Erano oltre 338 mila
nel 2003/2004, sono poco più di 260 mila nel 2013/2014. E PENSARE CHE
L’ITALIA HA L’OBIETTIVO DI AVERE IL 40% DI LAUREATI ENTRO IL 2020
I giovani italiani credono sempre meno nell’Università, fino
a una ventina di anni fa considerata corsia preferenziale per un lavoro di
tutto rispetto. La tanto ambita famigerata “scrivania” per intenderci. E invece
negli anni il valore della Laurea si è sempre più assottigliato, al punto che
in diverse occasioni avercela costituisce perfino uno svantaggio agli occhi di
chi seleziona, che vede il candidato laureato più ambizioso e pretenzioso. Sebbene
anch’egli il più delle volte si accontenti di poche centinaia di euro al mese.
Poi ci si mette la crisi economica delle famiglie, che vede costretti, chi
invece vorrebbe iscriversi, a rinunciarci. La somma di tutti questi fattori ha
dato vita a un dato negativo; un’autentica debacle per l’Università italiana.
I DATI - Erano oltre 338 mila
nel 2003/2004, sono poco più di 260 mila nel 2013/2014: in barba a tutti gli
obiettivi europei, che fissano nel 2020 il traguardo per avere il 40% di
laureati, l’Italia arranca. La conferma arriva dall’ultimo aggiornamento
dell’Anagrafe degli studenti universitari del ministero dell’Istruzione: non è
un dato ancora definitivo, ma anche se difettasse di poche decine di studenti,
dà un quadro chiaro dell’attuale débâcle degli atenei, che -invece di acquisire
studenti- ne perdono costantemente. I tecnici del Miur fanno notare che
quest’anno il calo si è interrotto rispetto agli anni precedenti (novemila in
meno rispetto all’anno 2012/2013, meno rispetto al confronto precedente), ma è
innegabile: trattasi comunque di emorragia.
DOVE SI ISCRIVONO QUEI POCHI -
Non si può dire che gli studenti non seguano le tendenze del mondo del lavoro:
se dieci anni fa l’area sanitaria attirava l’11,67% dei diplomati, oggi il dato
è in calo, al 10,76%. L’area scientifica invece cresce, dal 28,74% al 35,23%,
mentre il sociale tira di meno, dal 39,90% dell’annata 2003/2004 al 35,09% di
quest’anno. Più o meno stabile resta solo la fetta di studenti che si orienta
verso le facoltà umanistiche: era del 19,69% dieci anni fa, oggi è del 18,93%.
Cosa succede allora? «Forse è arrivato il momento di
riconoscere che non si tratta di un fenomeno estemporaneo- prova a rispondere
Gianluca Scuccimarra, presidente dell’Unione degli universitari - ma di una
tendenza gravissima, frutto delle politiche di progressivo scardinamento
dell’università pubblica e del Diritto allo Studio».
L’APPELLO DEI RETTORI A RENZI
- Un’interpretazione, quella dei giovani, che richiama per certi versi
l’appello della Crui (la conferenza dei rettori) al nuovo presidente del
Consiglio incaricato: «Il diritto allo studio è insufficiente- scrivono i
rettori -: 1 giovane su 4 non può studiare all’Università per censo, anche se
ne ha diritto. Non è giusto, occorre ripristinare il diritto allo studio
previsto dalla Costituzione». Secondo la Crui, sono quattro le emergenze da
affrontare: oltre al diritto allo studio, serve un «piano straordinario per i
giovani migliori» per evitare che scappino all’estero, come è successo negli
ultimi cinque anni con 10 mila ricercatori. Inoltre, bisogna «rafforzare
l’alleanza tra formazione e mondo del lavoro in tutte le aree». E, infine,
«occorre semplificare e dare più libertà alle università di competere»,
superando il «delirio normativo senza logica che impedisce ogni movimento e
nuova progettualità».
Al di là dei fattori economici sopra elencati, una tiratina
d’orecchie spetta anche a chi ha gestito fino a qualche anno fa le Università
italiane, nonché agli stessi Ministri che si sono susseguiti. Con i primi che
non hanno saputo sfruttare al meglio i fondi piovuti a pioggia per anni,
elargiti dai secondi. Si sono creati tanti corsi di laurea inutili, istituiti
solo per distribuire cattedre ai raccomandati di turno. Inoltre, l’offerta
formativa è stata sempre meno adeguata ai cambiamenti del mercato del lavoro,
vedendo sempre più depotenziato il proprio ruolo di ponte con quest’ultimo.
Insomma, la crisi economica vigente ha solo amplificato i
difetti del nostro sistema universitario, che rischia di perdere sempre più
terreno appannaggio delle Università telematiche. Più veloci e pratiche. Ma non
per questo migliori. Anzi.
(Fonte: Corriere
della sera)
beh
RispondiEliminanon è che credono meno al'università.....non possono permettersela.
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