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martedì 11 giugno 2013

29 ANNI FA MORIVA ENRICO BERLINGUER, E CON LUI LA SINISTRA ITALIANA

MORI’ A PADOVA DOPO UN MALORE DURANTE UN COMIZIO

«La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico». Questo monito Enrico Berlinguer lo lanciava durante un’intervista a LaRepubblica del 28 luglio 1981. Sono passati quasi 22 anni e le sue parole sono ancora tristemente attuali. Il Segretario del PCI aveva già allora intuito che la politica era ormai diventata per molti un affare, un sistema corrotto e sporco, che uscì allo scoperto solo dieci anni dopo. E da allora non ha mai smesso di essere tale; anzi, nella Seconda Repubblica, Tangentopoli è diventata ancora più becera e squallida.
Ventinove anni fa Enrico Berlinguer moriva dopo un malore risentito durante un (come sempre) appassionato comizio a Padova, che volle comunque concludere. Con lui è morta tutta la sinistra italiana, che negli anni successivi ha patito la mancanza di unità e di una leadership forte.

martedì 17 agosto 2010

E’ MORTO FRANCESCO COSSIGA, IL “PICCONATORE” DAI MILLE SEGRETI


Dopo alcuni giorni di agonia al Policlinico Gemelli, si è spento a 82 anni Francesco Cossiga, custode, insieme a Andreotti, di molti segreti di Stato. Si era guadagnato il nomignolo di “picconatore” per le sue frecciatine e polemiche, da Presidente della Repubblica, nei confronti della politica italiana, e perché spesso ha respinto, con tanto di correzioni, decreti a lui sottoposti per la promulgazione.
Cossiga nel corso della sua vita ha bruciato sempre le tappe, con una carriera politica al bruciapelo: diplomatosi a soli 16 anni, iniziò ad occuparsi di politica a 17 anni diventando deputato a 30 anni nelle file della Democrazia cristiana di Sassari (1958). Dopo 8 anni, a meno di 40 anni, divenne già Sottosegretario alla Difesa del terzo Governo Moro; dieci anni dopo, nel 1976, venne eletto Ministro degli interni nei difficili “anni di piombo” e dello stragismo terrorista. 
Dopo il tragico “caso Moro” e le conseguenti dimissioni (di cui parlerò in seguito), appena un anno dopo fu eletto Presidente del Consiglio; aveva “solo” 51 anni. Vi durò però solo un anno. Ma la sua carriera politica dovette aspettare appena 5 anni per fregiarsi di un nuovo incarico di rilievo: nel 1985 fu eletto Presidente della Repubblica, con un elezione lampo (appena un’ora e 52 minuti di scrutinio) e quasi plebiscitaria: 752 voti su 977 provenienti da Dc, Pci, Psi, Pri, Pli, Psdi e sinistra indipendente. E’ il Presidente della Repubblica italiana più giovane della storia: 57 anni. E visto come va la politica italiana oggi, penso che manterrà ancora per un bel po’ questo record.
Si dimise poco prima della scadenza del suo mandato, con un discorso televisivo che tenne simbolicamente il 25 aprile 1992; la scelta fu legata allo scoppio dello scandalo di Tangentopoli, e Cossiga ritenne di dimettersi perché il Parlamento che veniva accusato di tale sistema di corruzione era lo stesso che lo aveva scelto.
L’arrivo della Seconda Repubblica e l’età che avanzava, non hanno di certo fermato la sua caparbietà politica: nel febbraio del 1998, diede vita ad una nuova formazione politica, l'UDR (Unione Democratica per la Repubblica), con l'intenzione di costituire un'alternativa di centro e ricompattare le forze ex-democristiane; forza politica che visse per un solo anno, quando la maggior parte dei componenti aderirono all'UDEUR di Clemente Mastella. La vita breve di quella formazione politica fu fondamentale per la nascita del Governo D’Alema nel ’98, dopo la caduta del primo Governo Prodi. Da Senatore a vita, ha appoggiato sia i Governi Berlusconi che quelli guidati da Prodi.
