I DUE SONO LEGATI A BERLUSCONI DA ANNI, PER UNA SORTA DI
ETERNA RICONOSCENZA. L’EX PREMIER IN FONDO LI HA SALVATI
La ciambella di salvataggio lanciata nei giorni scorsi al
deputato del Pdl Nicola Cosentino, in odor di arresto, da parte di Lega e
Radicali, conferma il fatto che i rispettivi leader di questi due partiti,
Bossi e Pannella, non sanno e forse non possono dire di no a Berlusconi. Più di
una volta, specie negli ultimi mesi, le due formazioni politiche sono corse in
aiuto al Cavaliere. Suscitando non poche polemiche, visto che il Carroccio si
professa paladino della legalità e dell’onestà nordica e il secondo è entrato
alla Camera solo grazie ai cinque posti riservatigli dal Pd.
Ma cosa mette così tanto in difficoltà i due vecchi volponi
della politica italiana, Marco e Umberto, nel dire no a Berlusconi? Forse il
fatto che quest’ultimo, in passato, li ha salvati da un fallimento certo.
BERLUSCONI COMPRO’ IL SIMBOLO
LEGHISTA IN CAMBIO DEL SILENZIO – Due ex
leghisti hanno fatto emergere, in due diverse trasmissioni Tv, un’autentica
compravendita del simbolo leghista da parte di Berlusconi, per una sorta di
scambio in cui il Cavaliere avrebbe rinunciato “a un serie di cause civili per
gli slogan e le paginate” de La Padania in cui il premier “veniva accusato di
essere mafioso”, in cambio della cessione della titolarità del simbolo del
Carroccio.
Il primo a rivelarlo fu Gilberto Oneto durante L’Infedele di
Gad Lerner.
Architetto, giornalista è studioso dell’autonomismo delle
regioni padano-alpine. Iscritto alla Lega dal 1986, dieci anni dopo viene
nominato responsabile dell’identità culturale nel “Governo della Padania”. Per
anni – prima di entrare in polemica con la dirigenza leghista – ha tenuto
rubriche settimanali di storia identitaria sul quotidiano La Padania e su Radio
Padania Libera. Per Libero ha praticamente riscritto la storia del Risorgimento
in salsa leghista. Amico e collaboratore di Gianfranco Miglio, Oneto conosce la
Lega da dentro, essendovi rimasto nel 2006.
Poi ne ha riparlato un altro leghista della prima ora, anche
se da un po’ ha smesso di esserlo: l’ex direttore de La Padania Gigi Moncalvo
nel corso del programma di Lucia Annunziata In mezz’ora.
Secondo il giornalista, che cita tra le altre fonti la ex
giornalista di Radio Padania Rosanna Sapori e il giornalista di Famiglia
Cristiana Guglielmo Sasimini, ci sarebbe un “vero e proprio contratto stipulato
davanti a un notaio”. L’accordo, datato gennaio 2000, sarebbe stato firmato un
anno prima delle politiche del 2001 in cui Bossi e Berlusconi erano alleati.
Nel giugno del 2000 infatti, come aveva documentato Mario Calabresi su
Repubblica, Giovanni Dell’Elce,, allora amministratore nazionale di Forza
Italia e oggi deputato del Pdl, scrisse alla Banca di Roma per comunicare una
fideiussione di “due miliardi di vecchie lire a favore della Lega”.
Moncalvo ha aggiunto che “Berlusconi aveva fatto un
intervento economico pesante a favore della casse della Lega” che allora
versava in uno stato finanziario critico: la sede del partito era stata
pignorata e i giornalisti non ricevevano più lo stipendio. A quel punto
Berlusconi avrebbe rinunciato “a un serie di cause civili per gli slogan e le
paginate” de La Padania in cui il premier “veniva accusato di essere mafioso”
in cambio della cessione della titolarità del simbolo del Carroccio. Una
compravendita che Moncalvo definisce “tipica della mentalità di Berlusconi”. A
fare da mediatore nell’acquisto, di cui Umberto Bossi, la moglie Manuela
Marrone e Giuseppe Leoni avrebbero disposto del 33% ciascuno, sarebbe stato
Aldo Brancher, il ministro con la più breve carica nella storia della
Repubblica.
Oltre alla titolarità del simbolo, il patto prevedeva anche
la formazione di un think tank per la formulazione di una riforma
costituzionale per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica. E se
fosse passata col referendum, Napolitano, aggiunge Moncalvo, sarebbe stato
“costretto a dimettersi”. Dall’altra parte Berlusconi, “convinto di essere
eletto dal plebiscito popolare”, sarebbe andato al Quirinale. A fare parte del
think tank, aggiunge l’ex direttore de La Padania, anche “Tremonti, Calderoli e
La Russa” mentre “Follini e Fini combatterono fino in fondo” affinché la
riforma non passasse. Di fatto il piano ha subito un arresto l’11 marzo 2004,
in corrispondenza della “fermata ai box di Bossi per motivi di salute”.
