordine garantisce che chi abusa di posizione dominante sia espulso e punito con il carcere.

Alla luce degli oneri fiscali e burocratici che occorre affrontare, vien da sé che questa proliferazione di nuove Partite Iva sia più frutto di un ricatto che di una diffusa volontà di mettersi in proprio.

2 commenti:

  1. LA PARTITA IVA – Nel Bel Paese le Partite IVA non si aprono solo per vocazione, ma anche ed in gran parte per disperazione.
    Il disoccupato cronico o il lavoratore dipendente rimasto senza lavoro a causa della fabbrica costretta a chiudere, rifiutando il sommerso, per sopravvivere tenta la via del lavoro autonomo aprendosi una Partita IVA.
    Ne consegue una moltitudine di adempimenti richiesti da enti, per lo più inutili, ed agenzie dello Stato che alimentano un esercito di funzionari ben stipendiati e ben determinati a scovare qualsiasi segno o virgola non in linea coi dettami del potere repressivo, i quali, immuni da responsabilità per le interpretazioni personali dei codici e regolamenti, hanno un gran da fare nel controllare movimenti, obblighi ed anomalie che gravitano intorno ad una Partita IVA.
    Per contrastare cotanto accanimento, un altro esercito composto da commercialisti, consulenti fiscali ed avvocati si nutre in questo calderone di norme, regole e demenziali decreti.
    Al nuovo possessore di Partita IVA, dopo essersi indebitato per aprire la sua attività, ben presto arrivano le prime cartelle di pagamento per tasse ed imposte varie, le quali, mentre nei paesi civili sono da pagarsi solo in proporzione ai redditi conseguiti, nel Bel Paese al contrario, si pretendono dei minimi fissi, eccessivamente gravosi, che sono da pagare sin dal primo giorno di iscrizione anche se, per scarsa esperienza professionale ed economia in recessione, si realizza un reddito da fame o, addirittura, si va in perdita.
    Pertanto, rendendosi conto che gli incassi che riesce a realizzare non bastano a coprire i debiti accumulati, né a pagare tributi e balzelli vari imposti dalle relative autorità e non riuscendo più a sfamare la sua famiglia, il lavoratore autonomo non può fare altro che immergersi in quel sottobosco di attività illecite provocato dall'imponente oppressione fiscale e burocratica.
    Non solo, anche dopo aver cessato la sua attività cosiddetta legale, continua per anni ad essere perseguitato con richieste di chiarimenti, verifiche, aggiustamenti ed esose sanzioni che hanno più il sapore dello strozzinaggio che della legalità.
    Nella storia della Repubblica non c'è mai stata una caccia così spietata allo sfruttamento dei cittadini.
    da COCOMIND.com - La voce del dissenso

    RispondiElimina
  2. E' da folli aprire una partita IVA per fare un lavoro da dipendente. Se non ti porta a casa almeno 20 mila euro all'anno ci rimetti per colpe delle tasse(come ha spiegato tu nel post). Ripeto è da folli!

    RispondiElimina