Oltre a questa invidiabile carriera politica, Cossiga si è contraddistinto per vari scandali, alcuni anche gravi, che però non hanno minimamente sfiorato, come visto, l’incedere della sua carriera:
- Quando è stato Sottosegretario alla Difesa, è stato chiamato a sovrintendere l’organizzazione “Gladio”, un’organizzazione clandestina italiana formata prevalentemente da volontari, parallela ai Servizi Segreti e facente parte, informalmente, con altre organizzazioni analoghe, del sistema di difesa dei paesi occidentali negli anni della Guerra Fredda. Essa venne alla luce solo nel 1990; la sua esistenza fu giustificata come intesa a reagire ad un’eventuale ascesa al potere dei partiti comunisti e ad organizzare la resistenza in caso di invasione del Paese da parte degli eserciti del blocco orientale. Poi, con la caduta del muro di Berlino, che simbolicamente segnò la fine del Regime Sovietico, essa non ebbe più ragion d’essere.
Da Ministro degli interni, in soli 2 anni, si fa notare per la sua rigidità che sfociò nella tragedia: nel 1977 Cossiga rispose alle proteste del mondo studentesco di Bologna mandando veicoli blindati (nelle colluttazioni morirono anche 2 ragazzi); il suo "pugno duro" lo rese il bersaglio delle proteste dei manifestanti che iniziarono a storpiare il suo cognome con una kappa iniziale ed usando la doppia esse simile a quella delle “SS” naziste. Nel 2008, quando erano esplose le proteste degli universitari contro la “riforma Moratti”, suggerì a Maroni di fare come aveva fatto lui in quel periodo: lasciare sfogare le manifestazioni studentesche per far sì che la gente acclami un intervento forte dello Stato; a quel punto le forze dell’ordine sono autorizzate a reprimere la rivolta: «(…) il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell'ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli».
Nel 1978 è tra i sostenitori della linea dura contro le Br nel caso Moro, portando quest’ultimo alla morte. Forse Moro, che auspicava un’alleanza tra Dc e Pci, era un personaggio scomodo per molti esponenti politici, tra cui appunto Cossiga, allora Ministro degli interni, e Giulio Andreotti, Presidente del Consiglio. In un'intervista rilasciata al giornalista Paolo Guzzanti confessò: «Se ho i capelli bianchi e le macchie sulla pelle è per questo; perché mentre lasciavamo uccidere Moro, me ne rendevo conto. Perché la nostra sofferenza era in sintonia con quella di Moro».
- Nel 1990, con queste parole sprezzanti e riduttive del valore del suo lavoro, così parlava di Rosario Livatino, giovane magistrato che ebbe discreti successi nella lotta alla Mafia: «Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l'azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno? (…) Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un'autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l'amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta».
Rosario Livatino fu assassinato dalla Mafia il 21 settembre 1990.
-Sempre nel ’90 il CIIS (Comitato Interministeriale per l’Informazione e la Sicurezza) di cui Cossiga era Presidente, in qualità di Presidente della Repubblica, liquidò il caso Ustica come attentato per opera dell’estrema destra, senza ulteriori approfondimenti su possibili implicazioni dell’aeronautica italiana (mancano le registrazioni, guarda caso, proprio di alcune ore precedenti e successive alla tragedia) che invece sono emerse negli anni successivi. Proprio negli ultimi tempi, Cossiga aveva avanzato sospetti su possibili implicazioni degli Usa e della Francia nella vicenda, all’epoca occultate e stigmatizzate. Si è reso probabilmente complice e protagonista di un altro mistero italiano, che senza dubbi etichetto come vergogna nostrana.
Sempre in materia di stragismo, ritenne che la strage alla Stazione di Bologna non era stata compiuta dalla matrice eversiva di estrema destra.




