mercoledì 26 febbraio 2014

GLI ITALIANI CREDONO SEMPRE MENO NELL’UNIVERSITA’: 78 MILA IMMATRICOLATI IN MENO NEGLI ULTIMI 10 ANNI

Erano oltre 338 mila nel 2003/2004, sono poco più di 260 mila nel 2013/2014. E PENSARE CHE L’ITALIA HA L’OBIETTIVO DI AVERE IL 40% DI LAUREATI ENTRO IL 2020

I giovani italiani credono sempre meno nell’Università, fino a una ventina di anni fa considerata corsia preferenziale per un lavoro di tutto rispetto. La tanto ambita famigerata “scrivania” per intenderci. E invece negli anni il valore della Laurea si è sempre più assottigliato, al punto che in diverse occasioni avercela costituisce perfino uno svantaggio agli occhi di chi seleziona, che vede il candidato laureato più ambizioso e pretenzioso. Sebbene anch’egli il più delle volte si accontenti di poche centinaia di euro al mese. Poi ci si mette la crisi economica delle famiglie, che vede costretti, chi invece vorrebbe iscriversi, a rinunciarci. La somma di tutti questi fattori ha dato vita a un dato negativo; un’autentica debacle per l’Università italiana.

I DATI - Erano oltre 338 mila nel 2003/2004, sono poco più di 260 mila nel 2013/2014: in barba a tutti gli obiettivi europei, che fissano nel 2020 il traguardo per avere il 40% di laureati, l’Italia arranca. La conferma arriva dall’ultimo aggiornamento dell’Anagrafe degli studenti universitari del ministero dell’Istruzione: non è un dato ancora definitivo, ma anche se difettasse di poche decine di studenti, dà un quadro chiaro dell’attuale débâcle degli atenei, che -invece di acquisire studenti- ne perdono costantemente. I tecnici del Miur fanno notare che quest’anno il calo si è interrotto rispetto agli anni precedenti (novemila in meno rispetto all’anno 2012/2013, meno rispetto al confronto precedente), ma è innegabile: trattasi comunque di emorragia.

DOVE SI ISCRIVONO QUEI POCHI - Non si può dire che gli studenti non seguano le tendenze del mondo del lavoro: se dieci anni fa l’area sanitaria attirava l’11,67% dei diplomati, oggi il dato è in calo, al 10,76%. L’area scientifica invece cresce, dal 28,74% al 35,23%, mentre il sociale tira di meno, dal 39,90% dell’annata 2003/2004 al 35,09% di quest’anno. Più o meno stabile resta solo la fetta di studenti che si orienta verso le facoltà umanistiche: era del 19,69% dieci anni fa, oggi è del 18,93%.
Cosa succede allora? «Forse è arrivato il momento di riconoscere che non si tratta di un fenomeno estemporaneo- prova a rispondere Gianluca Scuccimarra, presidente dell’Unione degli universitari - ma di una tendenza gravissima, frutto delle politiche di progressivo scardinamento dell’università pubblica e del Diritto allo Studio».

L’APPELLO DEI RETTORI A RENZI - Un’interpretazione, quella dei giovani, che richiama per certi versi l’appello della Crui (la conferenza dei rettori) al nuovo presidente del Consiglio incaricato: «Il diritto allo studio è insufficiente- scrivono i rettori -: 1 giovane su 4 non può studiare all’Università per censo, anche se ne ha diritto. Non è giusto, occorre ripristinare il diritto allo studio previsto dalla Costituzione». Secondo la Crui, sono quattro le emergenze da affrontare: oltre al diritto allo studio, serve un «piano straordinario per i giovani migliori» per evitare che scappino all’estero, come è successo negli ultimi cinque anni con 10 mila ricercatori. Inoltre, bisogna «rafforzare l’alleanza tra formazione e mondo del lavoro in tutte le aree». E, infine, «occorre semplificare e dare più libertà alle università di competere», superando il «delirio normativo senza logica che impedisce ogni movimento e nuova progettualità».

Al di là dei fattori economici sopra elencati, una tiratina d’orecchie spetta anche a chi ha gestito fino a qualche anno fa le Università italiane, nonché agli stessi Ministri che si sono susseguiti. Con i primi che non hanno saputo sfruttare al meglio i fondi piovuti a pioggia per anni, elargiti dai secondi. Si sono creati tanti corsi di laurea inutili, istituiti solo per distribuire cattedre ai raccomandati di turno. Inoltre, l’offerta formativa è stata sempre meno adeguata ai cambiamenti del mercato del lavoro, vedendo sempre più depotenziato il proprio ruolo di ponte con quest’ultimo.
Insomma, la crisi economica vigente ha solo amplificato i difetti del nostro sistema universitario, che rischia di perdere sempre più terreno appannaggio delle Università telematiche. Più veloci e pratiche. Ma non per questo migliori. Anzi.


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