martedì 4 settembre 2012

LA LIBIA DEL DOPO GHEDDAFI, TRA CAOS E STRAGE DI NERI


IL PAESE E’ NELLE MANI DEI FONDAMENTALISTI ISLAMICI, CHE STANNO ANCHE DISTRUGGENDO MOLTI LUOGHI DI CULTO

Dopo averci fatto affari per anni, un anno fa i Paesi europei decisero che era giunta l’ora di fare fuori il dittatore Muammar Gheddafi, sostenendo la rivoluzione libica sulla scia della Primavera araba. Certo, il Raìs libico era un dittatore spietato e sanguinario, come tutta la sua famiglia. Ma in oltre un quarantennio di potere aveva trasformato la Libia in una Germania africana e aveva stretto accordi commerciali con diversi Stati occidentali; soprattutto con la vicina Italia. Ma si sa, gli occidentali utilizzano i dittatori a proprio piacimento e convenienza.
A quasi un anno dalla rimozione del suo regime, la Libia vive nel caos, in balia dei fondamentalisti islamici; in particolare i Salafiti.

IMMIGRATI PERSEGUITATI - La sorte dei migranti in Libia non è affatto cambiata, anzi: nel vuoto di potere e negli scontri tribali seguiti alla defenestrazione violenta del leader libico agli abusi contro gli immigrati che sceglievano la Libia come territorio di transito per recarsi poi in Europa, si sono aggiunti quelli contro i lavoratori stranieri – principalmente africani – che lavoravano a Tripoli e Bengasi. E addirittura contro i cittadini libici colpevoli di avere la pelle troppo scura è scattata una vera e propria caccia all’uomo, una persecuzione scatenata con la scusa che i ‘neri’ hanno collaborato col regime. Ormai le denunce sulle violenze contro i migranti si sprecano, l’ultima di pochi giorni fa.
Maltrattati, rinchiusi in luoghi malsani e ora anche a rischio espulsione: queste sono le condizioni di vita di centinaia di migranti dell’Africa sub-sahariana rinchiusi in alcuni centri allestiti in alcune zone della Libia. La denuncia arriva dall’agenzia Habeshiaper, un ente religioso dedito alla cooperazione allo sviluppo diretta da padre Mussie Zerai, secondo cui i migranti sono in procinto di essere deportati verso i Paesi da cui per motivi diversi erano fuggiti. “In queste ore i militari libici stanno costringendo queste persone a farsi registrare dalle rispettive ambasciate con lo scopo di espellerli. Questo atto grave, accompagnato da violenze fisiche, è contro il diritto umanitario internazionale” scrive inascoltato padre Zerai. Secondo le informazioni in possesso di Habeshia, oltre mille persone, per lo più originarie di Eritrea, Etiopia e Somalia, sono attualmente detenute nei tre centri di Hums, Tuewshia e Bengasi. Numerosi sono i casi di abusi, anche ai danni di donne e minori, di migranti costretti ai lavori forzati, di torture. Padre Zerai ha anche denunciato che finora almeno tre migranti sono stati uccisi e chiunque abbia tentato la fuga, quando ripreso, è stato selvaggiamente picchiato. Fonti locali della Misna riferiscono inoltre che la scorsa settimana il tentativo di alcuni migranti di salire a bordo di un barcone per raggiungere l’Europa è stato bloccato con l’uso di armi da fuoco. In questo caso nessun bilancio delle vittime è stato diffuso.

LA PERSECUZIONE RELIGIOSA - Intanto nel paese divampa la furia distruttrice dei salafiti e delle sette islamiche più radicali contro monumenti ritenuti blasfemi. Nel mirino sono finite nei giorni scorsi alcune moschee e luoghi di studio sufi oltre ad alcune tombe di ‘santi’, distrutte a martellate dagli zelanti difensori della fede. Attacchi condannati ieri dalla Lega degli ulema della Libia ma che probabilmente si ripeteranno, costituendo una fonte di propaganda per gli ambienti estremisti manovrati dalle petromonarchie del Golfo Persico, Arabia Saudita in particolare. Gli ulema libici non hanno esitato e hanno puntato il dito proprio contro le strumentalizzazioni provenienti da Ryadh, definendo il salafismo estraneo alla tradizione islamica del nord africa. Gli ulema si son anche rivolti al debole e diviso Congresso nazionale (il parlamento eletto a luglio) e al governo ad interim affinché adottino misure immediate per impedire nuovi atti di violenza e distruzioni.
Nelle ultime due settimane diversi luoghi di culto sufi – corrente di pensiero che predilige una lettura più interiore dell’islam e che per questo motivo è agli antipodi rispetto ai salafiti, estremamente attenti alle manifestazioni esteriori dei precetti religiosi - sono stati presi d’assalto e distrutti a Tripoli, Zliten e Misurata. L’ultimo attacco è avvenuto al centro di Tripoli ai danni della madrasa (scuola) Othman Pasha. All’interno erano custodite una trentina di tombe, andate quasi completamente distrutte: i responsabili, scrive il Libya Herald, sono stati 200 salafiti armati presentatisi alle prime ore del giorno.

La Libia si aggiunge così ad altri Paesi mediorientali piombati nell’anarchia, come Afghanistan e Iraq, e molto probabilmente, anche la Siria.

(Fonte: Contropiano)

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