Cossiga porta con sé tanti misteri
, che avrebbero, se emersi in tempo utile, risolto molti casi italiani, e alleviato lo strazio di tanti italiani in essi coinvolti. Un personaggio ambiguo: ora attivista clandestino, ora duro difensore dell’ordine pubblico; ora omertoso silente, ora sputa-sentenze picconatore.
A me sinceramente, non mancherà. Per noi giovani non è certo un esempio da seguire. O almeno per quelli che non guardano solo al potere e alla carriera, anche al costo di coprire e tacere certe nefandezze.

(Fonti: La Stampa, “Le stragi dimenticate” di Luca Scialò)

domenica 9 maggio 2010

ALDO MORO, UN POLITICO SCOMODO PER MOLTI


Trentadue anni fa veniva giustiziato dall’organizzazione terroristica di estrema sinistra, le Brigate rosseil Presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro; fu il tragico epilogo di un sequestro iniziato il 16 marzo dopo che Moro era stato rapito in Via Fani e la sua scorta trucidata (composta da Domenico Ricci, Oreste Leonardi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera, Francesco Zizzi), giorno non casuale, visto che quello era il giorno della presentazione del nuovo Governo guidato da Giulio Andreotti.
Le Br volevano utilizzare il rilascio di Moro come contropartita per la scarcerazione dei brigatisti detenuti, ma la fermezza del Governo Andreotti, soprattutto da parte di quest’ultimo e dell’allora Ministro degli interni Francesco Cossiga, fece sì che lo Stato non cedesse al loro ricatto e cercasse di stanare i terroristi e il loro covo. Una scelta che si rivelò tragica, e forse dalla dubbia concreta volontà del Governo, giacché Moro agli occhi di molti democristiani e dei Servizi segreti (che rallentarono di molto le ricerche, pur avendo chiari indizi su una tipografia dove i brigatisti spesso stampavano i loro messaggi) rappresentava un serio pericolo per gli equilibri internazionali, giacché auspicava una nuova stagione politica attraverso un “compromesso storico” che portasse il Pci al Governo, trovando la già consolidata disponibilità del loro segretario di allora, Enrico Berlinguer, che già qualche anno prima aveva parlato di “convergenze parallele” per il bene del Paese, in un periodo delicato quale sono stati i fermentati anni ‘70.
In realtà anche gli stessi americani temevano uno spostamento dell’asse politico italiano verso quello sovietico, e soprattutto perché stretti contatti con il Partito comunista sovietico avrebbe consentito loro di venire a conoscenza, in piena guerra fredda, di piani militari e di postazioni strategiche supersegrete della Nato. Anche i sovietici non erano del tutto entusiasti di un possibile Governo catto-comunista, poiché il comunismo si sarebbe accordato con politici che in passato si erano serviti spesso dell'aiuto di associazioni mafiose, logge massoniche (P2) e dei servizi segreti. Oltre poi al fatto che la Dc avevano beneficiato di aiuti finanziari (spesso sottobanco) da parte degli americani.
Insomma l’apertura di Moro ai comunisti non piaceva a tanti, e in fondo la sua liberazione ad un certo punto pareva quasi da doversi evitare, mascherando tale brutale scelta con la necessità di mostrare alle Br e agli altri gruppi terroristici che lo Stato era forte e non poteva trattare con un gruppo eversivo.
Non sapremo mai come sarebbe stata oggi l’Italia se si fosse creato un Governo formato da cattolici e comunisti. Forse ci sarebbero state le riforme utili al Paese, una migliore amministrazione della “cosa pubblica”, non ci sarebbero state tante vittime del terrorismo comunista, non ci sarebbe stata tangentopoli. Come non sappiamo come sarebbe stata se il Governo avesse trattato con le Br, facendo liberare Moro. Forse le Br sarebbero uscite più forti, il terrorismo di estrema destra sarebbe stato più sanguinoso, il Governo ne sarebbe uscito indebolito.
Sappiamo però com’è andata dopo quel 9 maggio 1978.:
1) I principali oppositori alla trattativa con le Br, all’interno della Dc, Andreotti e Cossiga, hanno continuato una proficua carriera, anziché dimettersi dai rispettivi delicati incarichi e ritirarsi a vita privata, come sarebbe successo in un normale Stato democratico. Il primo è stato nominato altre 4 volte Presidente del consiglio e 5 volte Ministro degli esteri; il secondo fu eletto una volta Presidente del Consiglio e addirittura Presidente della Repubblica. Attualmente sono entrambi senatori a vita.
2) Il Pci ha cominciato la sua irreversibile perdita di voti e di identità proprio da quel triste giorno; se nell’elezioni del ’76 il Partito comunista aveva raggiunto il 34,4% dei consensi (il massimo storico) negli anni successivi scese anche sotto il 30%, subendo la batosta definitiva con il crollo del muro di Berlino e di conseguenza, dei regimi comunisti dell’est europeo.
3) Le brigate rosse uscirono dal caso Moro paradossalmente più indebolite. Infatti a partire dal 1980 subirono delle spaccature in diverse sott’organizzazioni, complici anche i diversi arresti di personaggi di spicco dell’organizzazione (fautori anche del sequestro Moro). La più importante sott’organizzazione è “Le Brigate Rosse 28 per la costruzione del Partito Comunista Combattente”, tutt’oggi ancora attiva, avendo assassinato nel ’99, il collaboratore del Ministro del Lavoro Bassolino, D’Antona e nel 2003 il collaboratore del Ministro del Welfare Maroni, Biagi. Oltre poi ad aver inviato diverse lettere minatorie con bossoli fatte pervenire al nemico di turno.
4) A beneficiare della crisi crescente del Pci e di un leggero affievolimento nei consensi della Dc, fu senza dubbio il Psi cui leader in quegli anni è stato Bettino Craxi, eletto due volte Presidente del Consiglio negli anni ’80. Il partito socialista fu di fatto in quegli anni fulcro e centro di potere della politica italiana.
Da ciò si evince quanto l’omicidio Moro abbia avuto l’effetto contrario alla stessa sinistra, quella terrorista ma anche quella parlamentare.

