I BARCONI DEL ’91 E DEL ’97 SEMBRANO STORIA REMOTA ORMAI. MOLTI
ALBANESI STANNO TORNANDO NEL LORO PAESE D’ORIGINE
Le scene dei barconi carichi di africani che giungono in
massa sulle coste siciliane nella speranza di un futuro migliore sono purtroppo
storia già vista. Negli anni ’90 al posto degli africani c’erano gli albanesi e
invece che in Sicilia sbarcavano in Puglia. Due gli anni durante i quali gli
esodi furono più spaventosi: il 1991 e il 1997. In quest’ultimo caso ci fu
anche un brutto episodio: la piccola nave albanese Kater I Rades - una
motovedetta militare fabbricata nel 1962, con una capacità di trasporto di sole
9 persone, mentre i profughi che la utilizzarono erano ben 140 - fu speronata
dalla corvetta Sibilla della Marina Militare Italiana a cui era stato ordinato
di fermare i profughi ad ogni costo. All’epoca al Governo c’era
il centrosinistra guidato da Romano Prodi, aspramente criticato anche in un
film di Nanni Moretti: Aprile. Ma oggi gli albanesi si stanno prendendo la
loro rivincita: siamo noi ora ad emigrare lì. E non solo i
vip televisivi.
EMIGRAZIONE INVERSA - Oggi
l’Albania è un paese giovane e in via di sviluppo, con un’economia emergente e
ambizioni europee – sono in corso i negoziati per l’annessione all’UE – retto
dal premier socialista ed ex sindaco di Tirana, Edi Rama. Una seconda
generazione di albanesi ha seguito le orme dei genitori, raggiungendo l'Italia
a bordo di aerei e traghetti, per iscriversi alle nostre università: a Bologna,
Roma, Firenze e Milano. Finiti gli studi, molti di loro ritornano a casa, sia
perché la crisi economica in Italia preclude opportunità occupazionali, sia
perché in Albania è più facile investire: per avviare una startup, infatti,
basta un giorno solo e la burocrazia è ridotta all’osso.
“In Italia vivono più di mezzo milione di albanesi,
quest’anno sono ritornati in Albania circa in 46mila” afferma soddisfatto Erion
Veliaj, ministro del Benessere sociale e gioventù albanese. Il giovane politico
del governo socialista, in un ottimo italiano, tiene a precisare che: “È il
primo anno che succede una cosa del genere. Prima noi albanesi eravamo
costretti a partire, ora il trend si sta invertendo. L’economia qui è in
crescita e abbiamo bisogno di abilità speciali: solo quest’anno abbiamo creato
più di 81mila posti di lavoro, il mio partito ha abbassato la disoccupazione
dal 20 al 17%”.
QUALCHE STORIA - “Io
all’Italia devo tantissimo, mi ha fatto crescere sia umanamente che
professionalmente”. A pronunciare queste parole è Muharrem Çobo, uno dei tanti albanesi
tornati in patria e oggi imprenditore e vinicoltore di successo, in società con
il fratello. Se in Albania nominate Çobo dite vino, lo conoscono tutti e il suo
prodotto è considerato il “Ferrari italiano”. Muharrem, nipote di un piccolo
vinicoltore, arriva in Italia nel ’91 su di un mercantile, armato di una
valigia piena di speranza e tanta buona volontà. Sbarca a Brindisi e, in
seguito agli smistamenti del governo italiano, viene spedito a Trento, dove si
iscrive all’università. Per pagarsi gli studi, di notte lavora come cameriere e
riesce a laurearsi in giurisprudenza. Poi, come spesso accade, un incontro gli
cambia la vita: ”Ho conosciuto Danilo Chini, un enologo che diventerà per me
come un fratello – racconta Muharrem, mentre ci versa una bottiglia della sua
riserva speciale – Danilo ci ha dato una
grossa mano ad avviare la produzione, abbiamo scelto di coltivare uve
autoctone, così abbiamo comprato i terreni a Berat e abbiamo ripreso le
tradizioni dei miei nonni produttori di vino”. Oggi la cantina Çobo produce
80mila bottiglie ogni anno, è un’eccellenza dell’enogastronomia albanese,
proiettata verso i mercati esteri e sarà presente nel padiglione albanese di
Expo 2015 a Milano.
