IL DOCUFILM USCIRA’ IL PROSSIMO 27 MARZO ED E’ UNA RACCOLTA
DI TESTIMONIANZE SULLA VITA DEL LEADER DEL PCI. MA L’EX SEGRETARIO DEL PD NON
HA CERTO SAPUTO COGLIERE L’EREDITA’ DEL SUO MAESTRO, ANZI
Quando c’era Berlinguer, c’era la sinistra. Così come c’era
la destra quando Giorgio Almirante era ancora in vita. E così come nella
Democrazia cristiana c’era ancora un po’ di umanità e perbenismo prima che Aldo
Moro venisse ammazzato dalle Br e in fondo dal suo stesso partito. Se film su
quest’ultimo (o sul contesto che portò alla sua morte) ne sono stati fatti
diversi, e se su Almirante vige ancora un certo tabù ormai ridicolo e
anacronistico, nelle sale arriva anche un film sul primo. Quell’Enrico
Berlinguer stimato da tutti, amici e nemici, che con la sua morte ha lasciato
un vuoto nella sinistra italiana mai più colmato; ma, in fondo, anche nella
politica italiana. Del resto, fu lui a parlare per primo di “questione morale”
oltre trent’anni fa. Percependo la degenerazione della politica italiana giunta
poi a livelli disgustosi nella Seconda Repubblica. Uno dei suoi eredi idegni
ora gli dedica un Docufilm: proprio quel Walter Veltroni che, insieme ai vari
D’Alema, Fassino e company (o se preferite compagni), hanno trasformato la
sinistra italiana hanno contribuito a far nascere il Berlusconi politico,
dandogli ossigeno ancora oggi.
IL FILM – Nel docufilm Enrico
Berlinguer viene ricostruito attraverso immagini di repertorio e interviste a
chi l'ha conosciuto, ha vissuto e lavorato al suo fianco. Con poco riguardo per
la vita personale e una marcata attenzione per la vita professionale viene
ricostruito il percorso che l'ha reso il leader più amato del suo partito, un simbolo
di rettitudine politica, un modello stimato anche dalle parti opposte dello
schieramento.
Quando c'era Berlinguer si pone la più giusta tra tutte le
domande che occorre porsi parlando di Enrico Berlinguer oggi: com'è possibile
che in un certo punto della storia italiana la morte di un politico abbia
scatenato un'adunata di massa senza precedenti e una commozione generale
autentica e struggente? Walter Veltroni lo fa nonostante non faccia mistero che
per se stesso questo non è mai stato un mistero. Nel suo documentario infatti
non manca di inserire la propria voce fuoricampo, di rimarcare la maniera in
cui la propria storia politica (agli inizi) si sia sovrapposta con quella di
Berlinguer e di indicare se stesso nei filmati di repertorio.
Veltroni insomma non si nasconde ma apertamente cerca di
spiegare Berlinguer a chi non l'ha vissuto e in questo senso l'inizio molto
ruffiano con un montaggio di persone comuni, ragazzi e adulti a cui viene
chiesto chi fosse Berlinguer e che rispondono con un misto di ignoranza e
conoscenza dell'uomo, è abbastanza indicativo.
Potendo attingere ad un bacino di testimonianze e persone
vicine a Berlinguer, Quando c'era Berlinguer sceglie di costruire
mediaticamente l'identità del più noto leader del partito comunista in Italia
come una superstar della politica, un leader vincente.
Quando c'era Berlinguer non vuole solo conquistare la testa
del suo pubblico, vuole anche la pancia. Ma è difficile che la ottenga con
quest'abuso di esibito compiacimento sentimentale. Insomma, in questo ricordo
in fondo sincero, Veltroni vuole pure arruffianarsi gli spettatori. Sperando,
magari, che diventino pure suoi elettori…
VELTRONI SBUGIARDATO DA UN LIBRO
– Nel 2008 un libro uscito due anni fa ben spiega cosa risiede alla base della
morbida opposizione, per non dire l’autentica “stampella”, che post-comunisti
come D’Alema, Fassino, Veltroni, Napolitano, stanno porgendo al Cavaliere da
quando è “sceso” in politica. L’opera si chiama “Il baratto - Il Pci e le
televisioni. Le intese e gli scambi tra il comunista Veltroni e l'affarista
Berlusconi negli anni Ottanta”, autore Michele De Lucia, editore Kaos.
Il libro ricostruisce come la corrente “migliorista” del Pci
abbia avuto stretti legami economici e di convenienza con il Cavaliere: partendo
dagli anni Settanta, con gli scritti giovanili di Walter Veltroni, comunista
togliattiano anti-capitalista e impegnato nella «costruzione del socialismo in
Italia». Tra capitali “svizzeri”, edilizia e prestanome risiederebbero i
traffici affaristici del piduista Silvio Berlusconi con la partitocrazia, come
testimoniano le agende di Mino Pecorelli. Poi gli anni Ottanta, con le
televisioni locali del Pci comprate da Berlusconi, secondo la testimonianza di
Primo Greganti; l’incontro “riservato” fra Occhetto-Veltroni e l’ex piduista
1816; per giungere poi al baratto veltroniano con Dc e Psi del gennaio 1985: il
via libera al decreto-Berlusconi del governo Craxi, in cambio di Raitre al Pci
ripagato con i soldi berlusconiani al giornale della destra comunista “Il
Moderno” e ai Festival de “l’Unità”.
Infine, ciò che avvenne a Mosca nell’aprile 1988:
megacontratto fra la televisione sovietica e la Fininvest. Berlusconi diceva:
«Noi non abbiamo cattivi rapporti col Partito comunista italiano, e cerchiamo
di averne sempre di migliori». Veltroni gli rispondeva compiaciuto: «Intendo
rivolgere a Berlusconi due complimenti sinceri, di stima: il primo per la sua
capacità di imprenditore che è riuscito a “inventare” un settore, e il secondo
complimento va alla sua capacità di aver imposto, attraverso un alto grado di
egemonia, i tempi della decisione politica in un settore così delicato come
quello nel quale opera».
Morale della facola: il Pci ha contribuito a donare la metà della ricezione televisiva nazionale in mano ad una sola persona, la quale, qualche anno dopo l'ha utilizzata come arma micidiale per farsi propaganda. Fallito il Pci, chi è venuto dopo ha perseverato su questa strada, non affrontando mai il conflitto d'interessi che si era venuto a creare.
Forse, se Veltroni avesse fatto un docufilm su Berlusconi, sarebbe stato più sincero.
però ne parlano tutti bene....un pò di memoria storica non fa male dai...
RispondiEliminaCe ne fossero di politici come Berlinguer
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