Moro fu molto critico verso i suoi compagni di partito, scrivendogli lettere in cui traspariva l’amarezza e la delusione provata durante la prigionia. Ma ormai era già stato condannato; da loro, dagli americani, dai servizi segreti, da alcuni esponenti del Pci, prima che dai brigatisti stessi.
Il cadavere fu ritrovato il 9 maggio nel baule posteriore di una Renault 4 rossa a Roma, in via Caetani, emblematicamente vicina sia a Piazza del Gesù (dov'era la sede nazionale della Democrazia Cristiana), sia a via delle Botteghe Oscure (dove era la sede nazionale del Partito Comunista Italiano). La cerimonia funebre (espletata da Papa Paolo VI) venne celebrata senza il corpo dello statista per esplicito volere della famiglia, la quale ritenendo che lo stato italiano poco o nulla aveva fatto per salvare la vita di Moro, rifiutò il funerale pubblico ufficiale di stato, scegliendo di svolgere le esequie in forma privata.
L’omicidio Moro, una delle tante vergogne dello Stato italiano.




(Fonti: http://it.wikipedia.org/wiki/Aldo_Morohttp://it.wikipedia.org/wiki/Giulio_Andreottihttp://it.wikipedia.org/wiki/Francesco_Cossiga, “Addio alle armi” di Luca Scialò)

mercoledì 9 maggio 2007

29 ANNI FA MORIVA ALDO MORO

Il 9 maggio 1979, veniva ucciso, dopo 55 giorni di prigionia, dal gruppo terroristico di estrema sinistra, le Brigate Rosse, il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro.
E' pacifico, da parte degli storici e politologi, ritenere che l'intenzione, da parte dei terroristi rossi di uccidere Moro, scaturisse dal fatto che egli era il più importante sostenitore del "Compromesso storico", che avrebbe portato, grazie al voto di fiducia in Parlamento, proprio il giorno dopo il suo sequestro, alla nascita per la prima volta in Italia, di un Governo composto dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista italiano, allora ben rappresentato da Enrico Berlinguer (il PCI arrivò in quegli anni anche al 33%).