Se è vero che il tasso di disoccupazione è piuttosto basso,
trovare lavoro in Albania non è facilissimo: “Bisogna adattarsi, io sono stato
fortunato – racconta Jacopo Tomassini, truccatore professionista con alle
spalle esperienze in campo cinematografico – dopo 5 giorni che ero qui ho
subito trovato lavoro in una televisione”. Jacopo si era ritrovato disoccupato
a 27 anni e ha deciso di rischiare: “Insieme con la mia ragazza, invece di
andare in Australia o in Inghilterra come fanno in tanti, abbiamo deciso di
andare in Albania, perché in Italia non c’è più futuro per i giovani. Qui le
paghe sono la metà di quelle italiane, ma la vita costa meno, con 500 euro vivi
bene e c’è più lavoro”. Il rapporto con
i nostri dirimpettai dell’Adriatico quindi non è più univoco, basta un leggero
soffio di vento dall’est e la storia si capovolge, ora siamo noi i migranti: “È
la prima volta che noi albanesi possiamo ritenerci non più popolo di migranti,
come siamo sempre stati, ma un popolo ospitante che aiuta gli altri – afferma
il ministro Veliaj – gli italiani sono stati molto ospitali con noi in un
periodo brutto della nostra storia, non potremo mai dimenticarlo e attueremo i
principi di straordinaria umanità che ci avete insegnato”.
LE MOTIVAZIONI - Negli ultimi
anni, a scegliere il paese delle aquile, sono stati anche tantissimi italiani:
secondo i dati del governo albanese i nostri connazionali sono più di 20mila.
“Perché gli italiani vengono in Albania?” chiede serafico il ministro Veliaj.
Semplice: “Le tasse sono basse, è facile fare business e gli albanesi parlano
perfettamente italiano”. In effetti basta passeggiare in piazza Skanderbeg, nel
cuore di Tirana, o tra i tanti bunker militari costruiti da Hoxha nel nord di
Scutari, ai confini del Montenegro, per sentire parlare con nonchalance
l’italiano e vedere le numerose aziende del belpaese. Secondo un report
dell’ambasciata italiana, le imprese nostrane operanti in Albania sono più di
350: dal marchio Conad alla Scavolini, passando per banche come Intesa San
Paolo e Veneto Banca.
In realtà, il motivo principale che spinge le imprese
italiane a spostarsi in Albania è meramente economico:”Il regime fiscale è
generalmente piuttosto favorevole, perché c’è una tassa per gli utili di
impresa del 15%, quindi relativamente bassa” ammette candidamente Massimo
Gaiani, ambasciatore italiano a Tirana. “Recentemente, il governo albanese ha
approvato delle agevolazioni per chi assume della manodopera e crea nuove
attività”. Ad attirare gli imprenditori dello stivale è anche il basso costo
della manodopera – basti pensare che lo stipendio medio di un impiegato statale
è di 200 euro mensili – e la “totale assenza di sindacati”, come ha ricordato
felice il premier Edi Rama, durante la recente visita di Renzi a Tirana. Le
aziende italiane, secondo il governo albanese, danno lavoro a 120mila persone.
Di questi, 80mila sono impiegati nel settore manifatturiero, quasi la metà
della forza lavoro del paese. I restanti 40mila lavorano nei numerosi call
center italiani, guadagnano 2 euro l’ora più le provvigioni sui contratti
realizzati e stentano a raggiungere i 300 euro mensili.
(Fonte: Fainotizia)
Dopo che hanno vuotato le loro carceri e la feccia l'hanno mollata tutta a noi ... adesso fanno anche i puri.
RispondiEliminaStai zitto merda feccia sarai te,prova te a vivere nella povertà e a venire in un altro paese... L'italia è veramente un paese di merda, un paese dove nessuno viene rispettato, le merde siete voi e non noi.
EliminaMai provato a lavorare nel tuo paese? magari è più comodo viver qui, a spese di chi lavora e fatica, per poi farsi fottere i risparmi da politici e politicanti di quella roba che ti piace tanto scrivere.
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