MARCO E SILVIO, UN’AMICIZIA
COMINCIATA AL DRIVE IN – Durante una puntata di Drive in andata in onda
il 4 novembre 1986, Marco Pannella fa il proprio ingresso sulle note di un
agghiacciante pezzo dance. Appende al primo metro quadro di scenografia
disponibile un manifesto dei Radicali e, circonfuso di tamarri col Monclèr,
attacca un memorabile pippone sulla vergogna partitocratica. Pochi minuti dopo
arrivano anche Ezio Greggio e Gianfranco D’Angelo, cui Pannella spiega
esaustivamente le vantaggiose condizioni predisposte dal partito per chi si
voglia iscrivere. Più tardi farà la propria comparsa anche Lory Del Santo.
Che il Cavaliere fosse un amico, Pannella lo capisce al volo
in quell’autunno ’86. I Radicali rischiano di chiudere baracca, e il tele-megafono
targato Biscione sarà decisivo nel portare iscritti e liquidità nelle casse del
partito (al congresso di qualche settimana dopo si toccherà il record storico
di 5.300 tessere). Senza contare che - buon sangue non mente - Silvio ha tutto
l’interesse di questo mondo a farsi amici i Radicali: Enzo Tortora è appena
stato assolto e - ricorda Mauro Suttora nel suo “Pannella, l’istrione” - «vuole
tornare in tv. Berlusconi gli fa la corte, vuole strapparlo alla Rai. Così
Canale 5 si apre ai radicali, che vengono invitati in ogni programma».
Fatto sta che, complice anche la comune vicinanza con Craxi,
l’amore sboccia e la prova arriva qualche tempo dopo. Elezioni del ’94: i
Radicali si candidano col Polo al Nord. A elezioni vinte, Silvio vorrebbe
Pannella ministro della Giustizia. Marco nicchia, vuole gli Esteri («E il
ministro designato Antonio Martino», racconta oggi il Radicale storico Marco
Taradash, «era anche disponibile a fare un passo indietro»). Alla fine non se
ne fa più niente perché arriva il consiglio di Gianfranco Fini. Che, forte
della lungimiranza che ancora oggi lo caratterizza, stoppa tutto perché «con
lui ministro, il governo Berlusconi diventerebbe il governo Pannella». Silvio
ci pensa un po’ e alla fine concorda.
Da lì, inizia il periodo di magra. Giusto il tempo di
incassare il via libera del governo alla nomina di Emma Bonino alla Commissione
europea che, alle Regionali del ’95, le vie di Berlusconi e di Pannella si
dividono. Restano tali anche alle Politiche del ’96, quando la trattativa sui
posti in lista naufraga e con essa le chance di battere Prodi. Col quale, dopo
la parentesi autonomista del 2001, Pannella si schiera nel 2006, contribuendo
in modo determinante alla vittoria del Professore. Che lo ripaga accordando ai
Radicali considerazione pari a zero. Stesso copione all’ultimo giro, con la
pattuglia pannelliana caricata di malavoglia dal Pd e trattata - gli ultimi
episodi sono cronaca recente - come una manica di appestati. Pannella ripaga a
suon di insulti, che hanno come destinatario lo stesso Berlusconi. Ma poi,
quando è in difficoltà, Pannella non sa dirgli di no.
Umberto, Silvio e Marco, come il lungo, il corto e il
pacioccone di una vecchia canzoncina dello Zecchino d’oro. Amicizie di
convenienza, magari anche un pizzico sincere, tra chi si para il culo a vicenda
da 25 anni. Chissà come sarebbero Lega, Pdl e Radicali senza i loro rispettivi padri
fondatori e padroni. Probabilmente molto meglio.
ho paura di si...altrimento non si spega l'atteggiamento assurdo della Lega, o almeno di una parte di essa...
RispondiEliminache schifo veramente... sono quasi senza parole guarda!
RispondiEliminacaro Scialò, leggere il mio libro su Pannella non ti e' servito a nulla: sui radicali hai scritto un sacco di stronzate.
RispondiEliminaSono nati molto prima di Craxi e Berlusconi, e dopo aver sepolto il primo lo faranno anche con il secondo (politicamente: non auguro la morte a nessuno...)
Mauro Suttora
Mah... quanto alla Lega, senza andare a scomodare il discorso del simbolo leghista che ogni tanto spunta fuori, penso che la spiegazione sia più semplice ed è riferibile alla campagna mediatica portata avanti da il Giornale sull'affaire Tanzania alcuni giorni prima della decisione alla Camera ed il giorno dopo sparita come per incanto.
RispondiEliminaInvece per quanto riguarda i radicali, non mi sono mai piaciuti proprio per il loro arrivismo privo di ideali (o ideologie)... mi pare però che ultimamente abbiano davvero oltrepassato il segno, arrivando a dei livelli di mercenarietà che farebbero impallidire il buon scilipoti...